Gaetano Salvemini - Il ministro della mala vita e altri scritti sull'età giolittiana

L'incidente di Fiume sagi, patimenti, pericoli non inferiori ai suoi, e che, modesti ed oscuri, non chiedono ora altro compenso che di essere lasciati tranquilli alle loro case ed al loro lavoro quotidiano. Ritorni il poeta alla vita di semplice cittadino, propugni, se crede, le sue idee con la parola e con gli scritti; ma rinunci alla parte del condottiero e dell'uomo di governo per cui non ha né le attitudini, né il senso squisito dell'opportunità e della responsabilità. Anche meno colpevoli del capo sono i gregari, ufficiali e soldati delle ultime classi, a cui da dieci mesi, in un ambiente già irritato dalle lentezze di Parigi e dagli errori di Roma, si è facilmente montata la testa; a cui s'è fatto credere, per trascinarli all'impresa, ch'essa era voluta e favorita . dalle autorità politiche e militari. Per tutti costoro un atto d'indulgenza od anzi di assoluto perdono riscuoterà l'approvazione dell'intero paese. I responsabili veri son da ricercarsi altrove, negli alti comandi e nello stato maggiore dell'esercito e della marina, che dall'armistizio in poi non solo han fatto fra le truppe quella propaganda perniciosa, che l'Avanti! ha documentata, ma in tutti i paesi di nazionalità mista han cercato di creare od almeno han favorito ogni incidente che rendesse inevitabile un nuovo conflitto o prolungasse all'infinito lo stato di guerra ad esclusivo profitto dei loro interessi personali. Chi siano questi colpevoli l'on. Nitti lo sa, e se non li colpisce inesorabilmente, o peggio, se lascia impuniti i maggiori responsabili per creare qualche capro espiatorio fra gli ingenui e gli illusi, egli si confesserà complice dell'impresa, c}:iecon tanta asprezza egli ha biasimato. Ma queste punizioni, che invochiamo energiche ed esemplari, devono essere sopratutto un atto di politica interna, una solenne riaffermazione della sovranità del governo respon_sabile sui poteri militari irresponsabili; non devono assumere il significato di un atto di acquiescenza agli alleati e di una rinuncia ad ogni difesa dell'italianità di Fiume. Il problema del1'Adriatico, impostato male nel maggio del 1915, aggravato da tutti gli errori commessi dopo l'armistizio con una politica di ostinazioni, di ripicchi, di intrighi, questo disgraziato problema, che ha messo l'Italia in una condizione di inferiorità di fronte alla conferenza e ci ha trascinati sull'orlo della rovina, deve essere una buona volta risolto e senza ulteriori indugi. L'incidente dannunziano è venuto a confermare quel che avevamo detto nella prefazione alla 2• edizione della Questione dell'Adriatico (nn. 3233 dell'Unità): che cioè oramai il problema della città di Fiume va risoluto col taglio netto dell'annessione, se non si vuole lasciare un fomite di incidenti continui. Ma il destino degli italiani della città di Fiume nella sua area tradizionale non deve confondersi col destino del porto di Fiume, il cui libero uso deve essere garantito al retroterra non italiano ed alle bandiere commerciali di tutto il mondo. Se a Par-igi prevarrà, come sembra, una soluzione ispirata a questi principi, l'incidente odierno, mettendo in prima linea il lato nazionale del 473 BibliotecaGinoBianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==