Per la fausta elezione dell'eminentissimo cardinale Giacomo Giustiniani ...

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SCI OLT I. Di frescherose in Elicona colte Datemi, Muse, un serto, ond' io devoto Lo rechi a piè d' inclito Prence amato. (I) E Tu, Signor, che frà purpurei splendi Eccelsi lumi, onor del Vaticano, Non isdegnar di carme nmìle il suono Che rive renza, e amor dolce mi spira. Possanza d' avi , fulgor d' oro, e lieto Riso d' amica sorte empion d'orgoglio L' umana gen te; il misero cui preme Duro fato, ed inopia è vii qual fango; Ignuda h virtù, fastoso il vizio. Oblia il mortai nella superba altezza, Che Provvidenza gli largì suoi doni, Ondt: mini stro a Lei ne fosse largo Agl' infdici , ch' hanno il sacro dritto Della sventura. Cotal vero etcrao T' appresero, Signor, gli alti maggiori_, E a lui risposer tut: virtudi egregie.

4 Fin dalla bionda e tà la nwnte, e gli agt Volgesti a santo, e glorioso segno . Gi:ì lieta Aurora salutava il Sole Di tue bell' opre, ch' oggi eccelso splende. Non di tornei, di cacce, di destrieri, Non di danze, d'amori, onde son vaghi Spesso i garzon di chia ro altero sangue, Desio ti punse; ma Virtù e Sofia Del Sa ntuario all' ombra mansueta T' acceser; sulle dotte antiche ca rte Della Grecia, e di Roma ogno r sudasti; E qual' ape ingegnosa, che volando Ne' prati ameni , da fior vaghi, e freschi Sugge il soave umore_. onde si alluma Casto onore, ove in t erra ha stanza Iddio , Tal raccoglievi tu di Sapienza I dolci semi, di che don porgesti All'Ara~ e al Trono. Se talora gli alti Di Plato, e d' Aristotele sistemi , O della taciturna Algebra i segni Temprar d'alcuna amenità bramavi, Ti volgevi alle Muse~ ai sacri cigni Ch'Ilio narraro , ed il pietoso Enea E a Fiacco, e alla dolcissima favella Che pria cantò i trè regni, ed i sospiri Di Sorga, al Ferrarese, e all' infel ice 'l'on1uato. Dallo stil di questi grandi Apprendesti a vestir d' !tale note I bei concetti, e gl' ispirati sensi De' fatidici Va ti, e de' divini

Padri alla Chiesa invitto scudo, e onore. Con lor tuonasti alle proterve genti, Con !or di dolce carità vestito Traesti a pace, e ad amistà furiosi Petti; con lor alto parlasti a Regi, E il tuo parlar fù venerato, e caro. Felsioa il dica, e ben molt'altre il sanno Città, su cui i dolci ri vi corser Di tuo largo saver, di tua veggente Prudenza, allora che caduto, e infranto Giacque il colosso, onde tremò l'Europa. Poi ù' Iberi a ti videro le sponde (~) E s' a llegrar; fra le festanti grida Odo il tuo nome risonar; di Piero Il SuCCftssor· ti manda al suo fedele Fernando. Digli, che il gran Pio, e Roma Ricorda ognor l' intemerata e salda Religlon , di che l' l spana gente Fù esempio al mondo; digli, che di mille Eroi fia eterna la memoria; digli Che invan s' arma l ' iufcruo; immobil stassi Di Crist o il giuro; digli .... ma improvviso Suono percote la timida Musa Sicchè non osa proseguir. D' armati Un confuso fragor; alto di grida E d' ululati un gemito, che assorda L' aura d' intorno; veggo d' atro sangue Brutto il suolo; il frate! contro il fratello, I figli contro il padre; dell' amico Omicida l' amico; profanati

6 I sacri t empli , e Cristo io Sacramento; Di venerandi vegli , e sacerdoti, Di garzoni, di vergini, di spose, Di pargoli innocenti un miserando Macello; a mi lle acca tasta ti a mille Cadaveri deform i, e sanguinosi. Ahi! vista, che d'orrore agghiaccia i petti . 0\·e lo scettro, e la corona, e il santo Dt' lla ve tusta Relig ion vess illo? Ove correte furibondi, e q uale Da lle stragi sperate ordio di cose? Copri , Musa, d' utl vel queste tremende Memorie, e Tu perdona, inc lito Prence, Se, toccando di tuo suhlime incarco, Il peusier corse a d isperati affanni Da' qua i vor ria ritrar Io sguardo il Sole. Gi à da più lnstri salutasti qneJia Un dì feli ce terra, e a ll a di le tta Ila l ia t ua riedesti, ove l ' Augusto Che di triregno orna la fronte il sacro Ostro, premio a i magnanimi , ti cinse, E Pastor ti concesse a quell'el etta Greggia, che fu ùi Pio soave cura (3) Pria che l'a lto di Dio consiglio ete rno Gli !ìdassc compa gne di sv ell turc Le sa llte chiavi , oude il Ciel s'apre e se r ra . Or ch i patria narrar l' au ree virtudi Di che splendesti al Senio, () la Pi etade Che amorosa de' miseri t ' addusse lo traccia, e li soccorse, e la Prudenza,

E l' inviolahil Fede, e la Costanza, Che con securo piè 1n·eme fortuna, E l 'Umiltade, e ben èent'altre, e cento? Parmi vederti allor, che dalle gravi Cure natura ti cbiedea riposo, A diporto veni re, ove tuo senn o Con bell' ordine in scrigni avea raccolto Di medaglie tesor, che Grec ia, e Roma Ebbe fregiate un dì di sigle e segni Al commercio, e all ' onor de' cittadi ni. Allo scorrer coll'occhio or l'una, or l'altra Di quelle cifre, quanta t' accendeva Fiamma d' Archelogica sapienza! Qni contezza de' riti , e delle legg i, Là de' costumi, o de' fermati patti I n pace, o in guerra; eeco, dieevi, vago Dell'arti Greche t estimonio, oh! prisca Grandezza, che conve rse il tempo in polve! Ecco l'immenso Ippodromo; del Circo Ecco i ludi feroci; ecco corona, Onde Atene onorava i sac ri ingegni E i forti petti; quivi accesa pugna, CoEL trionfo; ved i un ecatombe; Qnesti un Nume, un Eroe, un Sacerdote. E sì spaz iaudo colla mente in quelle Di sonani intelletti altrici piagge, Ti si facea d'innanzi alla memoria Omero prima fantasia del mondo, E Pindaro, e Demostene, ed Apelle, E Prasitele, e Zeusì, e Fidia, e Scopa~

8 E mill' altri, onde fu Grecia sì bella, E a' quei nomi il tuo cor ridea di gioja. Quinci a Roma volava il tuo pensiero. n grav' asse, il sesterzio, ed il denario E il quinario miravi; le famiglie De' Quiriti, e de' Consoli additava II segnato metallo, e le temute De' Regi insegne, e Flamini, e Vestali, Ed Auguri, ed Aruspici, e Sibille, E pompe, e dape, e estrl'mi onor renduti Alla memoria de' famosi estinti. Ben mi ragiona nella mente ancora L'alto saver, che da' tuoi detti usciva, Quand' io volgendo ai bei Felsinei colli Pel' a pprender di Temi il sacro vero, Mi favellasti di q uel gran Latino, Ch'ebbe vivo sul Sipi lo l' onore Altrui nega to; onde lieta Ravenna Và della rara immagine di lui, Che da Gallica mano uu Dio difese. (4) A maggior opra ti chiamava il Cielo. Al trono di colui, che tien di Cristo (5) Loco quaggiù si prostrano le genti Supplica ndo. Mercè chiede il pupillo, La vedova deserta, la pudica VeJ·gine, il prode che sudori sparse In toga, o in armi, il sacerdote, il casto Amico de' silenzi, e de' digiuni. Qual di bell' acque nobil fonte spande Sopra i languidi fiori, e sulle meste

Erbe conforto di feconde linfe, Tal cade pioggia di fa,\'Ori e grazie Dall' Angel venerato in Vaticano. Tu a sparger quelle pure fosti eletto Onde consolatrici, e mille, e mille Benediro al tuo nome, e lunga vita E fortunata ti pregar dal Cil'lo. Irrompe dal Tamigi , e dalla Senna (6) All' ovile di Cristo impetuosa 9 Fiumana di volumi, e schianta, e abbatte Gli alti cedri non men che gli arboscelli, E di virtude ogni più vago fiore. Ammorba di fetore, e di veleno I paschi e l' acque. Piange il buon Pastore, E leva al Ci elo, sospirando, i voti. Italia mia ahi! troppo bella, e vaga! Reo destin ti rapi l' auro, e le gemme Per man furace di mentiti amici; Tele e marmi ti tolse, monument i Ddl' antico valori', e non è paga L' atra nequizia; Religion, la santa Eredità de' padri tuoi vorria Involarti pur anche sotto false Larve d' ordin civil, di sapienza. Ma dall'alto suo seggio in Vaticano Veglia il forte di Giuda e mette voce Che terror spira. D' anatèma gli empi Volumi danna; gli donò tal dritto Cristo, ragiou, amor dell' uomo, e lunga Esperienza. Te, Signor, compagno

iO Nomò all'incarco, e Tu ben gl i alti adempi Vo ler di lui . Ed oh! fosser più grati Alle t enere cure i fi gl i; all ' angue Che gli aspetta tra i fior porgono i l piede, E a coppa avvelenata avi do il labbro. Oh! folli , oh! ciechi, che rigor chiamate L'affetto, amore i l tradimento, l uce La profonda dflg li empi orrida notte. Ben provvide l' alti ssimo Leone (7) Quando a dri zza r d' iugPgno uman la vela Del sapere nel mar f!1rmò primie ro L eggi , c drappe l di VPncrandi Padri, Cui fidò in questa perigl iosa e tade Forse più balda, che vegg(fnte, il freno Degli onorati stu di, oude sorgesse Vera sa pienza di virtud c ami ca A ristorarne de' pa ssa ti affa nui ; E Te pur miro, o Pn~oce, e Te pur odo Frà tanto senno fa,·ellar. Ri svPg lia Tua gran mente l' Elleuico linguaggio E il Latino, e l ' Ispano, e del le grazie !tale i l f-iore, e quan to un dì. t' apri ro L 'a rti, e le scienze, onde i l morta l si tragge Dal suo vi i fango, e l'aura, che l ' Eterno Gli spirò in petto a l suo Fattor soll eva. Pianse il Savio, ed il Tebro dall' autico Le tto Je,·ò la fronte sos pi rando, Poichè spento mirar d'augusto veglio (8} L'alto spleodore; intomo l::..,.rimaro L ' A . . o rt1 sorelle, e d1 purpurei fiori

Cosparsero la tomba, e disser: ave, O vene rando Mecenate; etPrno Riso t' a llegri; a ltr' arti ed altri fiori Avrai nel cie lo; sorga emulatore Di t uo zelo, e l'istucli un ' altro spirto, A confortar di tua partita i danni. Questo ti chiede da sp irante marmo L aocoonte mira colo d e ll 'a rte, Questo doma nda il saetta nt e Apollo, Questo il traente- disco, e l'animoso G ladiator combatlen tC' , od a ll' est remo Addotto della vitn , c h vezzosa Diva di G uido, c l' u, hinntC' , e il fie ro 1\f icli l' l più che mortale Ang(•l divino, Clso d npo cento, c rc ut' anni sou vi vi Ne lle tele, ·~ ne' manni , c lJil CI Enuoso Veneto Fid i ;~; tcl domanda onore D'Auson ia bella. Qut')Sta calùa prcce Inda rno non n. cia. Te g iit d ell'arti E letto N ume tute lar g ridava, Or son tt·e lune, l'esultante Roma ; E Tu cortese agli atti , o alle parole, Signor, r antico ('I'Oill ettei vivrebbe Italico va lore, ed a' quei detti L ' art i compagne t ' intuonaro un'inno. D.ttemi a pi ene mau gigli, e viole H Ninfe d el Ronco, onde le sparga innante Al sacro piede, e tu Musa a vvalora De' carmi il tenue suon. Sahe deh! sal ve, Ili ustre Preuce. Vedi la speranza

12 Che per Te sorge in ogni petto, eterno Dell' Arti il genio si conservi a noi. Grato canto si levi all ' Immortale Che a tanto onore ti sortì. Fortu ne S' imprometton per Te; chè dove regge Sapienza fugge iuopia. Arnica pace Riderà in ogni loco; sol fratf'rni Concordi affetti regneran, non l' armi. Riedan deh! riedao le bell' opre antiche Che discordia fugò; r'1eda ai garzoni Di virtude desio, de ll' ozio sdegno; Ai padri torni nella dolce prole Conforto; ai vegli riverenza, e onore: Verecondia alle vergini, alle spose. Deh! Prence, alla mia Patria d' un guardo Sorridi; t' accompag11a a l suo soccorso A due gran lumi, di che van si liete Liguria (9), e Treja (10), e Roma, e la mia Li via. Deh! tua mercè, risorgano le miti Arti, e gli studi , onde famoso grido Alzar nostr' avi; ignoranza, ed invidia Fuggan carche d' infamia e di di spetto. Si volgerà per Te lieta , e felice Etade, o Prence, fìa perenne, e cara De' benefi ci i la memoria· ai fiuli ' o L ' apprenderanno i padri: monumento D' affetti vince simulacri, e marm1. Di U. Avv. P.

·15 (l) L' Eminentissimo e Revereoùissimo Principe il Sig. Car• dioale Giacomo Ciostiniani Camerlengo di S. R. Chiesa. (2) L' Eminentissimo Ciustiniani ' fu Nunzio .Apostolico in T spagna. (2) L'Eminentissimo Ciustiniani fu rlruo dalla santa mc• moria di Leone X II. Vescovo d' Imola, di cui era stato pur Vescovo l' Eminentissimo Chiaramonti poscia P io VIT. di fel icissima ricot·ùanza. (4-l La medaglia di Cicerone. (5) Si allude alla Segreteria dci Mcm01·iali. (6) S i accenna alla S. Congregazione dcii" Indice. (7) La S. Congregazione degli Studi. (!!) L ' Eminentissimo Cardinal Caleffi Ccsen:ote Camerl engo di S. Chif'>sa, worto in Roma, sono varii mesi. (g. 10. ) Cii Eminentissi mi Signori Corùinali Ugo Spinola di Genova Protettore della C1tt<Ì di Forlì , c N ico· la Cdmalùi di Treja Legato ùcll" P toviocia for• livese. ~~7 76

... ...l i•ii & l-..uarit~ • .au. IMPRUIJTUII Pr. UYAC INTIIJUS CELLE O. P. i. 'flod. Lec1or1 et S. 011. VW..

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