Gaetano Salvemini - Come siamo andati in Libia

"Come siamo andati in Libia" e altri scritti dal 1900 al 1915 capitali alla economia nazionale, è quella di ridurre nella colonia le funzioni dello Stato al minimo assoluto (ordine pubblico, giustizia, scuole), e lasciare tutto il resto in balia delle iniziative private. Se è vero che il paese •è meravigliosamente ricco di suo, e che la colpa della povertà attuale è tutta dei turchi, non appena l'Italia ne abbia cacciati via gli oppressori e abbia spalancato le porte alla civiltà e abbia assicurato difesa militare e giustizia a chi intende laggiu andare a cercar fortuna, è certo che il capitale si precipiterà da tutte le parti in Tripolitania, e dietro il capitale internazionale andranno i laYoratori italiani, che sono i soli capaci di popolare l'Africa settentrionale. L'Italia, per ottenere questo miracolo, non deve che "lasciar fare, lasciar passare," e... non spender nulla. Se, invece, il paese in tutto o in parte non offre possibilità naturali di investimenti piu remunerativi di quelli che offrono i paesi finora conosciuti e sfruttati, è evidente· che il flusso naturale dei capitali e del lavoro non avverrà; e piu che mai in vista di siffatta ipotesi è' evidente che l'Italia farà bene a non spendere in Libia piu di quanto non sia strettamente necessario per motivi politici. I quali motivi politici - sarà bene tenerlo sempre presente - si esauriscono tutti nella conquista delle città costiere. Occupate e pacificate queste; assicuratici cosi dal pericolo che ci andasse " qualche altro " in vece nostra, messici noi al posto dei turchi; è evidente che da allora in poi la impresa di Tripoli deve ridursi per noi a una operazione di tornaconto economico, e deve essere guidata da criteri esclusivamente economici. La penetrazione stabile verso l'interno dev'essere subordinata alla previsione di vantaggi economici. Nella zona costiera, non appena questa sia definitivamente conquistata e pacificata, lungo un fronte di milleottocento chilometri, sotto la protezione immediata delle nostre forze militari, se il paese è veramente quell'eldorado che si è fatto credere, vi sarà certo tanta terra buona da bastare per molti anni a tutte le possibili nuove imprese e a tutti i possibili coloni. La penetrazione effettiva verso l'interno si farà, caso mai, a poco a poco, via ·via che le terre coltivabili costiere saranno esaurite. Dalle tribu piu interne basterà pretendere dapprima la semplice sottomissione nominale concedendo libertà di commercio verso il mare agli amici, intercettando il commercio a chi non si sottometta. E anche in questo noi siamo lieti di avere fino dall'Unità del 13 gennaio 1912, presentate idee, che sono state confermate e sviluppate alcuni mesi dopo dal Mosca. Nel primo decennio della nostra occupazione, dovremo probabilmente limitarci ad esercitare nelle popolazioni che abitano le oasi del vero deserto, una semplice influenza morale, che potremmo senza troppe difficoltà imporre con mezzi esclusivamente politici, tenendo aperti o chiusi quei mercati della costa, che sono necessari al commercio e all'approvvigionamento degli abitanti del Sahara. In cambio dovremmo loro richiedere di non accogliere i profughi e di non fomentare le insurrezioni delle tribu della montagna tripolina e del1'altopiano cirenaico. È assurdo il timore che dal deserto possano venire grossi eserciti a combattere~ perché, pur non tenendo conto delle difficoltà della marcia, la popolazione dd Sahara è scarsissima e largamente disseminata in oasi distantissime l'una dall'altra. 198 BibliotecaGino Bianco

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