ITALIANE E ROlti!GNOLE DI DON PI~TRO SANTONI FU S I GNAN E SI!. R ACCOLTI~ E POSTE IN LUCE DA /.:&i . . . t~t..·G··~'\._ 10~110· ~ ~ ~ . ~ 0\.. ' .... J"UGO P ER M li:LANDR I lltDCCCXL
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A SUA ECCELLENZA !L 810, hiABCHESE COIJ!fr!ENDATOBJ! 0otenoe CAVALIERE DELL'INSIGNE ORDINE DI CRISTO CIAIIIDERLANO DELLA 1. E R . CO&TE· DI TOSCANA !flj11 Un libro) che dona alla posterità l a memoria di un mio Concittadino, il quale mentre visse rallegrava gli animi con giocondi carmi , a chi meglio potea dedicarsi, che all' E . V. i' 'Voi, o Eccellenza) seguendo il generoso escm.; pio dc' vostri llfaggiori, mai non lasciaste di far lieta della vostra benevolenza questa mia T erra natale, onde vorrete in oggi risguardare con occhio benigno, cd amorevole un'opera) che ebbe per fine di assicurare alla stessa un orna• mento) che il tempo minacciava di distruggere; tcro è che l' insufficienza delle mie forze non mi avrà permesso di toccare lo scopo prefissomi, e l'offerta è sì piccola cosl~, che para~o-:.
nata agli alti meriti vostri, non può non venirmene vergogna: ma voi ascoltando il solo impulso della magnanimità vostra, accettate nel poco, che vi offèro, il molto che vorrei darvi, e compatendo all' Editore non lasciate di sorridere al Servo devoto, che viene a porgervi un lieve tributo della sua riconoscenza, e venerazzone. UriJo D evmo Obblmo Servo GIACINTO CALGARINI .
BIOGRAFIA @i, ©ou ~ietto S~nfo·ui -·~·- SmnJt nella bassa Romagna un' antica , ed ame- . na Terra, che appellasi Fusignano; feudo un tempo dell'illustre , ed antica Casa de' Marchesi Estensi Calcagnini . Molti celebri uomini ebbero in questo suolo la culla, e per non fare di tu t ti una particolare enumerazione , basterà il ricordare Arcangelo Corelli, l'Apollo della Musica Italiana, e il Cavaliere Vincenzo Monti . . .. .. • . cui largì natura. Di Dante il genio, e del suo Duca il canto. Quivi a' dì I3 Dicembre 1766 nacque il nostro Pietro di Maria Guerra, e Nicola Santoni Sartore di onesto costum~ in umile fortuna. Da Marcello Padovani , uomo dotto nelle lettere a que' giorni , ricevette Egli nella mente i primi semi delle gentili discipline , e mercè la benevolenza de.l Zio materno D. Francesco Guerra potè dare compimento agli studi nel Seminario Faentino, ove lasciò belle prove di fervido, e svegliato ingegno. Giunto il Santoni dappresso al quinto lustro dell'età, e res'osi uno del hel numero dei Ministri
6 del Tabernacolo, ritornb in Fusignano a fare la Madre sua lietissima di un onorat() figlio, ~ festosa la Patria di questo novello ornamento. L'indole schietta, e piacevole del Santoni sposata alle eccellenti qualità della mente, e del cuore lo recarono tosto a gran cima di benevolenza, e di stima ne' suoi Concittadini. E poichè nella scienza dell' amministrare si mostrava valoroso, successe al prefato suo Zio nell' ufficio eli ministro dei Beni della Comuni-a, di cui· fu membro. È noto con quanta sagacità· r e rettitudine E i si condusse nel commessogli ministero, e· gic.. come era quella. l' epo<l'a sventurata, in cui la prepotenza straniera disertava· Nostra Madre Halia d'ogni suo caro ornament~· , nè le più sagre cose, e venerande restavano inta-tte dalle furiose rapiue, il Santoni nolil venne meno a se medesimo, e fu epera del vigoroso zelo di Lui se una parte deg1i arredi sacrati al servigio della no·stra maggior Chiesa scampò· dall" universale naufragio. Resse ancora gli affari del Marchese Guido CoreUi, e della propria fece pu·nteHe alla vacillante di lui fvrtuna; ed a.vel'ldo con altri fatto uso di una sprovveduta liberalità, cad<le H Sa·nto- · ni in pove·ro stato, ed ebbe· a deplora,re la sua: inesperienza nei raggiramenti dell'umana perfidia. E qui non vuolsi tacere il vivo interesse posto in opera dall' egregio Sig. Giuseppe Monti a raddrizzare di qualche guisa Ja fortuna di D. Pietro, onde ai veda, come- ia mezzo a quelli , che-
7 deturpano la Società eon un vile egoismo , mai lon mancarono i sostegni della filantropia , e dell ' _lmanità. D. Pietro amò moltissimo la eaccia, di cui travagliassi per insino agli ultimi suoi anni ; negli ,mrcizj della musica si dilettava, e tal fiata apparve ne' pubblici esperimenti sacro Cantore, e Suonatore di Violoncello. Maravigliosa fu poi la facili~à sua nel verseg- ~are in istile bernesco , massime allor quando fete uso del nativo dialetto: non avveniva fatto in Fusignano di qualche notabilità, che Ei non ,ponesse in festevoli rime : i carmi suoi rallegravano le veglie , le oneste brigate degli Amici , e si rendeano famigliari aù ogni ceto di persone. Anche le serali adunanze del Marchese Francesco Calcagnini Seniore venivano tramezzate dalle spiritose poesie di D. Pietro) che da quel magnifico Signore era sommamente onorato, ed amato. Può dirsi che Egli era il Poeta tutto i spirato dalla natura; chè sebbene negli anni suoi giova,- nili avesse percorsa una. ben ordinata carriera di studj, pure sappiamo che nell'età più provetta pon si curò di regolare colla meditazione dei Classici la sua strabocchevole fantasia. Laonde non è mera-viglia se talora non seppe congiungere la grazia de !P espressione aÌla lepidezza, e novità del concetto. Amicissimo fu sempre al glorioso Poeta Cavaliere Vinncenzo Monti, che negli anni suoi gio-:
8 vanili albergò nella di Lui casa. Quell' insigra Cavaliere godeasi al di là d'ogni modo del leg· gere i Santoniani componimenti; nelle sue let· tere agli Amid solea nominarlo per l' Anacreont1 tli Fusignano, e non potea risovvenirsi della pro· pria Terra senza ridursi al pensiero questo sue buono, e vecchio Amico. Fu il Santoni leale negli affari, spiritoso nell~ conversazioni) onesto in ogni sua azione, disinteressato, pio) sincero. Egli seppe egregiamenLe Mrvire al Sacerdozio senza rimanersi di assecondare quegli esercizi, ai quali per amenità di natura si sentiva inchinato. Dell' amore verso la Patria, verso i Congiunti ebbe l' animo caldissimo; di motti, e di facezie usava condire ogni suo discorso, e pare che ne' suoi versi ritraesse tutta la piacevolezza del suo carattere. Nè degl' insulti della fortuna mai si turbò; chè anzi con lieto animo ricevea qualunque avversità, facendone soggetto di riso ne' suoi canti berneschi . Gli amici suoi ricordano ancora come sul tramonto della vita Egli non lasciava d'intrattenere con la vivacità del suo spirito, e con quella beata vena di poesia, che mai non inaridì se non col mancare de' suoi giorni . Un riscaldamento di petto lo trasse nella Tomba a dì 24 Aprile del x823 nell' età di anni 87. Pochi giorni avanti la sua scomparsa dal mondo avea il buon Vecchio composto il suo Testamento in ottonarj italiani, e volle in esso scherzare
9 sulla povertà, cui era stato tratto dall ' ingiustizia degli uomini. La sua morte sebbene non immatura per la pienezza dell' età) f11 amaramente sentita nel cuore di tutti i Fusignanesi, fra i quali vive ancora carissima la memoria di questo Gènio bernesco, e vivrà sinchè basti tra gli uomini la simpatia alla virtù, e l' amore delle spiritose, e leggiadre poesie . Noi pertanto nel tessere questo elogio, credemmo di adempiere al debito , che corre all' uomo socievole, di onorare dopo morte chi vivendo risplendette per la bontà delle opere J o per la grandezza dell'ingegno. Saremo perciò lietissimi se nel salvare da ingiusta dimenticanza la memoria di un nostro Concittadino, si potrà per noi far vedere che siccome il Milanese nel Porta , e la Sicilia nel Meli J ebbe la Romagna in D. Pietro Santoni chi seppe nel suo dialetto Ieggiadramente vestire la soavità delle Muse. DELL' EDJTOR.E. l "'
IL VIAGGIO AL PARNASO POEMETTO Per le Nozze Del Sig. Conte GIULIO PERTICARI Colla Signora CosTANZA MoNTI seguite nell'anno I8I2.- ' ToRNA Maggio, e D. Santoni Torna al canto. Amici buoni; Lungo, o corto il vostro orecchio ; Date attenti, ch' un bel caso Accaduto sul Parnaso A cantare m' apparecchio. Or che l' arte in se secura Rotto il véto di natura Al miracolo pervenne Di volare senza penne ; Or che a far conversazione Con la luna sul pallone Van per aria lievi, e snelli Zambeccari, e Marcheselli, Che stupir se dal desio Di volar fui preso anch' io ? Un dì dunque dopo pranzo Ben pasciuto come un manzo Con piettanze delicate , E bevande navigate, Nella Villa di Majano Di Cà Monti allegro piano
l .!l. ~on curando i canapè Mi sdrajai dentro un Bombè; Prendo sonno' e in un momento Senza gas , e senza vento Fra le nubi come augello Colla neve sul cappello E gelato mani, e naso Mi ritrovo sul Parnaso. Nel veder lassù salire Non mai visto in quella vetta Un Bombè, vi fu un gran dire. Qualche mostro ognun sospetta, E i Poeti, tutta gente Bellicosa, c ùi bravura, In Cantina prestamente Si celar dalla paura. lVIa le guardie sul bastione Della Hocca di Elicone Senza dir molto , nè poco Col cannone fecer foco. Al fragor di quella ria Rimbombante artiglieria Fusa un dì da certo tale Roman gobbo originale, Che godea far versi al suono Di spingarde , e qual gran tuono ~ Che saltar fe' dentro i fossi I Ranocchi d' Jppocrene , Pensi ognuno se gelossi Il mio sangue nelle Yene.
Pnr fo core, e bianco , e netto Alzo in aria il fazzoletto. Persio, ch'era Presentino Della porta, a me vicino Si fa tosto, e fermo il passo Mi sguardò dall' alto al basso, Indi grave, e duro duro Con un viso alquanto oscuro .Fuor la carta mi ·dicea , E la carta ei dir volea , Che chiamiam di sicurezza. Io che son tutta dolcezza E studiai ( quantunque nato In Romagna ) il Galateo, Riverente, e sberrettato Sullo stil di Mastro Meo; Gli risposi: a un uom dabbene Per andar dove gli pare Non fa duopo di portare Carte seco , e pergamene ; Ma per farmiti palese Fusignano è il mio paese , E alla barba dei buffoni Io mi chiamo Pier Santoni. AH' udir di Fusignano, Cortesissimo, ed umano Si fe' tosto quell'arguto Brusco alunno di Cornuto E riprese: assai m'è caro Il saperti cittadino
l-io Di quell' inclito , e preclaro Cavalier , che di latino Mi fe' tosco , e udir vorrei Se un amico suo tu sei. Amicissimo, cospetto ! Io ripresi, e il più diletto, È di tutta insiem~ amico La sua Casa , ed il più antico ; E il non esserlo saria Veramente una pazzia. Ciò ch' Egli ha , non è mai suol Fanne inchiesta, e tosto è tuo. Ed infatti guarda, e vè , Egli è questo il suo Bombè; Bravo, bravo in un buon punto Galantuomo sei qui giunto , Ripigliò lieto, e cortese Quell' onesto , e a man mi prese. Ci avviammo prestamente Verso un Tempio, che eminente Risplendèa d' oro, e il i perle , E di gemme , che a vederle La pupilla mi si chiuse ) Era il Tempio delle Muse. Nel salir passammo accanto Ad un dazio tutto quanto Pien di versi , che indiscreti Vi diluviano i poeti ; I migliori al protocollo Del Burò vanno d' Apollo ;
Gli altri vanno al regal cesso Delle dive di Permesso, E fra questi andar vid' io I miei pure : poffar Dio ! Giunto al Tempio in alto soglio Come Giove in Campidoglio Veggo Apollo circondato Dai Magnati dello Stato Tutti a pied.i di quel Nume In gran veste da costume_. De' Poeti la plebaglia, Canzonisti , Sonettìsti , E ciascun della mia taglia Stan più indietro, e immenso; e pazzo Tutto questo popolazzo Fea co' plausi, e con gli evviva Un fragor , che ti stordiva~ Ed inver disordinata Era tanto la Brigata j Che più volte il grande Alfieri, Che di Pindo è-il Barigello, Per frenarla fu mestieri Or su questo, ora su quello Colla frusta andar dintorno. Dalle Muse, che ne vanno Tutte in gala, il compie anno Celebravasi in quel giorno Di sua intonsa Maestà Con regal solennità. ·Fan l'orchestre cento, e venti IS
J6 . Scelti, e musici strnment1, Ed Arcangelo Corelli N'è il supremo Direttore ; Stanno sotto a fargli onore Cimarosa, e Pajesello , Vinci , il Sassone , e Tartini Pergolesi , ed il Martini E son capi delli pieni 11 Rossetto, e Saraceni , E n'usciva una armonia, Che di gaudio ne rapia. Pachiarolti con Orfeo, Con colui, che a Tebe feo La Muraglia a mano a mano Vi cantavan da Soprano, Da Tener Petrarca , e Tasso , Alighier da contrabasso. Ma ciò che per maraviglia Inarcar mi fe' le ciglia, Fu il veder tra que' veccltioni Con pistole, e pantalom Il Divino eterno Omero ; Dante è ver gli porse in mano Una 11pada da Sultano, Ma qui Dante è menzognero ; Le sue armi eran pistole ·, Questo è chiaro come il Sole, Riluccnti, e d'or bollate In Versaglies fabbri cate , Ed in ciò fra' gli altri dotti
M' ha convinto il Cesarotti 1 Che la briga già si prese Di vestirlo alia france'Se. Come tutto radunato Fn de' Vati il gran Senato Latin, Greci, ed Italiani. Angli , Gallici, e Germani, ( E vi vidi mi scommetto Pieno d' estri peregrini A cavai del suo grametto Anche il nostro Simonini ) L'alto Nume di Permesso Così disse : venga adesso Del gran Sir Napoleone Il Poeta, s' incorone, Venga a prendere gli allori . Meritati, e ognun l' onori. Al finir di qJlesti accenti Si fer tutti muti, attenti Come il rozzo Contadino Quando parla l' Arlecchino, Ed aperto lo steccato Ecco : oh vista ! accompagnato Dalle Muse, e da Marone, E da Dante e dal Vecchione , Che vedemmo in pantalone, E chi mai ? l' amico mio Il mio Monti, sì per Dio! Giunto al Trono il divo Apollo Gli si getta tosto al collo, l(
18 E gli posa indi sul crine Colle proprie man divine D' onorato lauro up serto Giusto premio del suo merto ; Poi d' Italia al Dio si cara Primo vate lo dichiara, Ed ognuno il gran decreto Confermò concorde , e lieto,' Ei modesto in tanta gloria Senza fasto, e senza boria Umilmente s'inchinò E il gran Nume ringraziò : Sull'orchestra il gran Corelli Al veder l' onor che rese Febo ad un del suo paese , Udir suoni fe' sì belli , Che l'illustre Comitiva Replicò più volte: evviva ! Ma non qui di sì bel giorno Fu finito il gaudio, e il riso. Poichè tutto all' improvviso Gran romor si sente intorno, E frattanto un Ciambellano, Che mi par fosse Lucano , Fassi avanti, e al biondo Sire Ei r11cconta che venire. Alla fes ta, che si fa, Vogliono altre Deità. Detto fatto, ed ecco Imene Con la face, e le catene ,
Con Giunone, e Vener bella E Minen-a , e sua Sorella Ed infine il divo Amore, Che di Giulio, e di Costa·nza In dolcissima alleanza Santamente strinse il cor~r. L'alma coppia al Nume Ascreo Si presenta perchè dia ~gli stesso a.ll' Imeneo Òpn la delfica. armonia L'a fin al benedizione,. Come fassi alle persone D'alti pregi, che mai vanno Senza canto al sacro scanno. Se maggior la maravigl..ia Fu ùel Padre , e della Figlia. Nel vedersi in sì bel punto~ Non è a dirsi un lieve assunto. !<'atto sta, che dell'amore Impartito al Ge~iteFeSi compiacque 1 e ancor più beHa Parve allor la Verginella, E il cortese Aonio Dio-,. Poichè alfìu la benedì , E allo Sposo indi l' unì, Confessò sul serio a Clio Che negli anni suoi senili Mai non vidde alme simili·. Agli evviva mi destai, Ed in letto mi trovai,
!10 Poichè il nettare di Bacco M' avea il capo alquanto fiacco; Ed il letto fu da me Allor preso per Bo mb~; Pur dal sonno mio destato Non mi par d'aver s~ato." Che sia Monti al Delio Nume Fra ben mille prediletto, Che d' Italia onore , e lume Sia dal grido comun detto Da nessun negar si può, Non è sogno, Signor no. Che la Figlia sia un portento E di grazia, e di talento, E lo Sposo un caro , e degno Giovinotto d' alto ingegno Da nessun negar si può , Non è sogno: Signor no. Che uscir possan tra lor Figli Un che l'Avo appien somigli , L' altro il dotto Genilore Eccellente Rimatore, Anche questo non si può Sogno dire: Signor no. Ma ch'io possa viver tanto Da poter tornare al canto Per un altro sì bel ·'ì ) 1 Questo è sogno, Signor si, E però protesto a Clio; Mai più versi, versi a<ldio.
IN LODE DELL' ORATORE RICCI Che predicò nella Chiesa Arcipretale di S. Gio. Battista in Fusignano la Quaresima del 1777· CANZONE GRAZIE al Ciel, lode agli Dei La Quaresima finì : Me n' andava pria di Lei Se durava ancora un d}. n digiun' la parca mensa M'han consunto pelle, ed ossa; Per rigor di fame immensa Mezzo son già nella fossa. Poche arrenghe verminose, Ben cattivo caviale Fur le più squisite cose Della mensa mia frugale . Pesce fresco ben di raro Sulla Piazza fu portato, Ma perchè era troppo caro Sol cogli occhi l ' ho gustato. Qualche vol ta nel Tegame Un par d' ova io mangi ai ; Non so dir con quanta fame Ogni volta mi rest ai. Sono grande di statura, Corpolento come un Bue, Ne chiedea la mia struttura Ventiquattro, non già due.
S21 Ventiquattro ova in allora • . Si vende'van due pappettl' Sicchè avrei sborsati fora Sette scmli netti netti. Quel , ch' è peggio, e as.sai mi cale; Mi serpeggia tra Ja cute Certo acrimonioso sale Sì molesto alla salute, Che a guarire un tanto male Mi vorranno nei decotti , Nel Dottore, e lo Speziale Dieci scuùi senza i rotti. Or fra tanti, e tali guai, Che mi dan sì da pensare; E m' han rotto il capo· ormai , Come fassi a poetare ? I Poeti , o mio Ferrari, Che han di guai la testa piena, E ognor son senza ùenari , Ti so dir, che han trista vena. Onde adesso speri invano, Che io dia lode al ùotto Ricci 1 Perchè quando anche son sano Non so far che dei pasticci . D' Orator grande, e preclaro Porta Ricci seco il nome Reso al mondo tanto chiaro , E da tutti si sa come. Di lui parla già la Storia Pel pensier, pel bel latino
Che gareggia in oratoria Collo stesso Autor d'Arpino: Allor quando in verde etate Io volgeva le sue carte, - Posso dir che di sferzate Ricevetti una gran parte: Talchè impresso ei mi restò Sulle mani, e sulla schiena; Onde mai mi scorderò Di parlar finchè avrò lena: E tn ancor, Popolo eletto Portar devi a tutte l'ore Vivo, e impresso nel tuo petto Un sì degno Succes&ore. Perchè no ! non vedi il vizio Che incedeva I!Ì borioso, Or fuggire a precipizio Avvili t o , e :vergognoso ? Ecco vinta la discordia Mostro orribile, ed audace; Che dà luogo alla concordia, All'Amore, e all'alma Pace. Col suo esempio, col suo zelo, E col dir tanto possente Insegnò la via del cielo A calcar speditamente. A te dunque spetta intanto Di studiar con tutta l' arte Di restarti sempre santo: Ricci ha fatto la sua parte.
IL MONDO DELLA LUNA POEM)!:TTO Per le Nozze Degl'Illustrissimi Signori RosA Anr.tANDt di Fusignano e IcNAzro MoNTANARI di Bagnacavallo seguite nell' Autunno del 1780. Ecco i numeri del lotto , Se vi fosse un qualche dotto Che volesse interpretare Il bel sogno, che a narrare M' apparecchio, ascolti attento Se acquistar vuol oro, c argento. Mi parca così sognando, E tra me fantaslicando, Che sospinto dal desio D' apparire al mondo anch ' io Un uom grande, e uuiversale, E di rendermi immortale, Io prendessi Cannocchiali , Tre compassi tutti eguali, Una piana Tavoletta, Una riga curva, e retta, E quant' altro è necessario All' Autor d' un buon Lunario, E salito il mio giumento Più veloce assai del vento
Che libravasi sull'ali Di seicento, e più Corcali, Senza tema d' Aquiloni, Di procelle, lampi, e tuoni , Che giungessi alle ventuna Ne' bei campi della Luna. Quel, che vidi, noi dirò: Chè virtù tanta non ho. Ben so dir, che al primo ingresso Io res tai fuor di me stesso l n veder quella verdura, In goder quella frescura, In mirare, che ogni uccello Mi volava sul cappello, Mi becca,·a franco, e ardito Ora l ' uno , or l'altro dito , Quasi in nuovo , umil linguaggio Mi volesse fare omagg io ; Ta lchè più d'un ora certa Me ne stetti a bocca aperta. Indi stanco dal viaggio M'adagiai sotto d'un faggio , Al cui piè limpido fonte Gitt scorrea dal vicin monte; Sitibondo l' Asinello Di quell' acque un gran mastello Si bevè; bevetti anch'io, E sembrommi vin di Chio.· Sul confine di una vigna Tra l' oriola, e la gramigna
!!6 Pascolando poi trovò Dolci fragole , e frambò ; Allor sì che un colmo staro Ne mangiai tra me, e il Somaro. Sì pasciuto, sonno agli occhi Avrei dato, se de' Cocchi Le frequenti scorrerie Per quell' ampie, amene vie Non m'avessero indiscrete Interrotta la qu'iete. Quello poi , che mi sorprese Fu a vedere in quel paese , E per monti, piani, e valli Attaccar non già cavalli, O Giumenti tardi, e pigri, Ma Leoni, Lupi, e Tigri ; E, nel dirlo inorridis<;o, Là tira anco il Basilisco ; Io per altro da Cocchiere Non avrei fatto davvero. :Curioso di vedere Cose ancor più forest iere Io pian piano m' incammino Dove portami il destino. M'introduco in un viale Delizioso, ameno , e tale, Che il credei sì d' ii~proviso Un Canton del Paradiso. Era il suol d' erbe odorose , Di viole, gigli) e rose ;
Coverte eran quelle Lus6he Non di nespole, e lambrusche , Ma di cedro, e limoncello, Peri, fichi, e moscatello; Mangiai tanto di que' ftntti , Che so dire in faccia a tutti Non aver giammai gustati Dei boccon sì delicati. ,l.'Jel salire un monticello Che sorgeva ameno , e bello , Venir vidi duri duri Un picchetto di Panduri Misti a schiere di Co~acchi Rabbuffati nei mustacchi, Che correvano affannati, D' archibugio , e sciabla armati . Alto là! con canna in mano Gridò allora il Capitano. Come sei tu quìl venuto In Paese sconosciuto ? Dove franco sì ti porti? Dove sono i passaporti ? Non temer la scimitarra , Ed il vero ora mi narra. Ei fa cenno; ognuno passa Al suo posto, e l' armi abbassa : Presi allor dal mio Arsenale Un Compasso, e un Canocchiale , Colla riga curva, e retta ) Ed aperta la Toletta,
28 Questo, dissi, è un acutangolo ; E quest' altro gli è un t riangolo. Questi sono i semicircoli , Che congiunti forman circoli, Queste son le paralelle, Che misurano le stelle , Questa ella è l' Ipotenusa ; Il Trapezio, che ognor s' usa Dai Maestri, e da' Scolari Per contare i rai solari. Questi sono i gradi, e i punti Per cui vedonsi congiunti Alli Gemini ) e all ' Acquario Pesce, Toro , e Sagittario. Da quell' angol si deduce Qual sia Castore) e Pollucc, Questa insomma è Astronomia, Ed è appunto l 'arte mia . Bravo, d.isse : degno sei D' ab i tar fra i nost ri Dci ; Prendi intanto quesu insegna, Che di te solt anto è Jegna, Va u' t ' aggrada, e in li eto volto Ti vedrai da tutti accol to. Ciò mi fu talmente caro, Che gli diedi il mio Somaro. Eran questi, n' ho le prove, I Satelliti di Giove: Per Yentura m' ·andò bene , Tornò il sangue nelle vene.
Sulle prime di que' Sgherri Mi credei morir ne' ferri. Di lì !ungi un mezzo miglio Io sentii certo bisbiglio, Che ·talor parea maschile, E talora femminile. M' a"vicino a una capanna, Non di giunchi, nè di canna, Ma d' alloro, e ramerino Intrecciato al gelsomino. Il piè inoltro allora ardito, Ed in nobile convito Veggio Ninfe tanto belle, Che gareggian colle stelle ; S' alzan tutte, e in varj accenti Mi fan strani complimenti ; Chi in Tedesco, chi in Francese, Chi in Spagnu.olo, e chi all ' Inglese: Poi si siede, e bianchi , e neri Anch'io vuoto i miei bicchieri. Di lì a poco al lor lavoro Se ne vanno, ed io con loro. Chè le donne di lassù Non han già la gran virtù Di dormir, bere , e mangiare , Stare allegre, e conversare, Siccome han le nostre dotte Solo a far le zerbi'uotte. Chi tesseva, chi filava, Chi cuciva, e ricamava,
3o Chi facea cuffie all' Indiana, Chi mantiglie alla Persiana , Chi stolette, grembialetti ) Buccolette , manichetti , Gonelliui , fiorellini, Fiocchi> c veli sùpraffini, E quant' altro può di bello Inventare uman cervello.. Domandai a una Filiera : Si va forse a qualche fiera? No, Signore : ch' è ogni cosa Di gentil novella Sposa, Disse allor la Tessitrice, Di una Sposa ben felice. Mi fu detto, che EUa nacque Dove impure stagnan l' acque Nel fangoso , umido piano Dell' allegro Fusignano. Rosa ha nome ... Sì Signorl!, La conosco; io dissi allora Le sue voci interrompendo, E col labbro sorridendo , Chè anche a me monna Fortuna l n quel luogo diè la cuna, E a voi posso narrar cose , Che vi son del tutto ·ascose. Ride a lei beltade altera Sul sembiante, ed ha una schiera Di Virtudi entro al suo seno D' almi pregi adorno , e pieno,
É gentil , saggia , modesta , Non ha grilli per la testa , È cortese , allegra , e tale , Che bear puote un mortale. On felice, avventurato Quello Sposo, cui toccato E' d'aver per rara sorte Così amabile Consorte. A' miei detti fecer eco Quelle Ninfe, e s'unir me(o A gridare con giuliva Alta voce : o Sposi evviva. Plauso ancor fe' il Monticello, E diè suono il Violoncello, Che già trassi di mia mano Da un gran zucco Americano. Quindi un battere di mani Per quei sommi eterei piani Forte sì, che mi svegliai Ed in letto mi trovai. Questo è un sogno, ma non è Fi~to sogno per mia fè, Che alfin voi, Signora Rosa 1 Vi facciate oggi la Sposa, E che v'abbia già allestito Di buon gusto , e ben finito li nuziale , e ricco arnese La Cuffiara Genovese. 3t
• 3a. PER LA DIPINTURA Dr: t. NUOVO SCENARIO DEL TEATRO CO;IJUN:\LE DI FUSIGNANO eseguita nel I 79~ DAL SIG. FILIPPO DIBIENA CANZONE SIA vecchiaja, sia fatica Dello Studio, o caccia amica , Sian le cure , sian gli affari, Siano i tardi Affittuari, Fatto sta, che l ' estro mio Divien pigro, e perde il brio. Quel ch' è peggio scimunito Sento ancora l'appetito, Talchè il cibo più importante l\1' è talora nauseante; Egualmente m· è nojoso Qualche volta anche il riposo Per li sogni, e le chimere, Che mi sembran tanto vere , Che ognor passo dall'orrore Ad uu giubilo il maggiore. Mi sovvien d' aver vtduto Uomo d'alto ingegno, e acuto , Che sedendo su d'un sasso Colla penna , ed il co~passo Disegnava de' triangoli, Paralelle, curve , ed angoli.
Al ùi lui sembiante astratto Ravvisar pareami affatto Od Archita l'ingegnoso, Od Euclide sì famoso , Oppur quel, che per tanti anni Or con l' arte , or con gl'inganni, Con talento, e con bravura Difendè le patrie mura. Quale fosse I.a giornata , Noi so dir; all'impensata Odo tanto, e tal fracasso, Qual da un monte se un gran masso Rovinasse , chè il suo moto Fora eguale al Terremoto. Sbigottito pian tn' accosto Al rumore, e vedo tosto Che deforme , e rozza casa Fu in quel punto al suolo rasa , Onde in giorni al pi ù quaranta Sia compita la gran Pianta. Preparati i materiali , Muratori, e Manuali, Senza un punto di ristoro Già s' accingono al lavoro; Dall' entrata, e dalle sale Lo credetti un arsenale Da coprire di fucili , Scimitarre, ed armi ostili Per far fronte a ognun, che insano Voglia invader Fusignano; 33
34 . . . In veder poi varJ ScJami E di fabbri, e falegnami Costruire de' pakhetti , Porte J e chiavi con lucchetti; Un Teatro egli è, per Bacco! Gridai sì che sul momento Mi destai pien di contento, E allorchè sarà finito, Fusignan, dissi J è compito. Se' de' nostri bravi Artieri, Che dièr fine ai lavorieri Io parlai confusamente, Fu de' sogni l'incidente, Ma se voglio dire il resto Or convienmi star ben desto : Mi yorria più franca lena Per descriver di Bibiena L'eccellenza, e la virtù, A' cui simil mai non fu, Superato avendo il Zio Nel pensier, pennello, e brio. Zeusi, A pelle, e insiem Parasio, Tutti quei, che nel Ginnasio Di pittura dimostraro Un ingegno acuto, e raro Rimarrebbero sorpresi In veder sì bene intesi I magnifici prospetti, Che finora i più perfetti Non si viddero in pittu.ra,
Nè in più fina architettura. Tra li Numi non so come Di Bibiena sparso il nome Fu) e s' udia ripP.ter spesso Fra quel divo, almo consesso. ~l figliuol di Maja il polo Lascia rapiclo , ed il volo Spiega verso Fusignano, E invisibile pian piano Nel Teatro innoltra il piede, E magnifico lo vede : Talchè vuoi le scene nuove Pel Teatro del gran Giove Copiar ... ecco in mano prende Il penneUo, e all' opra intende. Quando il Nume terminò Tal lavoro J gli occhi alzò Alla volta) e mira in essa Coi color più vivi espressa J Che non pinta ) rna par vera Generosa Aquila altera , Di più agli occhi suoi s' offerse Una Donna, e in lei scoperse Sovruman fulgor raccolto, Che dall' almo divin volto Vivo ognor le traspari:~. Disse : questa è pur T alia; Indi scopre a lei vicini Due vaghissimi Amorini, Che con nobile lavoro 35
36 Intrecciando van d' alloro Immortale , e nuovo serto Di Bibiena al raro merto. Di ·Bibiena il bel pensiere Piacque al Nume, e d~ piace~e Ebbro andonne a dir d1 questl L'alte lodi infra i Celesti. Se nell ' arte di Scultura Eccellente oltre misura Un fra noi si ritrovasse Che ben dotto maneggiasse Lo scalpello industre, e fino , Un bel marmo peregrino, Io vorrei che s' incidesse, E una statua s' ergesse A quell' inclito Signore Dell' Eridano splendore , Che con giusta , e savia legge Fusignan modera , e regge; Generoso , e liberale , Sotto i cui sì fausti Auspici Terminammo alfin felici Questa mole Teatrale; Anche a quei Padri prudenti Sempre al ben pubblico intenti, Che sol cercano veglianti, Del comune onore amanti D' illustrar con degne imprese Questo nostro bel paese Si potria con degni carmi
Innalzar colonne , e marmi. Il compagno anch' egli vuole , Che si dican due parole Perchè sappiano i lontani, Che tra i nostri Paesani V' è con tutta la bravura Chi professa la pittura, E si mostri a parte a parte Che non manca verun arte ; L' Architetto, che al lavoro Accoppiar seppe il sonoro , Talchè quattro , o sei strumenti Risaltar fanno i concenti, E la Banda di lontano Par di Parma , o di Milano Per la giusta proporzione , Merta tutta l' attenzione. Di finir tempo mi pare Questo lungo cicalare , Il Teatro è messo a giorno, Di cristalli è bene adorno. A pigliar tutto in complesso Abbarbaglia l' occhio istesso : Il sorprende, e vince tanto, Che richiede miglior , canto.
38 IN LODE DELL' ORATùRE DON GIOVANNI ANCARANI FAENTINO Che predicò la Quaresima del 1817 Nella Chiesa Arcipretale di S. Gio. Battiita in Fusignano. CANZONE È la strada angusta , e stretta Per la gente, che si affrettà Di venire a Fusignano E per dritto, e fuor di mano. Ho capito: chi là corre Forse va sol per vedere Se atterrata sia la Torre , O per dire il suo parere Sopra il nuovo campanile; Di cui mai non fu simìle , Fabbricato nel Gennaro, Veramente caso raro, Dove a tutti resta esposto L' orologio, che ivi è posto ; Che non manca, avendo ajuto Nel suo corso un sol minuto ' Oppur viene per vedere ' Il passeggio delizioso , . Che il Signor Gonfaloniere Verso i miseri pietoso , Fabbricò su bel modello Per dar pane al poverello.
Ma vieppiù cresce Ja folla : Oggi vien, torna dimaui , Doman l' altro, e mai satolla É la turba de' Cristiani Che al paese corre, e vola, Talchè a dirsi sembra fola , Sì che dunque altra ragione Deve aver la gente onesta, Che qui viene a processione In ispecie i dì .di festa. Fra me stesso ragionando Della Predica sull'ora, E la causa ricercando, Già tralascio ogni dimora; E alla Chiesa m'incammino Per sentirne l' Oratore, Che con zelo almo, e divino E con sommo. alto valore I vi predica il Vangelo , Che portò Cristo dal Cielo. Ma alla Chiesa giunto appena ; Fermo là! qui più non s' entra; E col petto , e colla schiena Urta l' un, l' altro sottentra , Spinge ognuno, ognun s' affanna, Nè s' avvanza d'una spanna. Stupefatto allor le ciglia Volgo addietro, e per due miglia Veggo piene andar le strade , Non che tutte:: le contrade
4o Di gran popolo , che ansante verso me movea le piante. A tal vista Impaurito Pel pericol ù' affogare Nella fo lla, che crescea , Che pensar, che far dovea ? Gamba mia , preso è il partito Onorevol di scappare. Mentre il nuovo bel passeggio , Ed il nuovo Campanile D ' elegante etrusco stile Quella gente , che là veggio, A mirar si fermerà , Qualche Santo ajuterà. Ma nessun pur volge gli occhi A mirar cose sì nuove , Ed invece tutti tocchi Da colui , che tutto move , .Alla Chiesa drittamente Tutta viensi quella gente Come l'onda vien dal mare La campagna ad avvallare. Io mi det ti allor per morto Se non che tutto sudato Per miracolo nel porto Io mi vidi a un tratto .entrato ; Ed in Chiesa , ed a sedere Mi trovai ; son cose vere. L' Orator mi vedo in faccia, . Che per l'anime purganti
"Il dir spende J e lor procaccia Su nel cielo i seggi santi , Poichè ognun versa di botto Oro , e argento a piena mano, Onde conta il Sagrestano Di denar scudi ottantotto. Mentre io pur quel dire ascolto, E di pianto bagno il volto, Veggo il Tempio incontanente Tutto ·pien di quella gente , Che dapprima così folta Verso questo era rivolta ; Talchè parvemi in qnL•l pnnto Nella valle d'esser giunto, Ove tutti al giorno estremo AffoUati, e misti andremo. Non è dunque per la Torre Che la gente çosì corre, Non pel nuovo Campanile, Nè pel nuovo bel passeggio, O cagione altra simìle, Che sì grande folla io veggio ; Ma pP.rchè voi tlel Signore Dolcemente predicate Il Vangel , eh' è tutto amore , Tutto grazia, e caritate, O dottissimo Ancarano, Al devoto Fusignano; Ed ognuno i convincenti Vostri dotti , ed aurei accenti /
4!A Derivati a parte a parte Dalli Padri , e sacre carte Udir brama con unzione Di se stesso a perfezione _, Alla quale ormai ridotti Ignoranti avete , e runti Come féste in ogni loco, Ove apriste sol la bocca, Chè allo zel , che ne trabocca ; Fusignan sarebbe poco. Resta solo che la Chiesa Troppo angusta è veramente 1 Cosicchè qualche contesa Fra le donne almen si sente Per le scranne , e le banzole 1 Che poi termina in parQle, Talchè il popolo affoJiato Stando fuori sul sacrato Resta privo di que' frutti, Che da Voi trarrehber tutti. Questo Tempio è in verità Un mode! d ' antichità, Fu dapprima un Oratorio Fatto allora provvisorio Da devoti Pescatori , D a Piloti, e Cacciatori Fra pochissimi cnpanni Dedicato a San Giovanni. Da Oratorio poi ridotto In lume Jormam fu da Ghiotto
Non dal celebre Toscano; Ma da quel di Fusignano, Chè non v'era molta cura In allor d'architettura, E piuttosto si pensava Da chiunque ivi abitava A cercar la santità Con fe, speme , e carità. San Savin n' è testimonio Che a dispetto del Demonio Colla massima astinenza Fece lunga penitenza In un bosco non lontano Miglia due da Fusignano, Dove esiste anche al momento L' immortal suo Monumento. Fu quel bosco poi chiamato Selva Liba, e situato Avvi un molo, in cui rinchiusa Fu ab antiqt~o la Padusa Per cui duopo fu libare Ai venienti d'oltre mare. Or che tutto cangiò faccia J Uopo è ancor, che si rifaccia Questo Tempio, e si farà , E più bello ancor sarà. Son formati li Prospetti Già di celebri Architetti ) Ed il giovin Calcagnini Un portonne da Milano,
44 Che può dirsi sovrumano ; E Signori 1 e Contadini Con li Preti han desiderio D'intonar ivi il salterio. Ma Signori, Amici cari., Voglion essere denari , Poichè tutti gli Artigiani Hanno un vizio : oggi , o domani Per far opere , ed ornati Voglion essere pagati. Non pertanto , e il dico a ognuno , Benchè io conti anni ottantuno, Spero un giorno rinnovare Nel divin Tempio novello La mia Messa , e ancor suonare Il mio vecchio Violonr.ello. E perchè così gradito Or voi fost.e a Fusignano 1 O dottissimo Ancarano, Da noi tutti avete invito Pel primier Quaresimale Nella nuova Collegiale, Ed allora anche più terso Vi prometto un qualche verso.
SCHERZO PROBLEMATICO Per"le Nozze degl' Jllustrissimi Signori FEDELE Avv. MoNTI E CARLOTTA MERANGOLA dj Ferrara seguite nell'anno J8J3. MAI più ' 'ersi, un giorno dissi , Ed in carte anche lo scrissi , Allorchè si fece sposa I,a gentil, dotta, e vezzosa Vostra amabile C11gina , A cui Pallade s' inchina, Ed i l bravo Perti cari , Che . al · suo merto ha pochi pari, Diede il cm·, strinse la mano Nell'ameno, e bel Majano. Sul momento in varii modi Serto candido di lodi Di sua man mi porse Clio , E l' offersi alli vezzosi Virtuosi eletti Sposi, E poi d is~i , versi , addio, Perchè Clio più non vorrà Esser grata alla mia età. Ma il proposito non tenne, E far versi mi convenne Eccitato dalle Offelle , 45
46 . Bignè , torte; e pastareti e, Che li Monti con piacere Spessi di mi · fan godere. Però sono nell' impegno ' Aguzzar convien l' ingegno. Sol per cggi pazienti, Sol per oggi state attenti. Vieni, vieni, amico canto, Poichè il settimo tu sei Iu sequela d ' altri sei, Che formai di tanto, in tanto Mezzo in versi , e mezfo in prosa Or per l'una, e l'altra Sposa Di Cà Monti , del bel piano Dell' allegro Fusignano. Su venite , amici versi, Di vin santo, e ambrosia aspersi , Che sebben mio stil s ia rozzo Sarà caro al mio Figliozzo, Che alla Sposa oggi gradito Ricco anello mette in dito . Non venite a passo lento, De majori è l' argomento. Mio Fede!, so che voi pure Siete immerso nelle cure D' un illustre Tribunale E civile , e criminale A vantaggio ùe' clienti , Che di voi son ben contenti, Ben eoutenti ,. e al par tranquilli
Spose ; vedove; e pupilli ; Sopratutto, che spedite Più sollecito ogni lite , E non solo con premura Di sbrigare avete cura Ogni causa, ma di più Tal criterio , e tal virtù Nel deciderle mostrate Con ragioni sì adequate, Ch'ogni vostra decisione Si ritien dalle persone Quale massima Rotaie, Come un dì nel Quirinale: Onde adesso mi dispongo , Anzi ardito vi propongo Coll' usata cantilena Di questioni una catena , E sebbene queste tutte Sol riguardin belle, o brutte '· Tempi antichi, e favolosi, E a' dì nostri molto ascosi , Pure altrove, ed anche qui Storie sono a' nostri dì. Alle prove ! Voi che in mano Sempre avete il dì, e la sera Fra i dottor di grande sfera Bartol, Baldo, Giustiniano , Etl il Codice moderno , Che più facile discerno, Del ben pronto scioglimento
43 . D ' ogni strano avvemmento Udrò cosa rispondete Per comune altru i quiete. I. D'Amor vinto in modo strano Fu di Venere il gran Marte ; Ma geloso il Dio Vulcano Fina rete con tant ' arte Seppe tender, che impensato Cadde Marte nell' agnato, Mentre oscura era la sera Tra una scrauna , e una portiera . Per tal ca so inaspettato Restò Marte sì 5elato , Che a fuggir non t rovò strada , E cimier scordossi , e spada Al pensar cl1e fu trad ito Da un fanatico mari to , Che snppon quel, che non è Di sua moglie sulla fè. Quaeritur, se Vulcan storto, Oppur Marte sia dal to rto, E. qual pena a preferenza M erti ognora l'imprud enza Delli due fervidi amanti Che fur eolti in tal fra granti, Quale in fin la pena sia Della ingiusta gelosia.
I T. Del gran Giove un dì la Figlia Mentre coglie lungo un rio La viola, e la giunchiglia, Venne Pluto, e la t apìo; Nè giovò gridare aita. Per condurla Egli sicura Fe' apparire Ecclissi oscura , Sir.chè a un tratto fu smarrita. Ma uu Pastor, che vide il quadro Sì briccone di quel ladro , Con ribrezzo mezzo morto Al gran Nume fe' il rapporto. Giove irato in mare , e in terra Gl' intimò tosto la guerra. Coll'esercito schierato Di tambur, piffari , e corni Mestamente accompagnato Lo cercò per molti giorni. Finalmente una mattina Gli fu detto, che la schiava, Quella appunto, che cercava, Nell' Inferno era Regina. Colla più fida Coorte Sen volò fino alle porte, Ma in vedere radunati Con saette, con pugnali, Con mannaje, e con forcali, Più xpillion di disperati 3 49
5o Ben disposti in ogni loco; Che dagli occhi facean fuoco : Quasi, quasi spaventato Le sue truppe li~enziò: "Da un dragone accompagnato Alla sua maggion tornò. E restò tanto stordito Ch' ebbe a perdere il cervello Nel veder, che suo Fratello Sul gran fiume di Cocito, Dove il campo è riservato ; Ben munito da ogni lato , Tanta forza avesse in mano. Quaeritur nunc, se Plutone Degno sia di punizione , E qual sia castigo addatto Al commesso orrido ratto. Tanto più, che quell'ardito Alla forza ha resistito, E la Sposa in sempiterno Ha condotta nell' Inferno. III. Anche al tempo degli Dei, Che tenevan gli occhi aperti , Per gran furti fur scoperti In più luoghi molti rei, Anche allor questo mestiere Di mangiar, giocare, e bere
Alle spalle, ed altrui danni Si facea per mesi , ed anni. Finchè poi quasi per gradi A maggiori inìquitadi Sì devenne , e fra le mura E di giorno J e notte oscura Fu chi osava d' ammazzare Per poter meglio rubare. D' uno solo tra costoro Mi sovviene ricco d' oro ; Che di Caco il nome avea: Ladro ben di sette cotte, Sul trattato si struggea De rapina , e il dì, e la notte. Ei facea ricche catture Spesse volte con rotture . Sì maltgno , che Je genti Con onesti sentimenti, Benchè in fondo un iupo vero; Pur modesto, e lusinghiero Ei trattava a tutte l'ore Col pelliccio da pastore. Inventò una nuova moda : Rubò ad Ercol hovi, e vacche, E le trasse per la coda Nelle oscure sue trabacche. Si credeva tanto esperto Di non essere scoperto. Ma l'inganno non giovò, Ercol, poichè le pedate St
52 ELbe a lungo seguitate Delle vacche , delli buoi ' E cavalli ch' eran suoi, Anche Caco alfin trovò : Che smarrito mentre vuole Dir per se sol due parole E chiamare un Avvocato, Che all' istante ben pagato Con famosa forte arringa Gli argomenti così stringa A favor del buon Cliente , Sicchè puro, ed innocente Compari sca del reato ·Del preteso abigeato, Il grand' Ercol , che iufragrante E col corpo del delitto Colto avea questo birbante, Con gran rabbia, e con despitto Prontamente alza la mazza Mena il colpo, e lo stramazza. Muore Caco, ma non tutti Furo i ladri allor distrutti; Poichè furo tanti, e tanti, Ed i ladri , ed i furfanti Che dal sangue di quel Caco Sortir quasi allor da un laco , Che se intomo non girava Ercol tosto la sua clava Disperdendo quà, e là Per le ville, e le città
Questa iniqua empia genia , Egli forse non fuggìa Da que' ladri, e saria stato Nella grotta assassinato. E fu aIlor, che in luttgo, e in tondo Si disperse per il mondo Questa stirpe, d'onde poi É arrivata fino da noi; Perchè io credo anche i presenti Sian di Caco discendenti. Quaeritur nwzc de latrone Qnaenam sit la decisione, E quai pene convenienti Ai Cachisti oggi vi venti. E se in caso l' arte fina Di rubar sera, e mattina Fosse fatta con giudizio Merti il marchio , ed il surplizio, Come pure qui ·si chiede Qual castigo si richiede , Poichè massima è la grida, Al grand' Ercole Omicida. A decider le questioni Con ben giuste conclusioni, Ed attento, e premuroso Poichè siete oggi lo Sposo Scioglierete, mio Fedele, Scioglierete oggi le vele. Tanto più, che giustamente La leggiadra, ed avvenente 53
54 Vostra Sposa è in grave sdegno Contro me, che senza ingegno Certamente m' avrà preso Pei quesiti, ch' ho disteso, Che vi vede con in mano Bartol , Baldo, e Giustiniano; No; sarebbe indiscretezza, Se volessi tal finezza • A mulierum furore Libera me a tutte l' ore. Io non voglio dispiaceri Ben ho in testa altri pensieri. E se voi lunga e vèrace Mio Fede! volete pace 1 Ve lo insegna Pier Santone , 1J1itte libros in cantone •
55 CANZONE Int1oite in domum meam et manete. ALL' Amico, che verrà , Una stanza si darà, Ogni chiave, Cristo, e Santi Per orare avrà davanti ; Non lontano al Capezzale Troverà l' acqua lustrale , Una scarsa libreria Per sollievo dotta, e pia , Ed in essa il breviario, In Capella il calendario, Dove ancor celebrerà , S' egli è Prete? e se vorrà • Letto, armadio, e tavolino, Le pianelle J e il berettino, Avrà l'uno e l'altro vaso Ben coperto a pro del naso , Penna J carta J calamajo, E di sedie più d'un pajo, Falsa riga, e polveri no J Ostia, pippa, ed acciarino, Temperin, stuzzica-denti Con le forbici taglienti ; Pettin , filo J agii scoppetta La sua veste a render netta ;
56 Se farà barba da se , Il rasojo ancora v' è, Tovagliol, brocca, catino Col sapone, e col cerino, Con lucerna, e con lo specd1io ; Tutto pronto in apparecchio; L' acqua fresca , se vorrà , Col bicchier là troverà. Se ù' inverno starà in l etto Per maggiore suo diletto, Una stanza vi sarà Col cammino, dove avrà A suo tempo latte , e the , Cioccolata , e buon caffè , Pranzo e cena parimeute ; Sobrio tutto, ma d ecente. Avrà infin mattina , e ser:t Cor aperto, e buona cera; Ben accetto goderà , Una santa libertà.
JIITRATT 1\lORÈL D' DON PIR SINTON distribuì. a vèri su Amigl, P ERCHÈ piò l ' an um strapèzza Aggluppè int un bel fagott Lighè strett con una rezza Ai spedess un mi strambott. La vedrà, ch' l' è ins e modell D' che Soggett, che un dè l ' ha fa t t, Ch' l ' ha jost tant sèl e zervell Quant ha i tècch del su zavatt. Basta dì, ch'l' è stè la Musa D' un Abbè t grand fura d' msura, Che int la bèrba uj' ha una busa, L' è ù' du pil, e d' chèran scura. L'ha una testa d' cavillèzz Drett e dur com i randell, Con di dent, e di l abbrèzz, Chi cruv sques tot i nasell. Per bsé fè però da beli , Da grazios, e da galant, Us fè fè r un dè un zirall , Che spindé chi sa mai quant. L 'ha pu j' occ, ch' j' è mezz turchen, E mustazz tott varulè , E cm' è tott i Contaclen L' è int al man arramrinè.
58 L' ha una vita totta eguel Longa , stila , e senza panza ; L' ha al gamb grossi com un pèl Con al polp all' ultma usanza. L'ha un nistiè, chi tocca i pì, E un Caplon grand cm' un tulir, Anca a lò ui piis, s' am capì, D' fè dal volt da Cavalir. Ma parlènd ora ins e bon , Un ha mai o vird, o secch Da comprès un bagaron D' cucciarul, o d' figh instecch: E pretend anch d' hsé competar Con qualonq brèv Sonador , Pur l' avvanza drì daj' etar Ogni volta dal mezz'or. Us ored nench d' ess Musich fatt, Za con gran fadiga un ann E cantè un magnijicat Per la musica d' San Zvann. An degh quell quand e dscor d' cazza, Ch' us ten brèv piò d'un Lagott, E bel\ l'è che pu l' ammazza In dò stman un passarott. Parla poi al più che può Romanesco, e il bel si è, Che finisce sempre in o Q1Jel che andar dovrebbe in e. E presom anca d' franzes ; Mademoiselle vous etes na Clomba,
La piò bella de pa:es ; Servitor vostar ch'av slomba: Lò vuò dscorrar d' tott al cos, - E in tott fè da intelligent , E vrebb fè da virtuos , E mostrè d'avé talent. E pù za in tott al manir Lò us fà sempar rider drì : Us fà ognora compatir Dalla testa insena i pì; Adess donca ognon cnussrà Da sta nobil descrizion Chi per sort s'l' incontrarà; Chi è l' Autor del do Canzon.
6o IN MORT D' MONSGNOR CANTON ARZIVE3COV D'RAVENNA JN dov soja ? cosa è quest ? Oss spolpèdi, crani, e test! Èl! la nott? mo cosa è st' scur? Cosa è tott chal brott fìgur? Vè cci grenzi , secchi , e plèdi, Gobbi , stroppi , e smagunèdi ! Agl'ha pu la rocca, e fus; Al srà Donn; mo gran brott mus! J' è Sgadur; j' ha e ferr da sghè. Cosa è quest ! soja ins un prè ? Dov è l' erba , dov i fìur, Dov al Pigur, i Pastur ? Un pò d' vent a)l sent tirè, Un uslen an sent cantè, Gnanca e Sol da piò e su 1om, L' ha allintè e su cors i fìom : Mo dov soja? cosa è quest? Oss spolpèdi, crani , e test! Scappa , scappa .. . a sò lighè ! Vèccia strega lassm andè. Dsì: si v om, o besti, o sess? Currì: ajut! a vegh adess. Chèra Veccia ebb d'me pietè, Chèra Vèccia lassm' andè , Ch' at darò con G.la farena Dal pagnocch , e una Tacchena ,
Tant t' at cheva un po la fam, E piò longh t' am fila e stam. Èll' un strelgh , od un Usell? In ùov èlla? an vegh piò quèll ! Per sta volta a l' ho scappèda ~ At ringrèzi , Vèccia plèda. Uhi ! un mont tott cvert d' allor, Con di fiocch, e dal franz d'or, Del colonn, del copul , d' jerch Un por t d' rnèr , de gran , di bereh , Con dal Ca , dal. Cis , un Sbdèl , Mitra, Cros, e Pastorèl. Cosa è tott stai uovitè? Me a rest d' giazz, a so incantè. Cosa è st' mont? uhi quattar Donn, Ch' al s' da aj' occ; ch' agl' epa sonn? Stasì bon; la Puritè, Fed, SperanZ;l, e Caritè, Ch' tess, e ch' cus dal bend d' uvlù, E pù al pianz: cos' agli avù? Osservè la Caritè Con e zoff tott spintacciè, Con in doss na vul andrena, Vstida mczz da Pilligrena, Con un zocch lighè ins e staneh, E un fagott int cl' ètar fianch, Schèlza , smorta , contraffatta Che de pianzar la va matta. D' sicur quella è una meschena , Ch'va ramenga, e ch'va in arvena.
6~ Sfortunèda Cari tè~ v erament la fa pietè. Cosa è quell? al pè Scrittur : A lizroja acsè pre scur? Del Prelato Ravenate Uom d' immensa caritate Con spiacere universale Ecco giunse il dì fatale Poh ! l' è mort Monsgnor Canton ; Poh ! l' è mort che Sgnor sì bon, Acsè affabil , amorevol, T ant d' bon cor, caritatevol; Un Sgnor d' ghèrb, un Sgnor valent; Virtuos, sèvi , e prudent, Pèrch, benegn, pietos, e giosf; Ch' n' ha savù mai dèr un dsgost; Per la Diocis vigilant, Pre su Suddit bon , e aman'; S' i fallèva ui corrigeva , E pu ui dèva quell ch' i v leva; Un Prelèt, ch's' è ques spiantè Pri Puvrett, per fabbrichè~ Se campèva un' ètra stmana-; Un j' arsteva la gabbana ; Dite Requiem , miserere Con Rosarj, e altre preghiere; Quell'ch' ho vest, l'è un chès siffatt; Ch'an m'l' asptèva acsè ad un tratt. Anca me adess a comprend Perchè tess chal Donn dal bend.
E perchè la Caritè L' ha e zimir tott spintacciè; Pianzì Prit ~ Monach, e Fré, Moviv sess ~ colonn , e pré, Sventuré, meschen Ravgnen, Recch, e puvar pianzì insen, Pianzì tott ch' avi rason, Anca tò pianz Don Sinton. Quand e vdeva zent d ' Fusgnan, (-Testimoni n'è e Caplan ~ Ch' uì staseva Lo, e cavali A magnèr e bé al su spali ) Tott cortes ui richiedeva S' j' era in ton , quel ch' i faseva. E me a sò s' avess stugiè Ch' um avrehb sobit premiè, E che adess a srebb Padren O d' Primèra_, o d' Longastren. Quell, ch' ho vest, l' è un chès siffatt, Ch an m' l' asptèva acsé ad un tratt. Pianzì puvar Faenten, E to Ross , e to Bunzlen , Pianz Arzenta, e Venezian, Anca te dài zo, Fusgnan ; Ma pio d' tott Sgnur Comupesta Alwanc d' pianzar fasì vesta Ch' a savì che lò v' ha dè La mozzetta da portè , Pianzen tott ch' aven rason • I' ha supplì Monsgnor Canton • 63
CANZON R EZ!TÉDA DALL' AUTOR IN LOD DE MARCHES FRANZESCH CALCAGNIN int l ' occasion CRE FÒ SALGIIÈ E PAES n' FUSGNAN int l' ann I 78S. Ùss spolpèdi di Corell, Di Spadèzza , di Torell , Di Zvanerd , Armènd, Sorien 1 Preda , Crecca, e di Cassen, Antigh Fotta , ch' ha guarnè Per longh ènn, per longa etè Con la toga ora d' Anzien , Or col spèd da Capiten, Jnt la mèlta, int e paltan E dilet t nostar Fusgnan Fena al spali, dsora daj' occ Con agl' och , e tra i ranocc , In dov siv zènar dsgrazièdi, Spoj antighi d' oss spolpèdi? De ben pobblich Sapienton, Antigh Pedar, e Campion, Indov è , dov' è al memori , Degni d' vò, degni dal Stori, Sgnèdi almanch con un arstezz Per decor di vost raghezz, Dov'è al Stètuv, j' erch, i pont Innalzè per vostar con t,
In dov è al coron d ' allor Tempstèdi n' zemm, e d' or, Che al vost test s' è meritè Per longh ènn J per longa etè , Com imper, ch' ha fatt adess I vost Fiul a forza d' sess, D' una strè, d ' un nov canèl, Perchè al Donn leva e grimbièl? Fura , fura da chal foss J Accozzé nirb ) peli ) ed oss , Vnen a vdé per maraveja S' l' è piò acsè la VI)Stra veja Com un dè brotta, e fangosa, T::.n t roè! fatta, e perniziosa) Guardé un poch s' uj' è chi pel Gross, suttil , sturt , ineguel, ~e agli Anvodi, se al Cugnèdi Agl'è piò tant inzacclèdi Quand al va a Messa) o a ballè Sea d' Inveran, che d' Instò; Dsì s'uv pè Fusgnan piò quell , S' l • è piò brott) o s' 1' è piò beH, S' l• è piò acsè mèl in arnes Com fò un temp e vost Paes . In dov siv ? mo vnen avùé, An sì ardì, av vergogné D' vdè agl' Impres di vostar Fiul , Jost appont d ' chi Ragazzul, Ch'ai magnivi a tott agl'or Con al vescar l' anma, e cor 65
66 Dsend che sol int e bordell J' impieghèva e su zervell, Che una volta is srebb pentì; E ch' us srebb vest per l' avni Com appont e temp d' Baldacch Tott al cos andèr a sacch ~ Che mort Lo , dall' èlt e fond Srebb caschè tott quant e mond? In dov siv zènar dsgrazièdi ~ Spoj antighi d' oss spolpèdi? E fatt l'è che l' istess Giov Avù appeua, ch'l' ebb al nov ~ Ch' s' era za cminzè a dè man ' A salghèr e brott Fusgnan , Tra dal Nuval, che un Landò .Al formèva, e calé zo. Dop d'avé piò volt spadzè Alfa longa dla contrè Applauùend e bel pinsir, E che nobil lavorir, E scress sobit a Netonn, In qualment sena all' Autonn In silenzi e vleva e mèr, Perchè e bsess i Marinèr Navighè liberament Senza avè timor de vent, Dlà de mèr a tott in festa Ui mandè un orrebil pesta, Perchè assrendas piò d'un port Per timor d' sta brotta mort
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