Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

'' Come siamo andati in Libia " e altri scritti dal 1900 al 1915 di buon senso non potranno non risponderci che esse, nei panni degli uomini di stato inglesi o francesi, ecciterebbero le tribu berbere contro di noi, le fornirebbero sotto mano di armi e di denaro e magari anche di capi militari: cercherebbero, insomma, di renderci piu difficile e piu costosa e piu lenta che fosse possibile la conquista effettiva della Libia interna, per tenere lontano da sé, piu che fosse possibile, il poco lieto momento in cui noi raggiungeremo i confini da ... rettificare, e potremo iniziare la nuova avanzata verso· quel lago Ciad, in cui si trovano tuttora sommerse le chiavi di casa. Se noi fossimo convinti, come gli scrittori della Rivista coloniale, che la Libia non basta alla grandezza, alla gloria, alla felicità, alla espansione mondiale ed extramondiale dell'Italia, e considerassimo la impresa di Libia come _ il primo numero di un infinito programma di conquiste ulteriori, verso l'est fino al mar Rosso e magari fino al Golfo Persico, e verso il sud fino al Capo di Buona Speranza, e v~rso l'ovest fino all'Atlantico - nulla si deve reputar vietato alla retorica dei nostri letterati! -, noi cercheremmo, per una ventina d'anni almeno, di essere ottimi amici della Francia e dell'Inghilterra, e approfitteremmo di questo ventennio per sottomettere e organizzare con le minori difficoltà possibili la nuova colonia, e per mandare molte altre centinaia di migliaia di italiani in Egitto e in Tunisia; e nello stesso tempo cercheremmo di incivilire e rendere sempre piu soddisfatta e fiera del proprio paese la massa di italiani, che sarà costretta ancora per molto tempo a migrare per il mondo. E non parleremmo mai di nuove conquiste coloniali. Da cosa nascerebbe cosa, dato che la oramai proverbiale "fatalità storica" dovesse condurci a qualcosa. Ma per ragionare ed operare cosi bisogna essere insensibili al piacere di scrivere e soprattutto di rileggere poi stampato un bel "componimento" eroico a base di elmi di Scipio. E finché i letterati italiani non saranno diventati meno gonfi di rettorica e meno vuoti di seria coltura, bisognerà che il nostro paese metta, nel bilancio delle sue passività inevitabili, anche i danni che le frenesie verbali di costoro possono produrre allo sviluppo normale dei suoi interessi legittimi e reali. 272 BibliotecaGino Bianco

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