Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

"Come siamo andati in Libia" e altri scritti dal 1900 al 1915 germe di nuove guerre immediate e di rinnovati sperperi militari? Se questa crisi di bestialità non si chiude con una pace, che permetta ai ·sentimenti di solidarietà umana di predominare sui malvagi istinti della prepotenza e della rapina, la civiltà europea correrà pericolo di un naufragio rapidissimo, irreparabile. Dopo una cosi colossale distruzione di ricchezze e di vite umane, con l'enorme onere di pensioni per le vedove e per figli dei morti e per i resi inabili al lavoro, sarebbe già assurdo pretendere di mantenere le spese militari all'antico livello: immaginiamoci, poi, che cosa avverrebbe se le spese dovessero crescere ancora. Ironia della storia! Chi veramente è conservatore, deve oggi adottare rapidamente tutte le ideologie democratiche, e cercare in un assetto piu equo e piu pacifico dell'Europa la possibilità di una grande diminuzione di spese militari. Chi è veramente rivoluzionario, invece, deve augurarsi che preval- . gano nella futura pace le ideologie conservatrici, militariste, nazionaliste: perché il trionfo di queste porterebbe a breve scadenza la disorganizzazione di tutto il vecchio mondo sociale e la, possibilità di nuove creazioni attraverso i patimenti di una spaventosa crisi. E certo se gli elementi di nuove formazioni si manifestassero, fino da oggi, intorno a noi, varrebbe forse la pena di affrontare, anche dopo la infamia di questa guerra, i disagi di una grande crisi sociale. Ma questi elementi non si vedono. I partiti rivoluzionari si sono rivelati in questi ultimi mesi, in tutto il mondo, incapaci di esprimere dal loro seno una nuova direzione della vita politica o sociale. Hanno aderito brutalmente all'imperialismo dei loro governi, come i socialisti tedeschi o austro-ungarici; oppure si sono stretti con le classi dominanti della loro nazione in una legittima e disperata necessità di difesa, come i socialisti belgi, inglesi e francesi; oppure si dibattono, senza testa e senza cuore, fra il s1 e il no, miserabile spettacolo, incapaci a impedire la guerra, e augurando un disastro per poter dire "l'avevamo detto" e aumentar voti nelle elezioni, come tanti e tanti socialisti ufficiali italiani. Una crisi sociale, dunque, dopo la guerra, non ci darebbe la rivoluzione: cioè la sostituzione di un nuovo regime economico ed amministrativo all'an· tico. Ci darebbe l'anarchia: cioè lo sfasciamento di ogni organizzazione sociale e politica: qualcosa di simile all' " anarchia spontanea " dei primi anni della rivoluzione francese; e, dopo un periodo piu o meno lungo di patimenti, o l'adattamento passivo alla nuova condizione di miseria e di barbarie, oppure una reazione militare viol<;ntissimapromossa e sorretta da tutti gli uomini desiderosi di salvare qualcosa della vecchia civiltà. Per evitare tanta rovina, non resta che lavorare, mentre dura la guerra e anche partecipandovi, a preparare una opinione pubblica europea, la quale esiga dalla diplomazia una pace che assicuri all'Europa un sistema di rapporti stabilmente pacifici e di minori oneri militari. In Inghilterra un movimento in questo senso si è già determinato e si allarga di gim·no in giorno. 486 Biblioteca Gino Bianco

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