' Introduzione a "L'Età Giolittiana " di W. Salomone grave di tutti - e tutt'ora rimane. I consigli comunali e provinciali, erano bensf eletti dai cittadini, ma non erano piccole repubbliche indipendenti come in Svizzera, in Inghilterra, o negli Stati Uniti. In ogni provincia il prefetto, agente permanente del governo centrale, nominato dal ministro degli Interni, sorvegliava le amministrazioni locali. Questo funzionario - sconosciuto in Svizzera, Inghilterra, Stati Uniti - poteva annullare le de• cisioni dei consigli locali. Poteva persino rimuovere i funzionari elettivi e mandare commissari ad amministrare i comuni e le province. Nel 1896, A. Lawrence Lowel, nella classica opera Governments and Parties in Con• tinental Europe, notò che il sistema amministrativo italiano era modellato sull'esempio francese e non su quello anglo-americano. Il prefetto italiano, simile in questo al suo prototipo francese, si valeva piu o meno apertamente della sua influenza nelle elezioni. Era questo il cancro che corrodeva la democrazia italiana. Il prefetto teneva al guinzaglio i sindaci e i consiglieri comunali. Quelli che, durante una campagna elettorale mettevano la loro influenza a servizio del candidato governativo, rimanevano indisturbati, anche se erano i peggiori ribaldi. Quelli che favorivano i candidati di opposizione, anche se erano ottimi amministratori, erano sostituiti da commissari governativi. E contro siffatta prepotenza non c'era rimedio, salvo un ricorso al consiglio di Stato che non interrompeva la prepotenza, e prendeva un tempo infinito per maturare. Là dove il corpo elettorale era refrattario alla pressione, e i sindaci e i consiglieri comunali rifiutavano di piegarsi, il prefetto non solo li rimo• veva dalla carica, ma "manipolava" le elezioni amministrative e politiche. In vista di una elezione, la polizia, in combutta col partito ministeriale, ar• ruolava la feccia della città o del collegio e delle città limitrofe. Nelle ultime settimane prima delle elezioni, gli oppositori erano impediti di parlare in pubblico, minacciati, randellati, assediati in casa, o messi senz'altro in prigione fino a dopo le elezioni. I votanti in sospetto di appoggiare l'opposizione non ottenevano i certificati elettorali. Quelli, invece, che favorivano i candidati governativi, ottenevano non soltanto i certificati propri, ma anche q_uelli degli oppositori, degli emigrati, dei defunti. Cosf potevano votare tre, cinque, dieci, venti volte. I candidati governativi vincevano sempre. Qualsiasi deputato sfidasse Giolitti, si sarebbe trovato a mal partito alle prossime elezioni. In Italia la gente soleva dire che Giolitti vendeva i prefetti per compràre i deputati. Giolitti non fu il primo ministro degli Interni a "manipolare" le elezioni. Ma egli "manipolò" una dopo l'altra tre elezioni generali (1904, 1909, 1913), e sorpassò tutti nella chiarezza dei propositi, nella mancanza di scrupoli, e nella brutalità. Badiamo però. Giolitti non in tutta l'Italia "manipolava" le elezioni. In quelle parti della penisola, dove l'opinione pubblica era sveglia e l'op• posizione era dura da reprimere lasciava che le cose andassero per il loro verso. Perciò l'Italia settentrionale era lasciata libera di amministrarsi come BibliotecaGinoBianco
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