Felice Turotti - Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II

-( 63 )- Non era opera. lieve il sappiamo ridurre ad un solo sbtema doganale tre sistemi differentissimi , come il Piemontese , il Toscano, il Romano) non poch~ erano le difficoltà da superarsi, perchè nella mutazion~ gli interessi privati ricevino il minor urto possibile, ma appunto per questo i governi, dovevano por mano tosto all'opera, per n1m ritardare il compimento. Certamente che se gli Itali ani avessero preso in esempio Htempo che spesero prima di trovarsi d'accordo gli stati germanici fondatori dell ' unione doganalBpoteano risentire spavento, tanto fu lungo ed in meschine quistioni di tariiTa malamente consumato. Ma ciò non poteva dar presa a' ti mori in Italia essendo che i govcrni aveano a guida un principio ideale. La libertà di commercio stabilita nel trattato del 3 novembre, come lù scopo a cui dovea esser sempre diretta la nuova tariffa doganale, av rebbe apbracciata notevolmente le trattative fra gli Stati coll egati, determinando un punto verso il quale tutti dovevano convergere, avrebbe fermato fino dal principio le discussioni sulle tante misure che se ne allontanano, r. consecrando un principio immutabile, come unica base della pubblica prosperità, avrebbe salvato per sempre la lega dei passi retrogradi dei quali pnr troppo la unione germanica ha dato un esempio. Finalmente il più caldo propugnatore della lega era Carlo Al - berto, e quello tra i contraenti forse il meno che ne avesse mestieri imperciocchè vedeva già. il popolo corrispondere alle sue speranze. L'Austria aveva susci tato la quistione di Ferrara per intorbidare le trattati ve della lega, e mentre Roma era occupata a fc· steggiare Pio IX , sembrava in apparenza che alla corte desso molto da pensare o da fare la quistione Ferrarese. Diciamo in apparenza imperciocchè tutti sono ormai convinti che fra Pio IX cd Austria. esiste vano nrcane intelligenze, mediatori delle quali erano i Gesuiti e depositari di tanto secreto. E mentre il conte di Fi · quelmonte trattaYa. colla corte di Boma per mezzo del conte di Lutzof incaricato austriaco , giunse nella città eterna lord Minto dell'Inghilterra mandatario per suscitare in Italia rivolgimenti. Assicurava egli il Pontetìce in nome del suo governo che avrebbe ricevuto soccorsi ed aiuti per la piena alluazione delle riforme, c che il medesimo non vedrebbe con indifferenza un' aggressione contro lo· Stato Romano. L'Inghilterra era governata da lord Palmerston, il quale salì a buon mercato in fama di gran diplomatico, ma noi lo riguardiamo più presto come barattiere, imperciocchè i suoi fatti sbugiardarono sempre le parole, ed una prova sia la lettera che mostrava lord .Minto ai governi italiani, colla quale incuoravali alle riforme e a non laseiarsi intimidire dall'Austria •

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