Guerra e classi dirigenti con me: in ogni modo non considererai inopportuno che io torni sull'argomento allora trattato, la cui importanza è forse accresciuta dalle voci correnti che l'intervento dell'Italia nella guerra sia ormai deciso e non possa tardare oltre la metà maggio. È guerra nazionale, si dice, perché destinata a integrare, sino ai suoi confini etnici e naturali, il territorio della nazione. Tu sai che io, anche piu di te e di altri am1c1, considero ben poca cosa, in se stesso, quest'ampliamento territoriale, e non so in ogni modo riguardarlo da un punto di vista nazionale; ma lo apprezzo e lo desidero solo come contributo all'avverarsi di un equilibrio internazionale, nel quale molte cagioni di attriti e di lotte possano essere eliminate nei rapporti fra le nazioni, e si schiuda all'attività dei popoli un periodo di pace operosa. Voglio anche aggiungerti che, pur essendo piu che mai persuaso che la speranza di raggiungere siffatto fine non possa poggiàre se non sull'ipotesi di una sconfitta della Germania, trovo ogni giorno argomenti nuovi per dubitare che realmente la vittoria dell'Intesa basti da sola a garantire un assetto di pace piu sicura e non insidiata né guasta dalla veracità dçl militarismo, che da troppo tempo ormai sfrutta la bestialità umana ripetendoci la canzonetta classica del: Si vis pacem para bellum. La pace sarà assicurata, non da una vittoria dell'una o dell'altra parte, ma dalla creazione di una piu intima solidarietà economica' fra le nazioni; e quest'idea, che io ho accennata altre volte, sulle relazioni fra guerra e protezionismo, fra pace e libero scambio, e sulla quale ho prome~so di parlare nell'Unità (e lo farò presto), ho piacere di trovarla nell'opuscolo, da te ora inviatomi, dell'industriale belga sig. Henry Lambert, il quale sa conservare una mirabile e simpatica serenità pur nel momento in cui arde nella sua patria l'incendio di questa spaventevole conflagrazione. · E torno, dopo ciò, all'argomento da cui ho preso le mosse. Se la guerra è nazionale e deve far tacere oe;ni ragione di dissenso fra i vari gruppi onde è formata la nazione come asseriscono i moderati-liberali e gli stessi democratici fautori dell'intervento, non è fuor di luogo ricercare in qual modo s'intende che i vari gruppi debbano assolvere questo loro asserito dovere di solidarietà nazionale. Quando, 15 o 20 giorni addietro, la violenza bestiale di un poliziotto troncò la vita qui a Milano ad un povero giovane che solo per combinazione si trovava in mezzo ai dimostranti, il Corriere della Sera ebbe la degnazione di riconoscere che Jo zelo dei questurini era stato eccessivo e aveva pertanto bisogno di qualche freno e forse di qualche punizione; ma quando le organizzazioni operaie vollero dare una prova sensibile della unanimità e fermezza della loro protesta, allora il Corriere gridò che era ora di finirla con· gli scioperi e richiamò all'ordine i rivoluzionari interventisti, che non ·avevano inteso l'inopportunità tli turbare con dimostrazioni di protesta la concordia del sentimento nazionale. Viceversa, quando la mutua dei proprietari di forno cercò, per solo impulso di bieco egoismo, di eludere lo sforzo fatto dal Comune di Milano perché alla popolazione (almeno alla classe operaia), fosse assicurato pane buono a buon mercato, allora il Corriere pur non prendendo partito esplicito per i fornai, non credé tuttavia di far appello alle ragioni della concordia nazionale e di osservare che, mentre si parla tutti i momenti di preparazione civile e si fanno comitati e si tengono conferenze e convegni per questo scopo, la miglior preparazione è quella di avere, andando incontro all'eventualità della guerra, un popolo non esasperato dal malcontento e dalla fame, convinto che i sacrifizi a lui imposti sono l'effetto solo di una ineluttabile necessità, e non sono stati creati o, almeno, aggravati dalla mala volontà e dall'egoismo di alcuni. Piu recentemente l'Unione Zuccheri, senza che nessuna ragione potesse giustificare o almeno spiegare il suo deliberato, ha approfittato di questo momento di ansia - in cui l'attenzione del pubblico è rivolta altrove - per aggravare le imposizioni feudali che i baroni delle barbabietole riscuotono dalla massa dei consumatori. I grandi giornali quotidiani si sono guardati bene dal far appello al sacrificio di interessi particolari (niengiore che allora doveva affrontarsi, quello della ~erra, viene riportato anche l'articolo del Mondolfo, insieme alla postilla del Salvemini. Riprodotto quasi integralmente in "L'Unità" e "La Voce," cit., pp. 459-464. [N.d.C.] 507 B1blrotecaGino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==