214 F. S. MERLINO in tale e talaltra provincia. Cosi l'emigrazione tollerata e permessa oggi, non può essere che una fonte di guai per coloro che partono e per quelli che restano. È una vera ecatombe di malati e di deboli. La risposta dei prefetti interrogati dal governo è unanime: è la miseria nera, che costringe quei disgraziati a espatriare. Il governo ha un bel dipingere loro, nelle sue circolari, la sorte che li aspetta all'estero, non desistono dal partire; perché non possono immaginare che si possa altrove soffrire di piu. Non partono piu uno dopo l'altro, o in piccoli gruppi, ma abbandonano in massa i loro paesi, trasformandoli in deserti. Ci sono località, nel Veneto e nella provincia di Napoli! in cui l'esodo è stato completo. Sono paesi interi che si sono spopolati. Uno dei nostri scrittori classici, il De Amicis, ha voluto accompagnare una volta quegl'infelici nella traversata dell'Oceano e le pagine eloquenti da lui scritte confermano, ahimé anche troppo, quanto siamo venuti dicendo della condizione di miseria del contadino italiano 19 • Ecco in quali termini egli rappresenta un carico di emigranti al momento del loro imbarco: -5(~-,.'v.~, -s · ,-.:,,,,,~ ,-t--!'";,~~-,t:~ffe'~••J• .::.,,,..,...~?!-,.,.~::r~w,.s::z~';,P~h.,.,.,71!>-,m:~~ f wr· ,.. .. ,., • . l Visi e vestiti d'ogni parte d'Italia, robusti lavoratori dagli occhi tristi, vecchi cenciosi e sporchi, donne gravide, ragazze allegre, gio- _ vanotti brilli, villani in maniche di camicia, e ragazzi dietro ragazzi, . che, messo appena il piede in coperta, in mezzo a quella confusione di passeggieri, di camerieri, d'ufficiali, d'impiegati della Società e di guardie di dogana, rimanevano attoniti, o si smarrivano come in una piazza affollata. Due ore dopo che era cominciato l'imbarco, il grande . piroscafo, sempre. immobile, come un cetaceo enorme che addentasse la riva, succhiava ancora sangue italiano . ... La maggior parte, bisognava riconoscerlo, eran gente cc,stretta a emigrare dalla fame, dopo essersi dibattuta inutilmente, per anni, sotto l'artiglio della miseria. C'eran bene di quei lavoratori avventizi del Vercellese, che con moglie e figliuoli, ammazzandosi a lavorare, non riescono a guadagnare cinquecento lire l'anno, quando pure trovan lavoro; di quei contadini del Mantovano che, nei mesi freddi, passano sull'altra riva del Po a raccogliere tuberose nere, con le quali, bollite nell'acqua, non si sostentano, ma riescono a non morire durante l'inverno; e di quei mondatori di riso della bassa Lombardia, che per una lira :il giorno sudano ore ed ore, sferzati dal sole, con la febbre nell'ossa, sull'acqua melmosa che li avvelena, per campare di 19. E. DE knc;s, Sull'Oceano, 1901, edit. Fratelli Treves, pp. 45-47-59. Biblioteca Gino Bianco
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