Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

"Come siamo andati ,n Libia" e altri scritti dal 1900 al 1915 fini corrisponde immediatamente un correlativo spostamento nei mezzi necessari. Ma chi mai, all'infuori degli uomini di governo, che conoscono i trattati precedenti e le proposte precise che vengono fatte o non vengono fatte giorno per giorno dagli uni e dagli altri al nostro paese, chi mai, ignorando questi decisivi elementi di giudizio, può sentenziare con sicurezza che il Governo fa bene o fa male a rimanere neutrale, farebbe bene o farebbe male a rompere la neutralità? E anche quando nell'esame dei mezzi richiesti dal raggiungimento di un determinato fine apparisse necessaria la guerra, non è evidente che al solo Governo tocca la responsabilità di scegliere il come e il quando, salvo beninteso ad assegnare, a fatti compiuti, a ciascun responsabile il merito del bene e il demerito del male fatto? Insomma il nostro diritto di cittadini di uno stato democratico è quello di assegnare al Governo il tema che esso deve svolgere; diritto del Governo è di avere una ragionevole libertà nella scelta e nell'uso dei mezzi opportuni per la realizzazione del -programma, e di avere la certezza che nel caso che occorra la guerra ,per la realizzazione del -programma voluto dal paese, il paese lo seguirà. Il paese delle frasi insulse Invece, da cinque mesi a questa parte non si discute d~altro che di intervento o di neutralità: cioè proprio di quel problema che il piu elementare buon senso dovrebbe consigliare a lasciar da parte. E si lascia sistematicamente nell'ombra la definizione degl'interessi nazionali, cioè si trascura di illuminare l'opinione pubblica proprio su quel punto, che i privati sono competenti a discutere e decidere. In questo campo tutto si riduce a frasi vuote di senso: " sacro egoismo, " " interessi vitali, " " giuste aspirazioni. " Ora, si può comprendere, almeno fino a un certo punto, che gli uomini di governo tacciano sui resultati, che intendono raggiungere, finché non ritengano di avere la sicurezza del successo e non reputino giunto il momento di mettere le carte in tavola. Dopo trent'anni di politica segreta ed equivoca, non si può pretendere che ad un tratto il Governo assuma una linea di condotta diversa: non si cambia il cavallo mentre si attraversa il fiume. A pace fatta, se la democrazia italiana non è formata tutta di traditori, o d'imbecilli, qualche voce non dovrà mancare che ecciti il paese, in base alla pericolosa esperienza di questi giorni, a mettere fine alla politica dei segreti e delle sorprese. Per ora, bisogna accettare senza beneficio d'inventario l'eredità de] passato, o cercare di renderne meno amara che sia possibile la liquidazione. Ma quel che documenta la immaturità politica del nostro paese, quel che ci umilia come democratici e come italiani, è la facilità con cui, fuori del I 426 Biblioteca Gino Bianco

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