Francesco Saverio Merlino - Il socialismo senza Marx

Non che io abbia disertato il posto di combattimento che mi ero scelto: non sono un apòstata. Conservo vivo nel mio animo la fiamma che riscaldò e illuminò la mia giovinezza: mi sento a un dispresso ciò che fui, un amante della giustizia e della verità. E ripeto: parlo per ver dire, non per odio d'altrui né per disprezzo*, né per viltà o vanità demagogica. E parlo semplicemente, senza pretese di scienziato o di letterato. La verità avanti tutto, o quella che io credo essere la verità: nessu11 partito preso, nessun preconcetto o amor proprio di scrittore o di uomo politico che faccia velo agli occhi della mente. Come divenni socialista. Quando ripenso alla mia prima giovinezza e come mi si inocularono nel sangue i princìpi del socialismo, mi ricordo di aver scritto una pagina ne « L'Italie telle qu'elle est »*. Un dubbio m'assale: sono io ancora socialista? Se per socialismo s'intende una data organizzazione sociale per cui il lavoro sia organizzato secondo un piano unico o dallo Stato e i prodotti siano distribuiti in modo eguale a tutti, no, non sono e posso dire di non ·k Sono due .noti versi del Petrarca già usati dal Merlino come epigrafe sul frontespizio del suo volumetto « Politica e Magistratura in Italia dal 1860 ad oggi», edito nel 1925 da Piero Gobetti. ·:: Alba e tramonto di una vita congiunti nell'unità di una vocazione morale e politica seguita sino alla fine: « Ah! non è questa l'Italia che avevamo imparato ad amare nella nostra giovinezza. Ricordiamo ancora con commo- . zione i bei giorni trascorsi all'Università di Napoli, il bel sogno di libertà e di giustizia da noi fatto allora, sogno. che durò, ahimé, come le rose, lo spazio di un mattino. Vi insegnavano uomini già condannati a morte o all'ergastolo, combattenti perseguitati di un tempo, testimonianze viventi dell'ingiustizia dei governi: gl'Imbriani, i Settembrini 1 i De Sanctis, i Dall'Ongaro, i Tari, gli Zu_12Petta.Stàvano sdegnosamente in disparte dalla politica e dal Governo, che scivolava rapidamente sulla vecchia china. La loro eloquenza, il loro aspetto da galantuomini, il racconto che aleggiava intorno ad essi delle loro gesta e dei loro martìri, tutto ciò colpiva le nostre immaginazioni, trasportandoci in una regione superiore; e plasmava i nostri sentimenti, insegnandoci a prediligere la libertà e a disprezzare il dispotismo. Accorrevamo da tutte le facoltà per ascoltare la loro parola ispirata; si fraternizzava nell'amore di tutto quello che era bello e sublime... Come pendevamo dalle labbra dei nostri maestri e amici, con quale entusiasmo li ascoltavamo, quanto amore sentivamo_. per essi e quale odio concepivamo per quei ministri i quali non sapevano se non immaginare nuovi regolamenti, nuove catene per il pensiero, nuovi balzelli per il popolo e nuovi oltraggi alla libertà dei cittadini! Fortemente amare e fortemente odiare non è cosa concessa sempre e a tutti!. .. » (« L'Italie telle ,ql:J'elle est», A. Savine, Paris, 1891, pagg. 318-320; tradotto in italiano col titolo « Questa è l'Italia », Cooperativa del Libro Popolare, Milano, 1953). 630 Biblioteca Gino Bianco

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