166 LA VIT~ E L'OPERA DI GIACOMO MATTEOTTI Da ieri noi viviamo sotto un incubo, e non sappiamo se sia maggiore la umiliazione o lo sdegno, la vergogna o la pena. Taluni ieri si domandarono perché il Capo del Governo e il Capo dell'Assemblea non risposero all'intimazione dell'estrema, una iniqua e stolta accusa; ma io penso che in quel silenzio era la prova di un grande turbamento, e di una amarezza profonda, tanto l'Assemblea era unanime nell'ansia e nella preoccupazione per la sorte di uno dei suoi membri che io, nonostante le gravi notizie e i tristi presagi, mi auguro ancora di risalutare in quest'aula a nome di tutti con la lealtà dell'avversario che sempre vuole essere forte ma non violento, giusto ma non crudele, levando moniti senza minacce e rampogne, senza ingiurie per non perdere nella contesa la sua dignità di cittadino e la sua coscienza di uomo. (Vive approvazioni). Noi ci sentiamo tutti un poco sospesi alla sorte di Giacomo Matteotti perché essa sarebbe due volte funesta venendo a cadere proprio quando in quest'aula si iniziava quel processo di mutuo rispetto e di reciproca comprensione che avrebbe consentito al Parlamento di assolvere il suo mandato con fecondità di opere e con dignità di forma. E veramente la parola del Re, che alla inaugurazione dell'Assemblea fu propiziatrice e foriera di pace, aveva trovato un'eco anche in quest'aula e sovratutto nella Nazione; molti l'avevano intesa nell'invocazione sovrana più monito che auspicio, più rimprovero che preghiera e lo stesso capo del Governo, attraverso la vivacità polemica, aveva additato le vie della convivenza e scoperto le mete della conciliazione, tanto che le stesse opposizioni avevano dovuto riconoscere che un passo era stato _fatto verso quella concordia promossa dal monarca e aspettata dalla Nazione. BibliotecaGino Bianco
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