Ignazio Silone - La scelta dei compagni

TESTIMONIANZE LA SCELTA DEI COMPAGNI di IG AZIO SILONE ASSOCIAZIONEITALIANAPBR LALIBERTl ffBLLACULTURA

L'Associazione italiana per la libertà della cultura si è cost;ituita, in Italia,, sotto gli auspìci del Congresso internaziona,lP per Ia libertà della cultura, per difjondPre i princìpi dt>finiti in un Manifesto agli inteUettuali pubblicato a Roma il 1° dicembre 7 951. QuPsti princìpi sono statì così f ormnlnt.i: « oi riteniamo che il mondo moderno possa proseguire nel suo avanzamento solamente in virtù di quel principio di lihertà della coscienza, del pensiero, deJl'espressione, che s1 è faticosamente <'onquistato nei passati secoli. « Riteniamo che, in quanto uomini e cittadini, anche coloro che professano le arti e le scienze siano tenuti ad impegnarsi nella vita politica e civile, ma che al di fuori delle tendenze e degli ideali politici e delle preferenze per l'una o per l'altra forma di ordinamento sociale e di struttura economica, sia loro dovere custodire e difendere la propria indipendenza, e che gravissima e senza perdono sia la loro responsabilità ove rinuncino a questa difesa. « E riteniamo infine che, nell'attuale periodo storico che ha visto e vede tanti sistematici attentati alla vita dell'arte e del pensiero da parte dei potenti del giorno, i liberi artisti e scienziati siano tenuti a prestarsi reciproca solidarietà e a confortarsi nel pericolo >>. bibliotecag1nobianco

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IGNAZIO SILONE LA SCELTADEI COMPAGNI ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA LIBERTÀ DELLA CULTURA Roma, ottobre 1954 b1bllotecaginobianco

Testo, riveduto dal!'Autore, di una conferenza tenuta nel rnaggio 1954 a Torino, Genova, Milano e Roma per l'Associazione culturale italiana Tutti i diritti riservati Pubblicato a cura della Associazione italiana per la libertà della cultura Roma, Piazza Accademia di San Luca, 75 bibliotecaginobianco

Nel corso dègli ultimi quarant'anni, il fallimento di alcuni grossi miti politico-sociali, tramandatici dal secolo scorso, ha posto una certa categoria di uomini, che quei miti guardavano come bussola, in una situazione spirituale d'incertezza e ambiguità ancora lontana dall'essere chiarita. Essendo la situazione sorta direttamente dalle esperienze, dalle lotte, dai mutamenti avvenuti nella vita collettiva, e dall'estinzione dei « lu-- mi )).che in precedenza guidavano molti di noi all' azione, essa ripropone da capo i problemi del comportamento dell'uomo d'oggi, assieme al quesito maggiore sul senso stesso della nostra esistenza. Non si tratta, insomma, neppure nei suoi aspetti marginali, di un divertimento o stravaganza letteraria. In ogni epoca non mancano uomini, anch'essi rispettabili, i quali, a modo loro, interpretano lo spirito del tempo nel modo di ta, gliarsi i capelli, o di farsi il nodo della cravatta, o di pronunziare la r; ma per altri, meno fortunati, le con5 bibliotecaginobianco

giunture di crisi hanno spesso conseguenze più gravi. Pur temendo di dare prova di cattivo gusto, per non perdere tempo, preferisco cominciare da questi. Il numero degli scrittori che nei vari paesi, negli uitimi decenni, si sono dati volontariamente la morte, ha raggiunto una cifra che forse è senza esempio nelle epoche precedenti. A me pare che la maggioranza di_ quei tragici -episodi, benché esteriormente assai diversi, abbiano uno sfondo comune: ciò che Nietzsche chiamò il nichilismo dell'età moderna. Le vicende degli autori hanno meno importanza dei loro libri? Non credo. Ogni volta che a me accade di riflettere alle espressìoni più signifiçative del senso di smarrimento, di noia, di disgusto, prodotte dal nostro tempo, il mio pensiero non va tanto ai libri di Heidegger, di J aspers, di Sartre, quanto ai suicidi di Essenin, di Majakowsky, di Ernst Toller, di Kurt Tucholsky, di Stefan Zweig, di Klaus Mann, di Drieu La Rochelle, di F. O. Mathiessen, di Cesare Pavese, e di tanti altri meno noti. A menzionarli così tutti assieme, quale schiera di ombre terrificanti. Al di là delle circostanze esteriori invocate a suo tempo per _spiegarela fine disperata di ognuno di quegli uomini di talento (le persecuzioni, l'esilio, l'isolamento, . la miseria, la malattia, l'anormalità) basta conoscere ciò che essi stessi, prima di morire, hanno scritto o confidato agli amici, per ritrovarvi, in ultima analisi, una identica confessione di angoscia e di disperazione davanti al penoso sforzo di vivere e alla sua inutilità. 6 bibliotecaginobianco

/ Stiamo in guardia dunque contro le spiegazioni superficiali. Ogni tentativo d'accusare per quegli episodi· un determinato regime politico, di tutta evidenza, li travisa, poiché, come è risaputo, essi sono accaduti sotto i regimi più diversi, in Russia, in America, in Europa. E ancor meno si può farne colpa all'influenza perniciosa di una dottrina pessimistica, poiché il Majakowsky era il cantore di una rivoluzione vittoriosa, e gli altri, dallo Zweig al Pavese, erano profond;imente radicati nella tradizione umanistica o religiosa del proprio ambiente d'origine. (Non sarebbe anzi fuori luogo capovolgere addirittura la diagnosi e affermare, seguendo un noto canone psicologico, che probabilmente alcuni di essi finirono col soggiacere così miseramente all'angoscia per averla esclusa dalla. propria .dottrina e arte. La inibizione è più micidiale della sincerità). Ma la decadenza del nostro tempo ha avuto degli inizi antecedenti alle date dei tragici episodi da me ora ricordati; ed essa non ha coinvolto soltanto individui raffinati di esasperata sensibilità, sibberte i ceti e le istituzioni più diversi, non risparmiando le classi popolari. Nietzsche de.finì per primo questa decadenza e la chiamò, come ho ricordato, nichilismo, dando a questa parola un senso che poi le è rimasto, diverso da quello del Turghenieff nel suo celebre romanzo. Le guerre e le rivoluzioni successive hanno adempiuto la profezia di Nietzsche, rendendo evidente ciò che ai suoi tempi poteva ancora essere nascosto. Di che si tratta? Nel suo aspetto morale più comune, nichilismo è l'identificazio7 bibliotecaginobianco

ne del bene, del giusto, del vero col proprio interesse. Nichilista è la diffusa intima convinzione che dietro a tutte le fedi e dottrin·e in fondo non ci sia nulla di reale, e che pertanto, in definitiva, solo importi e conti il successo. Nichilista è il sacrificarsi per una causa alla quale non si crede, facendo finta di crederci. Nichilista è l'esaltazione del coraggio e dell'eroismo, indipendentemente dalla causa a cui servono, equiparando così il sicario al martire. E così via. Come ci siamo ridotti a tanto? Sappiamo che di solito si accusa la prima guerra mondiale di essere stata causa e origine di tanto disastro; ma possiamo domandarci se sarebbe scoppiata quella guerra se il mondo civile non fosse stato già in crisi. La grande guerra rivelò semplicemente la fragilità déi miti progressivi sui quali poggiava la civiltà capitalistica. Anche nei paesi vincitori le vecchie istituzioni traballavano per le dure prove subite e sembravano impalcature marce. Da esse lo scetticismo e la corruzione scendevano fino alle fondamenta sociali. I tradizionali valori morali e religiosi, imprudentemente invocati per puntellare gli interessi minacciati, ne rimasero compromessi. Ora mi chiedo se vi sia proprio bisogno di ricordare come la restaurazione autoritaria, attuata in quegli anni prima in Italia e nei Balcani e poi in Germania e altrove, fosse solo un rimedio che aggravò il male. Pare incredibile, ma mi si assicura che ciò è di nuovo neces8 bibliotecaginobianco

sario. Per il rispetto dell'intelligenza dei nostri contemporanei, quale dovere umiliante. Ma come potevano illudersi i conservatori che il nichilismo potesse essere superato da una qualsiasi forma di tirannia politica? Il fascismo, nelle sue varie forme, significò, al contrario, la instaura_zione del nichilismo al potere. Poiché la dittatura rafforzò bensì gli antichi strumenti di coercizione e ne creò degli altri, ma non creò, né poteva creare, un nuovo ordine morale e produsse anzi, col suo clima di paure e di servilismo, un aggravamento e un'esasperazione della generale decadenza morale. Il fascismo, ~ dirla in breve, si illuse di risanare gli italiani dal loro scetticismo mediante l'ortopedia. E in un'epoca in cui, presso i giovani, come voi ricorderete, cadevano in disuso i cappelli e le pagliette, esso pretese d'imporci addirittura l'elmo di Scipio. Così fu instaurata una vita pubblica ostentatrice di sentimenti eroici senza profonde radici nelle coscienze, e ne risultò una espressione rumorosa e gesticolante di passioni ambigue o finte o superficiali. È pur ve'ro che quella natura tragico-carnevalesca del fascismo facilitò in seguito il suo crollo, ma essa creò malauguratamente anche l'illusione di una simultanea disparizione del morbo morale del nichilismo, i cui germi si annidavano invece nelle coscienze. Perciò, sotto molti riguardi, stiamo sempre allo stesso ounto. Alcune cose senza dubbio sono cambiate, e di J. tutti i mutamenti il più apprezzabile, per ora, è, certamente, questa liceità di parlare pubblicamente dell~ si9. bibliotecaginobianco

tuazione morale dell'uomo senza dover ubbidire a un ottimismo menzognero. Ma per il resto? I regimi passano, il malcostume resta. La grossa difficoltà è che il nichilismo non è un'ideologia, non costituisce un possibile oggetto di materia legislativa, non è una materia scolastica, non un modo diverso di salutare il prossimo, o l'obbligo di usare un pronome piuttosto che un altro; esso è invece una condizione dello spirito che viene giudicata morbosa soltanto da chi ne è immune o da chi ne guarisce, ma di cui i più neppure si rendono conto, nella persuasione che essa anzi corrisponda a un modo di essere del tutto naturale. « È stato sempre così, si dice, e sempre così sarà». La rappresentazione che di questa situazione dell'uomo di oggi ci ha dato la letteratura postnietzschiana ed esistenzialista è a tutti nota. Essa ~i riduce a questo : ogni legame tra l'esistenza e l'essenza dell'uomo è rotto; l'esistenza è priva di ogni significato che la sorpassi; l'umano si riduce alla mera vitalità. Prima di affermar~, dal mio punto di vista, la provvisorietà e caducità di questa rappresentazione, a me preme di non esimermi dal dichiararne, per un certo verso, l'elogio. I motivi? Non si può, a mio parere, non ammirare la sincerità, soprattutto se richiede un certo coraggio, perché senz'.l sincerità non esiste né moralità né arte. E poi, al punto a cui sono ridotte le cose, come scrittore, sinceramente non vedo altra via, all'infuori della libertà dell'arte, per porre, davanti alla coscienza degli uomini, problemi che a essi altrimenti sfuggono e renderli edotti di un'imma10 bibl otecaginobianco

gine di loro stessi più completa di quella che giornalmente ritrovano allo specchio. Ma, detto questo, devo affrettarmi ad aggiungere che la letteratura tuttavia non può prendere dimora stabile nella situazione nichilista. Come uscirne? lo non vedo che una via di liberazione : esplorarne coraggiosamente l'intera superficie. Anche se l'impresa non è esente da rischi, quest:;isuperficie non è affatto incommensurabile; e chiunque vi si avventuri con assoluta lealtà intellettuale e cuore sano, non do- . vrebbe mancare, presto o tardi, di raggiungere il suo estremo limite. Là gli si presenterà bruscamente il baratro del suicidio oppure riscoprirà un qualche valido senso dell'umano. Badate, non è un'ipotesi astratta: ad alcuni è capitato proprio questo, e non si trattà di esempi da poco. Ne citerò alcuni. Voi conoscete certamente l'itinerario dell'opera letteraria di Ernst Jiinger e di Albert Camus. La situazione-limite del nichilismo era stata raggiunta dallo scrittore tedesco nel suo famoso messaggio « Der Arbeiter », in cui egli aveva annunziato, in uh nuovo tipo di proletario spersonalizzato, standardizzato, senza cervello, senza cuore, senz'anima, vero robot vivente, il protagonista della palingenesi moderna. La massima libertà per esso, secondo l'autore tedesco, sarebbe consistita in un suo impiego meccanico nella catena di guerre civili e. di guerre imperialiste in cui' noi siamo già entrati e che domineranno i prossimi secoli. « Sacrificarsi per una fede, scrisse Ernst Junger, vuol dire arrivare al proprio massimo, indipendentemente dal fatto se quella fede 11 . bibliotecaginobianco

racchiuda in sé la verità o l'errore. Per il fatto che gli uomini si· lanciano nella lotta, benché essi non siano che un nodo di paura che nessuna disciplina e nessun amore di patria potrebbero dominare, essi portano, come t."l martire, testimonianza di una realtà ultra umana che è al di là di essi e in essi>>. Gli eroismi dei robot proletari <la lui invocati sarebbero stati dunque tanto più sublimi, quanto più si fossero compiuti oltre la tradizionale sfera dell\1mano, avvicinandosi a quelli dei motori più perfezionati. Era una situazione-limite, oltre la quale era impossibile procedere. A suo onore bisogna ricordare che Ernst J unger se ne ritrasse a tempo, mentre ancora imperava Hitler. Nelle sue opere successive,tra cui rammento la" pagina dal titolo « Del dolore)), il romanzo « Sulle scogliere di marmo >> e il diario della sua campagna di Francia nella seconda guerra mondiale, la sua condanna del nichilismo divenne sempre più esplicita e umanamente motivata. La vicenda di Albert Camus è diversa ma analoga. Rileggendo i suoi libri ognuno può éonfrontare facilmente il netto distacco che corre, da una parte, tra « Le mythe de Sisyphe >> e il romanzo « L'Etranger >> e, dall'altra, tra il romanzo « La peste>> e il libro di saggi << L'homme révolté >>. Nel « Mythe de Sisyphe >> Camus aveva posto la nozione del suicidio sulla soglia del libro per estrarne una •risposta sul senso della vita. Le ragioni di vivere vi sono francamente definite derisorie. « Morire volontariamente, egli· scriveva, suppone che si è riconosciuto, almeno istintivamente, il carattere derisorio di 12 b1bhotecagirobianco

quèsta abitudine, l'assenza di ogni ragione seria di vivere, il carattere insensato di questa agitazione quotidiana e l'inutilità della sofferenza)). Uccidersi significa << confessare semplicemente che non ne vale la pena )) ~ l'inutilità, l'assurdità della vita quotidiana. Il rimedio contro questo desolato senso dell'assurdo gli sarà offerto dalla compassione. (< Il mondo in cui vivo mi ripugna, scriverà Camus nell' "Homme révolté", ma mi sento solidale con gli uomini che vi soffrono )). La vita dei personaggi del suo romanzo successivo « La Peste'), non sarà più presentata come uno· sviluppo impassibile di fatti arbitrari e privi di senso, ma è un incontro compassionevole di esseri che soffrono e si dibattono contro un comune destino. Uno dei personaggi del romanzo, il dottor Rieux, incontrò a un certo punto Grand, un piccolo impiegato del municipio abbandonato dalla moglie, e abbandonato sen~a rancore. « E,gH guarcfava Grand da lontano, quasi incollato davanti a una vetrina piena di giocattoli di legno e grossolanamente scolpiti. Sulla faccia del vecchio impiegato le lagrime scprrevano senza interruzione. E quelle lagrime sconvolsero Rieux perché le capiva e le sentiva nel vuoto della propria gola. Egli si ricordava anche il fidanzamento del disgraziato, davanti a una bottega di Natale, e di f eanne curva verso di lui per dirgli che era contenta. Dal fondo degli anni lontani, la fresca voce di T eanne tornava verso Grand, questo era certo. Rieux sapeva ciò che pensava in quel momento il vecchio uomo che piangeva, ed egli pensava come lui, che questo 13 bibliotecaginobianco

mondo senza amore era un mondo morto e che giunge sempre un'ora in cui ci si stanca delle prigioni,· del lavoro e del coraggio, per reclamare il volto di un essere e il cuore meravigliato dalla tenerezza ... Quell'infelicità era la sua e ciò che gli rodeva il cuore in quel momento era l'immensa collera che viene all'uomo davanti al dolore che colpisce tutti gli uomini>). Camus ci ha insegnato che anche la rivolta che.nasce dalla sola pietà può ridare un senso alla vita. , Il caso di André Malraux è più singolare, perché questo epigono francese di Nietzsche è passato dal comunismo al gollismo dando l'impressione di rimanere intimamente nietzschiano. La sua tumultuosa parabola pare, infatti, l'avventura di un « superuomo ))alla ricerca di prove e occasioni per la propria esaltazione; sarebbe tuttavia ingiusto considerarla una vicenda esteriore, da eroe di cinema. Dalla « Tentation de l'Occident >> alla «Psychologi,ede l'art)) non assistiamo soltanto a un cambiamento di scena. Nel 1926Malraux annunziava il fallimento storico dell'Europa, « questo cimitero· ove non dormono più che conquistatori morti>>. La rivolta comunista dei popoli di colore parve allora offrirgli una prospettiva adeguata; ma quanto ambigua fu la sua adesione. Il senso· virile di una nuova fraternità si alternava, nelle pagine della « Condition humaine )), all'ebbrezza dell'azione pura. Con tono più fermo la fraternità era invocata nel (< Temps du mépris >> come l'estrema risorsa contro la disperazione nichilista. Era una so14 bibl1otecag1nobianco

lidarietà attiva, consacrata dal sacrificio, culminante nel• l'atto del compagno sconosciuto che salvò il capo comunista Kassner dalla tortura nazista. Ma il gregario aveva agito di sua iniziativa o per ordine dell'apparato? E la fraternità può fondarsi altrimenti che sulla libertà e responsabilità personale? « La servitù economica è dura, dirà il vecchio Alvear nell' "Espoir", ma se, per distruggerla, siamo costretti a rafforzare la servitù politica, o militare, o religiosa, o poliziesca, allora che m'importa? >>: Le rivoluzioni si riconoscono, come gli alberi, dai loro frutti, e non dallo sforzo che costano. Sono esempi isolati, lo so, e so che non bastano un paio di rondini per fare una primavera; essi però indicano una via di salvezza, una vera uscita di sicurezza dal nichilismo, che parte da una certa irriducibile forza recondita dell'uomo. Senonché ora a me urge di riannodare alla conversazione il filo che più m'interessa e che per un momento è rimasto in sospeso.Nel suo nocciolo essenziale, la particolare situa4ione spirituale, alla quale mi riferisco, si presenta affine a quelle ora ricordate; essa risulta però da un itinerario diverso e ne trae un significato proprio. Al punto di partenza di quell'itinerario non si ritrova quasi mai la meditazione filosofica o la persuasione scienti.fica,ma il più sovente una rivolta istintiva contro l'ambiente familiare e sociale. Una certa domenica cessammo dall'andare a messa, non perché i dogmi, al15 bibliotecaginobianco

l'improvviso, ci apparissero falsi, ma perché la gente che vi assisteva ci annoiava, e invece ci attirava la compagnia di quelli che ne rimanevano lontani. La rivolta di un giovane contro la tradizione è un fatto frequente in tutti i tempi e in tutti i paesi, e raramente essa si-presenta spoglia di ambiguità. Secondo le circostanze, la rivolta può condurre alla legione straniera, alla delinquenza comune, all'arte del cinema, come anche in un convento, o all'estremismo politico. Ciò che definì la . nostra· rivolta fu la scelta dei compagni. Fuori della chiesa del nostro borgo c'erano i cafoni. Non era la loro psicologia che ci attirava, ma la loro condizione. Una volta consumata la scelta, come l'esperienza insegna, lo sviluppo della vicenda di solito perde ogni originalità. Senza opporre resistenza, anzi col fervore ben conosciuto dei neofiti, si accettano il linguaggio, i simboli, le norme organizzative, la disciplina, la tattica, il programma, la dottrina del partito dei nuovi compagni. Non c'è da sorprendersi se le nozioni del catechismo e quelle dei libri di scuola non costituiscano, nella maggior parte dei casi, alcun serio ostacolo alla fervida accettazione della nuova ortodossia. Non_ si pone a dir vero neppure il bisogno di confutarli, poiché i dogmi del catechismo e le nozioni dei manuali scolastici fanno parte del mondo che si è abbandonato. Essi non sono , né veri, né falsi; sono « borghesi )), foglie secche. La scelta è emotiva, ·a-logica. Che poi la nuova ortodossia, così globalmente accettata, rivendichi per sovrammercato il carattere di scientifica e di oggettiva, non è la 16 bibliotecaginobianco

minore delle incongruenze su cui invano voi cerchereste di attirare il senso critico del convertito. Questa è la regola. Ho letto un certo numero di biografie di anarchici, di socialisti, di comunisti, di fascisti, e sono più o meno al corrente delle circostanze che condussero all'attivismo politico un certo numero di miei conoscenti: non ho ancora trovato una sola eccezione allo schema ora descritto. E se eccezioni esistono, devono essere rare. In altre parole, ci dichiariamo sovversivi o conservatori per motivi che portiamo in noi, sovente in termini poco chiari. Prima di scegliere, siamo scelti, a nostra insaputa. E la nuova ideologia, di solito, la si apprende più tardi, nelle scuole del partito, al quale, intanto, si è già aderito per slancio di fede. 1h tutto simile, d'altronde e come giusto, si svolge il processo inverso, quello eventuale dell'abiura. L'ideologia vi subisce allora lo stesso brusco trattamento già riservato al catechismo e alle patrie storie. Per dirlà in termini antiquati, insomma, anche sulla via della resipiscenza la mente è rimorchiata dal cuore, o, secondo la salute dell'interessato, dallo stomaco. Noi non possiamo però rinunziare a renderci conto. Che cosa potevano rappresentare i cafoni del proprio villaggio, agli occhi di un giovane studente negli anni che precedettero immediatamente la prima guerra mondiale, perché egli ne sposasse la causa? Egli non poteva pensare davvero ad una carriera politicante; e d'altra parte non conòsceva ancora l'orgogliosa profezia di Marx che salutava nel proletariato 17 bibliotecaginobianco

il legittimo erede della filosofia moderna; e ignorava anche che, dopo le Cinque Giornate di Milano, Carlo Cattaneo aveva annunziato l'unione ormai inscindibile del proletariato con la libertà, destinati, come un cavallo e un cavaliere, a percorrere assieme l'età nuova; e non aveva avuto ancora sentore della teoria di Rosa Luxemburg sulla naturale spontaneità rivoluzionaria degli operai; né della teoria di Lenin sulle forze motrici del progresso nella società moderna; né sapeva del Sorel o di altri profeti del nuovo Messia. Ma, se in quella remota contrada dell'Italia· meridionale le nuove teorie rivoluzionarie sulla missione storica del proletariato non erano ancora arrivate, proprio in quegli anni, principalmente per impulso di lavoratori tornati dalle Americhe, erano sorte le prime leghe di resistenza dei contadini poveri, ·suscitando indicibile paura e sgomento. Non è da stupire che quell'insolito subbuglio, percepito da un giovane interiormente già disgustato dall'ambiente locale, portasse nel suo animo un profondo mutamento, e cioè la persuasione che in una società vecchia, stanca, esaurita, annoiata come quella, i poveri rappresentassero la estrema risorsa della vita: una realtà con la quale fosse salutare accompagnarsi. Correvano allora gli ultimi anni di un'epoca in cui numerosi fatti sembravano confermare la validità del mito della missione liberatrice del proletariato. Il fascino di questo mito esorbitava di gran lunga gli angusti schemi della politica dei partiti. Il movimento dei lavoratori, nel suo insieme, appariva come la grande alter18 bibliotecaginobianco

nativa popolare alla decadenza nichilista annunziata da Nietzsche: era la promessa di una nuova terra e di un nuovo cielo. La vita morale, l'arte, il pensiero ne erano direttamente influenzati. E le cronache parevano dare letteralmente ragione a Rosa Luxemburg. Non si correva ancora il rischio di essere smentiti, in quegli anni, affermando che ovunque agisse una organizzazione di lavoratori, in qualsiasi regime, clima o condizione sociale, malgrado i suoi difetti, e chiunque ne fossero i dirigenti, socialisti, anarchici, sindacalisti, essa si muoveva << naturalmente>> nella direzione della libertà e del rinnovamento. Era anzi accaduto un episodio, rimasto poi classico nella storia del movimento operaio, che sembrava cre.ato apposta per dimostrare anche agli scettici la fondatezza di quella teoria natùralistica di Rosa Luxemburg sulla spontaneità liberatrice degli operai. Verso il 1905, a Mosca, la polizia segreta zarista, la Ocrana, prese l'iniziativa di promuovere la formazione di un sindacato operaio, allo scopo di attirarvi gli agitatori clandestini e di arrestarli. Costoro subodorarono subito l'inganno e ne rimasero alla larga, ma il sindacato, benché fosse di origine poliziesca, essendo composto di autentici proletari, divenne da sé, spontaneamente, una organizzazione rivoluzionaria, dimodoché ben presto la stessa Ocrana fu costretta a scioglierla. Ebbene, noi tutti ora sappiamo che, nel frattempo, assieme -al mito della fatalità del progresso, è svanito anche quello della spontaneità liberatrice del proleta19 biblio .ecaginobianco

riato. Le recenti esperienze dei sindacati nazisti, salazariani, peronisti e, in senso più largo, riformisti e corporativisti, hanno finito col persuadere di ciò anche quelli che erano riluttanti ad ammetterlo partendo dalla sola degenerazione totalitaria del comunismo. Ma ora, ripeto, il tramonto di quel mito costituisce un dato di fatto ovvio per chiunque si prenda il fastidio di informarsi delle condizioni del mondo e non soltanto del proprio circondario. Non si tratta più soltanto di un sottile stra- - to di lavoratori privilegiati (la cosiddetta « aristocrazia proletaria )) dei paesi imperialisti, resa possibile dallo sfruttamento dei popoli coloniali); né delle categorie inferiori, ancora plebee, rimaste ai margini del processo produttivo (il cosiddetto Lumpenproletariat), i:nadi normali masse lavoratrici. Un esperimento come quello dell'Ocrana del 1905,oggi, non sarebbe fatalmente condannato all'insuccesso. L'avvenimento ha per i marxisti questo significato evidente: lo stesso modo di vivere non determina più, nell'organizzazione operaia, tn identico o affine modo di pensare. La coscienza di classe non è più un prodotto naturale della classe. Da quando si è creata questa situazione, da quando sui problemi fondamentali dell'uomo d'oggi non esiste più, su scala mondiale, un orientamento, un peso, una efficacia univoca del mondo operaio verso la libertà, ne è risultata una nuova dimensione, non solo della vita politica mà spirituale. Il mondo operaio si è spirituàlmente frantumato. Esso è oggi polivalente. Il cavallo di Carlo Cattaneo ha buttato a terra il cavaliere ed è tor20 bibliotecaginobianco

nato allo stato brado. L'operaio può essere, come si è. visto e si vede, un attivista delle cause più opposte: può essere camicia nera e partigiano, boia e vittima, o semplicemente, nei paesi ricchi e tranquilli, un pigro filisteo senza ideali, assicurato contro la disoccupazione, contro la vecchiaia, contro le malattie, e anche contro il pericolo che le società •di assicurazione falliscano. Ma, di preferenza, nei paesi poveri come il nostro, a causa della sua relativa semplicità, il proletario può essere preda degli opposti estremismi. Egli può essere ancora Cristo, ii povero Cristo che prende su di sé i peccati degli altri e si sacrifica per loro; e può essere anche Barabba, un ignobile.Barabba totalitario, calpestatore di tutto ciò che nell'uomo è di più umano. Comunque, sulla scena, esso ia figura di protagonista. Esso è il deus ex machina della politica moderna. È ingenuo illudersi di poter abolire questo fatto. Che sciocchezza, credere che una democra- ~ia possa reggersi alla lunga, contro gli operai, mediante la polizia e i tribunali. Per la posizione che i lavoratori oècupano nel processo produttivo, per il loro numero,_ per la loro maggiore compattezza e omogeneità sociale, l'orientamento che in qgni paese essi assumono costituisce il fattore decisivo del destino politico. Non ve n'è di più potente; la libertà degli uomini ne dipende, e tutto il resto. Ma poiché non è più la classe, sibbene la coscienza che decide, allora siamo da capo. La scelta che ci si impone è duplice: la classe e nella classe: il proletariato e la libertà. In che stato sono ridotte le coscienze? Basta guar21 b1bl1otecag1nobianco

darsi attorno. Dalle classi alte il nichilismo si è propagato su tutta la superficie sociale. L'epidemia non ha risparmiato i quartieri popolari. Universale è oggi il culto nichilista della forza e del successo. Ed è nichilista questa generale virtù di identificare la Storia con i vittoriosi, l'ignobile viltà che porta tanti intellettuali versoil comunismo o verso McCarthy. I ·morti, i deboli han sempre torto? Mazzini ebbe torto? Trotzky ha avuto torto solo perché è stato battuto? Gobetti, Matteotti avevano torto? E Gramsci non cominciò ad avere ragione ch:edall'aprile del 1945? Non l'avrà più se diminuirà la forza del suo partito? E la paura della bomba all'idrogeno è la paura di una ragione superiore, di una ragione più convincente delle altre? Alla generale insicùrezza personale, che nella nostra epoca risulta dalla crisi economica e dall'invasione dello Stato e della politica in tutti i campi dell'attività umana, corrisponde la ricerca affannosa da parte dei singoli di una qualche sicur_ezzae protezione in uno dei partiti di massa, il che non esclude affatto il doppio giuoco con il partito-avversario, possibile vincitore di domani. Se !e critiche ideologiche e le campagne morali non scuotono la compattezza dei partiti di massa e lasciano indifferenti la maggior parte degli iscritti, ciò accade appunto per il motivo già detto: sono ben rari quelli che vi aderiscono per un'intima convinzione ideologica. E a questa disposizione opportunistica dei singoli, ossessionati dalla propria sicurezza e da quella della propria 22 bibliotecaginobianco

famiglia, corris.ponde la tendenza usurpatrice degli enti collettivi. A dir vero, non saprei indicare quale collettività, oggi, possa considerarsi immune· dalla lebbra del nichilismo. Si direbbe addirittura che la vita associata crei la temp_eriepiù favorevole alla incubazione dei suoi germi. Come ·è monotona la stupidità umana. Il meccanismo mortifero è sempre lo stesso: ogni gruppo o istituzione sorge in difesa di un ideale, ma strada facendo si identifica con esso e poi vi si sostituisce, ponendo al vertice di tutti i valori i propri interessi. « Chi nuoce al partito è contro la Storia >>. I soci, per le ragioni dette e ripetute, non ne sono affatto incomodati; vi trovano anzi il loro tornaconto. I vantaggi non sono trascurabili poiché l'abdicazione a ogni responsabilità personale è completa. Se per dannata ipotesi a qualcuno sorge un dubbio, egli non ha che da rivolgere un quesito all'ufficio propaganda. (Nei casi delicati, la risposta gli sarà. portata a domicilio). Quanti si avvedono che la tirannia dei mezzi sui fini è la morte naturale dei fini più nobili? E che la riduzione dell'uomo a strumento e materia prima, dà un carattere mistificatorio a qualsiasi pretesa di voler assicurare la felicità dell'uomo? Non vi è immagine più malinconica di questi ex perseguitati che a loro volta. diventano persecutori. Non so se voi conoscete la terribile lettera che la Simone Weil scrisse a Bernanos, nella primavera del 1938,a proposito della guerra civile di Spagna. Alla veemente· re23 bibliotecaginobianco

quisitoria dello scrittore monarchico e cattolico contro gli eccessi della repressione franchista nell'isola di Maiorca, fa riscontro l'accorata confessione della giovane intellettuale rivoluzionaria, volontaria dalla parte dei repubblicani. La lettera è stata pubblicata solo recentemente ed esprime l'orrore di una donna sensibile per le inutili stragi che accompagnarono quegli avvenimenti; ma ella aveva assistito a qualcosa che le aveva lasciato un'impressione ancora più penosa della violenza brutale. Sarebbe difficile citare un testimone più puro e disinteressato e una vicenda più esemplare. « Non ho visto mai, lei scrive, né fra gli spagnoli né fra i francesi venuti a combattere o a passeggiare ( e questi ultimi erano spesso intellettuali tetri ed inoffensivi) non ho mai visto nessuno ch'esprimesse, almeno nell'intimità, repulsione o disgusto o soltanto disapprovazione per il sangue inutilmente versato. Voi parlate della paura. Sì, la paura ha avuto una parte in queste uccisioni; ma dov'ero io, non ho riscontrato che avesse la parte che voi le attribuite. Uomini in apparenza coraggiosi durante un pranzo cameratesco raccontavano con un buon sorriso fraterno in che modo avevano ucciso dei preti o dei "fascisti", parola assai larga di significato. Ho avuto la sensazione che quando le autorità temporali e spirituali ,hanno posto una categoria di esseri· umani al di fuori di coloro la cui vita ha un prezzo, allora non c'è più nulla di naturale per l'uomo che uccidere costoro; quando si sa ch'e si può uccidere senza rischiare né punizione, rié biasimo_,si uccide; o per lo me24 bibliotecaginobianco

no si fanno dei sorrisi incoraggianti a coloro che uccidono. Se per caso si prova da principio un po' di disgusto, lo si nasconde e si soffoca, per la paura di dover mostrare che si manca di virilità. In quesfo c'è un impulso, un'ebbrezza alla quale ~ z"mpossibileresistere, senza una forza d'animo che devo per forza consideràre eccezionale, poiché non l'ho trovata in nessuno. Ho trovato, al contrario, dei tranquilli francesi, che fino allora non disprezzavo, i quali non avrebbero avuto da sé i pensieri di andare a uccidere, ma che però s'immergevano in quell'atmosfera impregnata di sangue con visibile piacere. Una simile atmosfera fa scomparire perfino lo scopo stesso della lotta. Poiché non si può formulare lo icopo se non riconducendolo al bene pubblico, al bene degli uomini; e gli uomini non hanno valore>>., E la lettera così concludeva : ;< Si parte come volontari, con idee di sacrifici"oe si cade in una guerra di mercenari, con molte crudeltà in più)). Naturalmente non mancheranno degli imbecilli i quali considereranno la lettera di Simone Weil disfattista; ma la disfatta l'aveva preceduta, come la malattia precede la diagnosi. In questo universale naufragio morale qual è il relitto a cui aggrapparsi per non affondare? Tra i pensieri della stessa Simone Weil, raccolti sotto il titolo « L'ombra e la grazia >> si può leggere 25 b"bliotecagmobianco

questa risposta indiretta, la cui validità sorpassa di gran lunga la politica: bisogna « essere sempre pronti a mutare di parte come la giustizia, questa fuggiasca dal campo dei vincitori ». Certo siamo ormai lontani dalla situazione semplicissima in cui noi ci rivoltammo contro l'ambiente familiare, passando dalla parte dei proletari. I proletari di questo mondo non sono più d'accordo tra di loro; essi non incarnano più un mito, e ad accompagnarli ovunque e comunque si rischia di finire ove meno si desidera. Ecco perché, alla scelta ini'.?iale,ripeto, se ne impone una supplementare. Per giudicare gli uomini, non basta più osservare se hanno i calli alle mani, bisogna guardarli negli occhi. Lo sguardo di Caino è inconfondibile. Siamo dalla par~ te dei condannati ai lavori forzati o dalla parte dei loro guardiani? È un dilemma al quale non si può più sfuggire, poiché gli stessi carnefici ce lo impongono. « Siete con noi o contro di noi? » essi ci intimano. Bisogna chiamare pane il pane e vino il vino. Noi non Ìntendiamo sacrificare i poveri alla libertà, quest'è certo, né la libertà ai poveri, o, più precisamente, ai burocrati usurpatori eretti sulle loro spalle. La fedeltà agli uomini perseguitati in ragione del loro· amore della libertà e della giustizia impegna l'onore personale. Essa definisce meglio di qualsiasi astratta formula programmatica. A questi lumi di luna, mi pare, essa è la vera pietra di paragone. Il già detto dovrebbe bastare ahche a chiarire per26 bibliotecaginobianco

ché l'umanesimo generico, letterario e filosofico, ci dica ormai ben poco. Forse tornerà una stagione che· gli sia più propizia; ma, per òra, noi ci sentiamo ben lontani dalla serena armonia che esso raffigura. Ci pare che l'auto-compiacimento dell'uomo, in esso implicito, abbia. nei nostri tempi, scarse pezze d'appoggio. In realtà, l'uomo d'oggi è abbastanza mal ridotto. Un'immagine dell'uomo moderno che non voglia discostarsi troppo dal- • l'originale ed evitare il verbalismo, non può non essere deforme, scissa, frammentaria, cioè, in • una parola, tragica. Questa confessione d'umiltà non ci costa sforzo alcuno: noi non conosciamo la risposta dei quesiti supremi sulle origini e sul destino. A essere leali, queste domande tradizionali neppure ci assillano. Il rompicapo sulla priorità dell'uovo o della gallina ha cessato d'incuriosirci. Potrebbe darsi che la causa ne sia del tutto banale: il quesito esorbita dalla nostra responsabilità e, comunque si svolsero i fatti, non fu colpa nostra. Se ci capita di passare notti insonni, non è a causa di essi. Questa è dunque la caratteristica principale della nostra situazione: i problemi che ci accaparrano sono quelli della nostra esistenza, sono i problemi della nostra responsabilità d'uomini d'oggi. Soltanto entro questi limiti riusciamo giustamente a definirci. ,Val quanto dire che non ci sentiamo né credenti, né atei, tanto meno scettici. Queste etichette, nel lo.ro significato convenzionale, non ci riguardano. Chi ce le attribuisce, non fa che aumentare la confusione delle 27 bibliotecaginobianco

lingue. Un'invincibile nausea del verbalismo e delle facili consolazioni ci trattiene dall'abbandonarci ad affermazioni più generali. Un sacro rispetto del trascendente ci impedisce di menzionarlo invano e di usarne come di una droga. E se nessun orgoglio può farci tacere di avere anche noi, nei momenti della solitudine e dell'angoscia, ripensato con pungente nostalgia alla casa paterna, al suo antico ordine, alla sua pace, alla sua sicurezza, ci corre obbligo d'aggiungere che l'amore del vero ha sempre finito col prevalere su quello della comodità. In una situazione in cui le premesse metafisiche, o anche semplicemente storiche, sembrano incerte e discutibili, il sentimento morale acquista necessariamente uno spazio insolito, assumendo anche la funzione di guida effettiva dell'intelligenza. È pur vero che in queste condizioni è facile cadere nel moralismo astràtto e velleitario, ma ciò avviene se il sentimento morale opera in una situazione di tabula rasa. In realtà, anche al di là di una chiara consapevolezza, si è sempre un uomo di carne e ossa, un uomo d'una certa contrada, d'una certa classe, d'una certa epoca. Per quel che ci riguarda, la risorsa vitale che salva dalla situazione-limite del nichilismo è di facile identificazione: la stessa carica emotiva che spinse alla scelta iniziale non è stata affatto esaurita dalle delusioni. Non è un caso singolo. Il noi, a questo punto, non è un'ipertrofia dell'io. Il nostro-numero è legione sempre crescente: la legione dei profughi dell'Interna28 bibliot~caginobianco

zionale. Sono realmente molti, all'infuori di ogni partito o chiesa, che ora portano in segreto queste stesse stimmate brucianti. Malgrado tutto, dunque, resta qualcosa? Sì, vi sono certezze irriducibili. Queste certezze sono, nel mio sentimento, certezze cristiane. Esse mi appaiono talmente murate nella realtà umana da identificarsi con essa.Negarle significa disintegrare l'uomo. _ Questo è troppo poco per costituire una professione di fede, ma abbastanza per una dichiarazione di fiducia. È una fiducia che si regge sopra qualcosa di più stabile e di più universale della semplice compassione di cui parla Albert Camus. Essa si regge in fin dei conti sulla certezza intima che noi uomini siamo esseri liberi e responsabili; si regge sulla certezza che l'uomo ha un assoluto bisogno di apertura alla realtà degli altri; si regge sulla certezza della comunicatività delle anime. La possibilità della comunicatività delle anime non è una prova irrefutabile della fraternità degli uomini? Questa certezza contiene anche una regola di vita. L'amore per gli oppressi nasce da ciò come un corollario che nessuna delusione storica può mettere in dubbio. non essendo amore d'interesse. La sua validità non dipende dal successo. Con queste certezze a fondamenta dell'esistenza, come rassegnarci a vedere soffocate le possibilità dell'uomo nelle creature più umili e sfortu-- 29 bib_liotecaginobianco

nate? Come concepire una vita morale che sia sorda a. questo impegno fondamentale? Ma ciò non dev'essere inteso, si capisce, in senso politico di potere o tirannia. Servirsi degli oppressi come di sgabello per il potere e poi tradirli è indubbiamente il più iniquo dei sacrilegi, poiché essi sono i più indifesi degli uomini. Francamente dobbiamo ammettere di non possedere alcuna panacea. Una panacea dei mali sociali non esiste. È già molto questa fiducia che consente di andare avanti. Noi siamo costretti a procedere souo. un cielo ideologico buio; l'antico e sereno cielo mediterraneo, popolato di lucenti costellazioni, è ora coperto; ma questa poca luce superstite, che aleggia attorno él' noi, ci consente almeno di vedere dove posare i piedi per cammmare. Val quanto dire che la situazione spirituale da me· descritta non ammette alcuna apologia o boria. Francamente, essa ·è un ripiego. Essa assomiglia a un accampamento di profughi in una terra di nessuno; a un accampamento scoperto, di fortuna. Cosa volete che facciano dei profughi dalla mattina alla sera? Essi passano• il meglio del loro tempo a raccontarsi le loro storie. Non sono davvero storie divertenti, ma essi se le raccontano, più che altro, per cercare di rendersi conto. • Ora, finché sussiste un'ostinata volontà di capire e di far sapere quello che si è capito, forse non c'è del tutto da disperare. 30 bibliotecaginobianco

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Opuscoli pubblicati dall'Associazione italiana per la libert<Ì della cu/t,11ra: Snie « PROBLEMI DEL NOSTRO TEMPO >i: 1. Le libertà che potremmo perdere <li Denis de Hougemont 5. Il messaggio di Piero Gobetti di Umberto i\forra 6. Lo scrittore tra la tirannia e la libertà di Guido Pinvcnr 7. La solitudine dell'artista di Eugenio Montali'. B. Rivolta e comunioni> di Guglielmo Petroni 9. Per la libertà della fantasia creatrice rii Lion<'llo V<'nluri 10. Le d11e dittature di Vitaliano Brancali ll. L'avvenire della <:11ltura di André Malraux 12. Il tempo della malafede, di Nicola Chiaromonte H. l!art.ista e la società <li Thomas Mann Serie ccFATTI E SITUAZIONI»: 2. Chi sono i partigiani della paèe 14. Idea e realtà dell.'America di E. E. Agnoletti ] 5. La nuova storiografia ,çovietif'a <li V. Giterma1111e G. von Rauch fo. Il metodo dialettico come fìlosofia di Stai.o <li Sidney Hook Seri<' « TESTIMONIANZE i,: 3. Uscita di sicurezza di Ignazio Silone ,i.. La grande tentazione di Czeslaw Milosz Se1·ie « ATTUARE LA COSTITUZIONE »: 17. L'art.if'olo 103 e i codici militari di Girolamo Bellavisia 18. L'arti<'olo 104 e la 1l'lagistrat11ra di Achille Battaglia Prezzo <li vrn<lita L. 100 a c·opia • Conio rorr. post. n. 1/836;J bibliotecag1nobianco

•r ,.,, ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA LIBERTA DELLA CULTURA Roma, piazza Accademia di San Luca, 75 Prezzo di vendita : Lire J 00

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