Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Italia e Vaticano durante la guerra questo ramo di coltura con le armi, quando le armi ci portano via dai campi le robuste braccia giovanili.4 Il cardinale arcivescovo di Milano parlò sempre sullo stesso tono, fino .alla fine del suo discorso. Se in quegli stessi giorni un cardinale avesse osa– to parlare nella stessa maniera in Austria, sarebbe stato senza tanti compli– menti internato in un campo di concentramento. Dal punto di vista della carità cristiana e dell'internazionalismo cattolico, questa era la politica logi– ca. Ma l'esperienza di tutti i secoli dimostra che l'alto clero cattolico ha sempre saputo, quando gli faceva comodo, sospendere le leggi della carità cristiana per adattarsi alle necessità del nazionalismo non cristiano. Durante la guerra mondiale, l'Italia fu il solo dei paesi belligeranti, in cui l'alto cle– ro cattolico rimase fedele alle sole leggi della carità cnstlana. In tutti gli altri paesi belligeranti, cardinali e vescovi misero al di sopra della carità cristiana la carità nazionale. Con tutto questo, chi voglia giudicare obbiettivamente i rapporti fra il Vaticano. e il govern~ italiano durante la guerra, deve riconoscere che, dato il contrasto fra la politica dell'uno e quella dell'altro, l'abilità dimo– strata da entrambe le parti nell'evitare urti clamorosi e situazioni irrevoca– bili, fu veramente mirabile. Nessuno nel Vaticano aspirava al martirio, e il governo italiano non aveva nessun interesse di fare dei martiri. Fu questo il periodo classico delle "combinazioni" giornaliere. Lo scrittore cattolico francese Charles Loiseau, che visse a Roma durante la guerra come rappre– sentante ufficioso del governo francese presso il Vaticano, scrive: Durante la guerra, salvo casi rarissimi, il Vaticano e il Governo italiano non dovevano concertare le loro decisioni. Ma dovevano mantenere, e vi sono riusciti, la decisione di lasciarsi guidare dalla prudenza e dalla flessibilità del carattere nazionale. Bisognava mantenere contatti, e si passò sopra le "ignoranze" diplomatiche. Le occa– sioni di scambiarsi favori erano frequenti, e venivano colte. Senza dubbio si potrebbero citare alcuni scontri, che erano d'altronde indispensabili per salvaguardare le apparenze ufficiali. Ma [...] non è un segreto per nessuno, a Roma, che la Casa reale, i ministri, i parlamentari influenti ricorrevano ai buoni uffici del Vaticano, piuttosto che agli organi della Croce Rossa italiana, per corrispondere con i prigionieri di guerra internati in Austria o procurar loro qualche vantaggio. Da parte sua, la "Consulta" muniva senza difficoltà, anzi con piacere del visto diplomatico italiano i passaporti consegnati dalla Santa Sede ai nunzi, internunzi o altre personalità che dovevano uscire dal Regno. 5 Dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria, sorse il proble– ma se avrebbero potuto continuare a dimorare a Roma gli ambasciatori del- 1' Austria e della Germania presso la Santa Sede. Il governo italiano fece sapere a Benedetto XV che era disposto a lasciarli rimanere a Roma, goden– do di tutti i privilegi diplomatici tradizionali, a condizione che la Santa Sede controllasse la loro corrispondenza per assicurarsi che non servisse ad 4 "Avanti!," 7 novembre 1915. Il primo ministro era Antonio Salandra. [N.d.C.] s Ch. LorsEAU, Politique romaine et sentiment français, cit., pp. 147-48. Cfr. E. VERCESI, Il Vaticano, l'Italia e la guerra, cit., p. 98; E. DEVOGHEL, La question romaine sous Pie XI et Mussolini, cit., p. 19. 207 oteca Gino Bianco

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