Umberto Morra - Il messaggio di Piero Gobetti

• IL MESSAGGIO D PIEROGODETT ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA LI BERTA' DELLA CULTURA

L'ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA LIBERTA' DELLA CULTURA si è costituita per diffondere in Italia i principi definiti in un Manifesto agli intellettuali italiani pubblicato in Roma il 1° dicembre 1951. Questi principi sono stati così formulati : « Noi riteniamo che il mondo moderno può proseguire nel suo avanzamento solamente in virtù di quel principio di libertà della coscienza, del pensiero, dell'espressione, che si è faticosamente conquistata nei passati secoli. Noi riteniamo che, in quanto uom-ini e cittadini, anche coloro che professano le arti e le scienze, siano tenuti ad impegnarsi nella vita politica e civile, ma che al di fuori delle tendenze e degli ideali politici e delle preferenze per l'una o per l'altra forma di ordinamento sociale e di struttura economica, sia loro dovere custodire e difendere la propria indipendenza e che gravissima e senza perdono sia la loro responsabilità ove rinuncino a questa difesa. E riteniamo, infine, che, nell'attuale periodo storico che ha visto e vede tanti sistematici attentati alla vita. dell'arte e del pensiero da parte dei potenti del giorno, i liberi artisti e scienziati siano tenuti a prestarsi reciproca solidarietà e a confortarsi nel pericolo ». b1bl1otecaginobianco

PROBLEMI DEL NOSTRO TEMPO ILMESSAGGIO D PIEROGOBETT di UMBERTO MORRA ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA LI BERTA' DELLA CULTURA b1bh tecaginobianco 5

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Pubblicalo sollo gli auspici del COMGRESSO IMTERM.A.ZIOMALE PER LA LIBERTÀ DELLA CULTURA btbliotecaginobianco

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Dopo tanti anni dalla morte di Piero Gobetti, e senza che in tutti questi anni, per ragioni ovvie, si sia potuto valutare, discutere, riagitare il suo pensiero (questo, almeno per un ventennio, dal 1926 al 1945), se oggi ci rimettiamo a contatto con lui, con quanto cioè di lui ci resta nelle sue opere, che cosa ne trarremo di utile e di nuovo ? Quale eco esso suscita nel nostro spirito di suoi compagni e di veterani del suo tempo ? O, meglio ancora, in che modo riteniamo che esso possa presentarsi ai più giovani ? Che cosa può dire a coloro per i quali esso non si accompagna ai ricordi, non si integra con una propria esperienza, ma deve bastare in sè e per sè, a illustrazione e spiegazione di un momento mal noto o addirittura ignoto ? Subito dopo la liberazione (e, si potrebbe dire, g1a nei giorni illusi e ansiosi che seguirono il 25 luglio), nella ricerca di motivi e di ragioni per tanto tempo dovute tacere, per una somiglianza non delle circostanze ma semplicemente del clima non più dittatoriale, il pensiero di Gobetti e l'esperienza di allora ci si sono ripresentati senza aver perso nulla della loro forza e ci· è sembrato anzi che i fatti successi in quegli anni muti e l'ultimo disastro e il modo come il nostro paese ne usciva li avessero convalidati. Poi, segnatamente per la meritoria opera editoriale di Giulio Einaudi, il meglio degli scritti di Piero Gobetti fu ristampato. Ci ha deluso un poco, e forse ci ha sorpreso, che le ristampe (per moltissimi si trattava di testi ·nuovi, ché si erano stampati anche articoli non mai prima estratti dalla collezione di Rivoluzione Liberale e i vo:. lumi delle edizioni gobettiane erano di difficile consultazione) non sollevassero nè consensi nè polemiche. Non per questo bibliotecaginobianco

crediamo però che i libri di Gobetti vadano riposti nello scaffale. Non crediamo nè che l'esperienza di quegli anni, di cui sono una testimonianza così pronta e puntuale, vada dimenticata, nè ,che il suo modo di intenderla e di reagirvi possa venir trascurato. Il riesporre oggi e il tentar di identificare con un'indagine che ci è facilitata dal ricordo del lavoro e della passione co~une il suo pensiero sulla scorta dei suoi scritti non ci ·sembra certamente un di più. Vorremmo così, se non altro, facilitare l'avvicinamento a Gobetti dei più giovani, indicando le linee e le caratteristiche di quel pensiero per invogliarli forse a conoscerlo direttamente. Non tanto, veramente, perchè crediamo i giovani depositari di qualche segreta virtù che non bisogna lasciar disperdere o anchilosare e che va fecondata incitandola a conoscere il pensiero dei maggiori e dei migliori, ma perchè Gobetti fu un giovane, perchè il riprender contatto con lui ci riporta alla nostra gioventù e crediamo che quel suo tono spregiudicato, la libertà e la immediatezza del suo pensiero, la sua facoltà di identifica.re e giudicare persone, situazioni e movimenti di scorcio e come in volata e di concentrare tutta una tesi in un aforisma sia adatta ai giovani, li inciti a vagliare fatti e insegnamenti, a discuterli e a pensare pèr conto loro, li avvicini e li scuota meglio che. non gli sviluppi più estesi di un pensiero e le disquisizioni pii.1esaurienti. Ci sembra di poter offrire ai giovani il pensiero di un loro coetaneo che li vince in agilità ma non in freschezza e che oggi si ritroverebbe in mezzo a loro come· noi lo ricordiamo : fiducioso, attento, scaltrito, leggermente ironico, forte di fronte al futuro di un vigore assoluto, che la debolezza fisica non potrà mai smentire o intaccare. Per inquadrare il pensiero e la persona di Gobetti conviene anzi tutto riassumerne, nei punti essenziali, la vita che è, temporalmente, la vita del primo dopoguerra o del prefa- .scismo, tra gli scioperi della Fiat nel 'r7 e la liquidazione 6 bibliotecagmob1anco

dell'Aventino dal '25 al '26. Piero Gobetti nasce, il 19 giugno 1901, a Torino. I genitori, di origine contadina, si erano trasferiti sul :finire del secolo in quella città, dedicandosi a un piccolo commercio ed aprendo in seguito una drogheria in via XX Settembre. A Torino Piero doveva trascorrere tutta la giovinezza. Già dalle scuole elementari, che frequenterà alla Pacchiotti, e poi nelle medie, al liceo-ginnasio Gioberti, manifesta una straordinaria precocità d'ingegno e un carattere forte, una perso_nalità. che si impone ai suoi coetanei. La guerra lo coglie in età troppo giovane per comportare obblighi militari. Il 1° novembre 1918, uscito dal liceo, fonda Energie Nove con M.A. Levi, G. Manfredini e Ada Prospero che sarà la compagna della sua breve vita. Frequenta, senza ecce~siva assiduità, la facoltà di giurisprudenza dell'università di Torino. Nel 1919, compie alcuni viaggi a Roma e a Firenze, conosce Salvemini e Prezzolini, e a Torino ha i primi contatti con l'ambiente dell'Ordine Nuovo. Si occupa molto di problemi scolastici e collabora a Nuovi Doveri, la rivista di Giuseppe Lombardo Radice. Nel febbraio del 1920 sospende Energie Nove. Il 1920 è un anno di studio e di raccoglimento. Tiene la carica di segretario degli A miei dell'Unità (il periodico salveminiano) di Torino, e crea: un piccolo circolo politico e letterario. Nel 1921 diventa il critico teatrale dell"Ordine Nuovo e collabora a Educazione Nazionale, Resto del Carlino, Popolo Romano, Rivista d'Italia, Volontà, con cronache culturali, recensioni teatrali e letterarie, :filosofiche, artistiche. La sua <<carriera» di c_ritico dell'Ordine Nuovo conosce uno scontro violento con Zacconi e una non meno calorosa corrispondenza di stima e simpatia con Eleonora Duse, e suscita interesse e scalpore per i giudizi spregiudicati e fortemente critici. Nello agosto, Piero Gobetti è ch1amato al servizio di leva che compie senza entusiasmo, ma con la serietà abituale. Il 12 febbraio 1922 esce il primo numero di Rivoluzione Liberale. Egli, oltre al settimanale, prepara gli ultimi esami e la tesi di laurea su Vittorio Al:fieri. I bibliotecaginob1anco 7 '

L'rr gennaio 1923 sposa Ada Prospero. Al ritorno dal viaggio di nozze, subisce la prima perquisizione della polizia e una detenzione di cinque giorni. La cosa si ripeterà, questa volta con un semplice fermo di ventiquattr'ore, il 29 maggio. La sua vita nel 1923 e nel 1924 è tutta assorbita dalla battaglia della Rivoluzione Liberale contro il fascismo. Pochi viaggi in· Sicilia e a Parigi. Nel 1923 pubblica Dal bolscevismo al fascismo e La frusta teatrale e nel 1924 La rivoluzione liberale, Felice Casorati pittore, Matteotti. Nel dicembre del 1924 fonda il Baretti. Nel 1925 la sua casa editrice pubblica opere di Sturzo, Nitti, Tilgher, Salvemini. Nell'estate compie un viaggio nelle Fiandre e in Inghilterra, da cui nascono alcune cronache. Ma le sue condizioni di salute, scosse fatalmente dalle percosse infertegli dagli squadristi, in una spedizione punitiva dell'anno precedente, si aggravano nel novembre-dicembre 1925 per un serio scompenso cardiaco, che l'obbliga a letto per un mese, mentre Rivoluzione Liberale è costretta c1; cessare le pubblicazioni. Nel gennaio del 1926, subito dopo la nascita del figlio Paolo, Gobetti si decide a partire per l'esilio parigino, dove intende impiantare una casa editrice. I_/8 febbraio parte da Torino. Due giorni dopo lo coglie a Parigi un grave attacco di bronchite. Ricoverato il 13 in una clinica, assistito amorevolmente dagli amici Emery, Prezzolini e dalla famiglia Nitti, le sue condizioni peggiorano rapidamente per lo stato del cuore ed alla mezzanotte del 15 febbraio è la fine. Nella cronaca della sua vita vanno ricordati ancora due episodi salienti. Gobetti aveva scritto testualmente il 2 settembre 1924 in una «postilla>> a Come combattere il fascismo di Guido Mazzali:. «Nessuna illusione di liquidare il fascismo coi giochetti parlamentari, con le combinazioni della maggioranza, con lo Stato Maggiore, con la rivolta dei vari Delcroix e simili aborti morali>>. La frase venne sfruttata capziosamente dalla Gazzetta del Popolo del 4 settembre, che gridò allo scandalo, 8 bìbliotecaginob1anco

attribuendo 1; espressione cc aborti morali » alla figura del _Delcroix, cieco di guerra. Da quel momento Gobetti non ebbe più tregua. I giornali e gli organismi filo-fascisti e lo stesso Mussolini si scagliarono contro di lui con inaudita violenza, e seguirono i fatti : Gobetti fu selvaggiamente aggredito sulla soglia di casa da dieci squadristi, che oltre a varie ferite non gravi gli provocarono quella lesione cardiaca che si mostrerà in seguito fatale. Una serie di vertenze cavalleresche provocate dall'incidente viene composta da un giurì d'onore. Accanto alla solidarietà mostrata a Gobetti da Il Caffè, L'Avanti, L'Unità di Roma, Giustizia, va segnalata quella personale di Benedetto Croce espressa in una nobile lettera. Ecco ora l'altro episodio. Il 1° giugno 1924 Mussolini inviò al prefetto di Torino il seguente telegramma: cc Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e oggi in Sicilia. Stop. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente vita difficile questo insulso oppositore del governo et Fascismo ii. Il prefetto Palmieri si affrettò a eseguire la consegna. Il 9 giugno l'abitazione del Gobetti venne perquisita e le copie ·della Rivoluzione Liberale, che doveva comparire il IO giugno, sequestrate con tutta la corrispondenza di carattere politico. La vita gli fu poi resa infatti tanto cc difficile ii che dopo poco più che un anno e mezzo, a soli 24 anni, moriva. * * * Prima di affrontare il nucleo del pensiero gobettiano è forse opportuno avvicinarsi alle opere non minori, ma in un certo senso marginali. Sono opere che restano marginali sopratutto perchè incompiute, lasciate in abbozzo o in una prima e monca stesura dalla morte. Prendiamo il Paradosso dello spirito russo. La terza parte del libro, che ne concludeva il disegno coll'esame della Rivoluzione, è stata pazientemente ricomposta su appunti e note e µia.nca comunque d~ capitolo 9 bibliotecaginobianco

su Lenin. Manca, si può dire, del più importante termine di riferimento che servirebbe a dar rilievo alla tesi gobettiana e il «paradosso» resta in parte inespresso. O è espresso affrettatamente, in singoli punti e rilievi, che poi non riescono a comporsi in una visione ordinata, un po' perchè si tratta in parte (tutta la parte seconda del volume) di brevi saggi e recensioni sulle maggiori opere e figure letterarie ccesemplari» :finchè si vuole dello spirito russo ma non strettamente coordi- .nate; assai più perchè ,purtroppo il tempo dj ripensare .e di fondere i molti barlumi' e scorci di idee gli è mancato. Scelgo un poco a caso un passo che metta in luce il suo intendimento ; e mi fermo su un periodo a pag. 16 : « Il popolo russo che viene considerato da tutti gli intellettuali come il popolo più religioso, non· ha avuto una religione; i poli opposti della sua fede sono : un meccanismo di riti e di formule, socialmente infecondo, e una relig1osità morbosa che nasconde nel misticismo un individualismo torbido e violentato ». È, mi sembra, un'osservazione che potrebbe diventare feconda, ma che rimane senza appoggio. Ma anche se non dà la chiave del volume e del pensiero gobettiano, è un passo «costruito)) gobèttianamente, su cui val la pena di soffermarsi. Gobetti prende di petto quella che crede l'opinione comune, comune non al volgo ma agli intellettuali, e la rovescia, non già ·per accontentarsi di negarla, ma per investigarla e scandagliarla e trarne elementi di verità più viva e aderente, fatta di contrasti molto spiccati, certo alquanto sbrigativi. Ne risulta un'opinione tutta investita di luce, presa di scorcio, dove le propor- :tioni consuete si alterano tutte per raggiungere un maggiore spicco. È difficile che a questo suo lavoro di spostamento e di sbloccamento che viene ripetuto da lui con insistenza (qualcuno lo potrebbe dire anche maniaco) manchi quella penetrante acutezza che rende validi i paradossi e riesce a una nuova visuale, ricca di illuminazioni e di imprevisti. In questo suo modo di fare c'è il gusto della sorpresa e anche dell'offesa al luogo comune, talvolta un gusto tro_ppo bizzarro ; il gusto altresì .di dat:e_appeµa,,uµ jnq.jzio, di_getta.r~..un. s~lll~.she n~ll.?, . . .--- . - I.O bibllotecaginobianco

mente del lettore dovrebbe germogliare in fioriture 1ontane e impensate. Qui, l'individualismo «torbido e violentato» che egli intravede nel misticismo russo si contrappone all'idea comune che si ha di quel popolo abulico e mite; ma non è per questo un'idea bislacca e senza riprove. Nulla ne viene dedotto immediatamente. Lascia che lavori nelle menti, che la vaglieranno e la saggeranno sui casi e sui caratteri noti. Poi, molte pagine piil in là si avrà questa dichiarazione piuttosto sorprendente : cc I/ opera di Lenin e di Trotzèhi. . . in fondo è la negazione del socialismo e un'affermazione e un'esaltazione di liberalismo.». Forse si può scorgere un collegamento segreto tra la prima affermazione e questa ; i poli opposti della fede russa, ii meccanismo di riti e di formule socialmente infecondo e il misticismo individualistico, torbido e violentato, <e spiegano », se vogliamo, la e< riuscita » straordinaria del bolscevismo e, nella concezione di Gobetti, i fermenti di esaltazione liberale che vi riscontra. (Ve li riscontra anche per poter giungere a un'altra di quelle contrapposizioni che fanno da leva al suo pensiero. Seguita infatti : cc La Russia si eleva al livello della civiltà dei popoli occidentali ; e questi non riescono più a comprenderla». Così si snoda la catena dei suoi paradossi senza che si riesca a giungere propriamente mai al centro vero del libro, individuare quale sia il paradosso massimo ed essenziale del popolo russo). Per quanto ora detto, si vede dunque che è più facile adoperare questo libro di Gobetti come «testo» del suo pensiero o del suo processo mentale che delinearne e valutarne la fisionomia. Ricco di spunti com'è, non si riesce agevolmente a unificarli ; e quanto al suo valore di critica del bolscevismo, che appare lo scopo preponderante dell'ultima parte, bisognerà sempre tener presente che quello visto (e in certo senso esaltato) da Gobetti è il bolscevismo della prima ora, quello che includeva, accanto a Lenin, Trotzchi. Un motivo che prevale anche nei capitoli critici sui singoli scrittori e sulle singole opere; è un'istintiva reazione all' «Intellighentsia», una voiontà ili. adegua~ento e. di s.ca""oschiettamente antiintellettualistica, Il'. bibliotecag1nobianco

che forse pecca per una leggerà forma di infatuazione verso lo storicismo. A pag. 2r7, per esempio : « Tra noi quanti si professano liberali attingono criteri di valutazione ed elementi di giudizio dagli scrittori russi dell'Intelligenza (popolisti, socialisti, rivoluzionari), negati a ogni visione della concretezza sociale, sognatori e non pratici, illusi agitç,tori sentimentali, progettisti (mi si conceda il barbaro termine), non politici. La mentalità dell'Intelligenza corrisponde in fatto di astrattezza all'Illuminismo settecentesco. Avviene, seguendo codesti mistici intellettuali, di essere tratti a combattere il bolscevismo perchè esso non è abbastanza socialista». Un altro dei temi cari a Gobetti, che spesso ritorneranno nei suoi scritti, è qui sfiorato: quelli che ccsi professano>> liberali si trovano in realtà in contrasto coi liberali veri, che sono poi (se vogliamo definirli con un termine comprensivo) .i rivoluzionari-realisti ; tra cui evidentemente vanno inclusi gli eroi della nuova Russia. Un'altra ombra di paradosso è allora scoperta nella conclamata condanna del bolscevismo, cioè di una realtà, in nome di un socialismo sognato da mistici intellettuali alieni da qualunque intelligenza della politica. Col secondo dei libri ccpensati>> da Gobetti (gli altri sono raccolte di suoi scritti varii, che ci fanno conoscere il suo pensiero come si snoda secondo le occasioni e perciò aderiscono meglio a una realtà che ancora ci preme) siamo condotti molto più al centro dei suoi interessi. Ma anche Risorgimento senza eroi è soltanto un abbozzo; quel che ne avanza in forma definitiva è appena un'introduzione. La paziente cura degli amici ha saputo, dopo la morte, integrare i capitoli, di cui egli aveva indicato solo il titolo, con scritti di altra data, che evidentemente Gobetti aveva l'intenzione di rielaborare. L'intendimento del volume è preciso, indicato fin dalle prime parole della prefazione: « Il Ri~orgimento italiano è. ricordato l2 bib11mecaginobianco /

nei suoi eroi. In questo libro mi propongo di guardare il Risorgimento contro luce, nelle più oscure aspirazioni, nei più insolubili problemi, nelle più disperate speranze : Risorgimento senza eroi. ii Ma il termine « eroe ii ha un significato ambivalente. Gli eroi riconosciuti comunemente sarebbero i « professioµisti ii a cui egli intende contrapporre •il « Risorgimento degli eretici ll, come dice sempre; nella prefazione : eretici che • hanno un altro tipo di natura eroica. A pag. 25 : « Le plebi continuano a vivere intorno ai conventi e agli istituti di beneficenza, tutti cattolici ; e restano cattoliche per istinto, per educazione e per interesse. L'iniziativa spetta alla nuova classe borghese che attua con Cavour la politica antifeudale del liberalismo economico, per potersi dedicare ai traffici, alle industrie e ai risparmi, e formare la prima ricchezza e il primo capitale circolante in Italia. Come potrebbe questa classe proclamare una politica anticìericale fuorchè nella questione dello Stato Pontificio? Essa si troverebbe assolutamente isolata mentre la sua vittoria è subordinata a]a possibilità cli trascinare con le astuzie diplomatiche le altre classi, volenti o no, stilla sua via ii. Entra in conto l'antieroismo delle plebi e la serietà della classe borghese che segue Cavour ; una serietà che per Gobetti non dìsta molto, sj direbbe, dal «grado. eroico ii richiesto dalla Chiesa per la proclamazione dei beati. E d'altra parte, quasi per incidente, viene « smontato ii l'anticlericalismo risorgimentale, compagno inseparabile, nelle << sagre di ottimismo ii e nelle celebrazioni patriottiche, dei ricordi delle gesta eroiche. • La mancanza di eroismo (di partecipazione) delle masse configura quella nostra storia; quindi le bravate o le sparate anticlericali sono vane. « Così sin dal Settecento si delinea l'equivoco della nostra rivoluzione nazionale. Il liberalismo non può identifìcarsj con la democrazia per la mancata preparazione religiosa. Invece di allearsi alle masse si fa complice delle Monarchie. L'iniziativa liberale spetta ai Governi, i soli che abbiano attitudini a mobilitare le forze necessarie per il trionfo delle idee pensate in 13 bibiiotecaginob1aneo

solitudine dalle nuove aristocrazie laiche ii (a pag. 6I). I,a storicità del nostro liberalismo è quindi in un certo senso antieroica: non si tratta ancora, in quel tempo, della possibilità di una (< rivoluzione liberale i>. Ma in altro senso, proprio della necessità della solitudine egli attinge un altro aspetto dell'eroismo, quello dei « fanatici della verità ll, dei reietti, degli incompresi, ricordati ed esaltati nella prefazione. L'equivoco sta al centro stesso della concezione di « eroismo i> intorno alla quale il pensiero di Gobetti oscilla alquanto. Certe virtù, certe tenacie, certe chiaroveggenze acquistaD.o pregio per Gobetti proprio dal fatto che non si propagano, che non trovano eco. Dirà (pag. rz6) : « Questa assenza del pensiero di Sfato, come Stato-popolare, è poi la deficienza di tutto il nostro Risorgimento fallito ll, ma il senso di questo fallimento, acuto secondo lui nei pih presaghi, e a por rimedio al quale lavorano le « astuzie diplomatiche ll, accresce il valore dei loro sforzi, diventa una specie di contrassegno aristocratico. Da qui il suo amore, la sua predilezione per il natìo Piemonte : « I valori del Piemonte di Carlo Felice erano la burocrazia e la diplomazia; gli ideali, la vita aulica e cavalleresca. La monarchia piemontese era stata audace e avara, gretta e avventurosa. Ma nel vecchio regime il culto della virtù s'era conservato. È innegabile che questi motivi serbino un fascino sugli animi dei Piemontesi contemporanei ii. E ancora (da Opera critica - Parte prima, pag. rrz) : « Solo il Piemonte recava al nuovo stato oltrechè una dinastia (invero prossima alla decadenza); una classe politica autentica, non del tutto pari forse ai compiti di un grande Stato europeo, ma conscia dei suoi limiti, aderente alla realtà, competente nei problemi dell'amministrazione dello Stato, dotata per natura dell'istinto della probità civile. Era la classe politica che aveva superato se stessa in Cavour; ma anche i Valerio, i D'Azeglio, i Boncompagni, i Berti, i Solaro della Margherita, come più tardi i Sella, sapevano che cosa fosse il problema del Governo, erano informati di letteratura politica ed economica e seguivano la vita dei paesi esteri >i. b1bllotecagnobianco

Come corollario, l'esaltazione di Cavour (Risorgimento senza eroi, pag. 27) : « La storia civile della penisola pare talvolta il soliloquio di Cavour, che da una materia ancora informe in dieci anni di diplomazia cerca di trarre gli elementi della vita economica moderna e i quadri dello Stato laico. In realtà specialmente quando è solo, Cavour ubbidisce a una segreta voce della storia e ad un oscuro destino della razza, che sembra annunciarsi durante tutto il Settecento in misteriosi profeti disarmati, sorpresi dalle tenebre, appena indovinanti la luce,,. (Si potrebbe vedervi una rappresentazione quasi mistica dell'eroismo cavouriano). E, in contrapposto ad altri « eroi ll, la condiscendenza a Giolitti (non sempre però tenuta su questo tono) : « Dopo Nitti il livello della cultura dei nostri uomini di Stato, fatta eccezione per Giolitti, che si potrebbe dire la sublimazione più rara e quasi unica dell'ordinaria amministrazione, sembra rappresentato dalla retorica costituzionalistica di V.E. Orlando e di De Nicola,, (da Opera critica - parte prima, pag. rrg). * * * Da questa lettura si possono forse trarre alcune conclusiòni, Nel Risorgimento si riscontrano due facce dell'eroismo: e una è quella conclamata, riconosciuta, « ufficiale ll, gli ortodossi dell'eroismo, i ricompensati, i decorati, gli autori delle «gesta,,. Gli altri sono eroi per antifrasi, i silenziosi, gli eretici, i solitari, i disillusi, tutti attivi in uno sforzo senza apparente sbocco che egli si mette a celebrare, coloro che :finiscono a gustare un curio,so e amaro eroismo di operatori a vuoto, di personaggi fuori del tempo eppure meglio dei « tempisti ii consci di certe profonde verità che saranno cc aperte ii e palesi soltanto alle età future. Ancora più curiosamente, Cavour :finisce a entrare nella loro schiera (gli altri sono antesignàni piemontesi. di varia grandezza, come Alfi.eri, come Ornato, come, .-.in.parte,. Santorr.e di Santarosa, .che Gobetti conduce bibliotecaginob1anco

con uno sforzo critico a una misura simile). Ma questi pochi sono eroi quasi a dispetto, per contrasto con l' antieroismo, con la non-partecipazione delle masse. La polemica di Gobetti non si rivolge mai all'eroismo come fatto di moltitudini, allo eroismo rivoluzionario ; il suo storicismo, tenuto sempre in primo piano, quasi ostentato, ne fa sì un anti-illuminista, non mai un antigiacobino. Nell'illuminismo del settecento, come nell'Intellighentsia russa, vede una posizione astratta, una visione illegittima e semplicistica delle cose e degli uomini, una dedizione puramente velleitaria e vanificata, una mancanza di rispetto, direi, verso la realtà. Questi intellettuali sono per lui colpevoli di trucchi, come i giocatori di bussolotti. Nulla di questo invece si verificherebbe in una passione e in un moto popolare. I pochi, qualunque sia la loro azione, non sono veramente mai gli eroi. Sono piuttosto gli avventurieri o gl'illusi dell'eroismo. Ma un popolo che esprime,da sè qualche cosa, una passione, un valore vitale, è, lui sì, eroico ; ed eroi sono allora quelli che lo guidano, che intendono e suscitano quel valore. Gli eroi non sono figure esemplari, ma vive. Se uno gli domandasse : dove· sono gli eroi ? dovrebbe rispondere, forse a dispetto delle teorie, che gli eroi sono quelli della sua giornata, coloro che si sono finalmente svegliati e che una stessa passione, una stessa visione accomuna. Dentro il suo pessimismo, nutrito del medesimo suo sdegno verso la faciloneria soddisfatta, le approssimazioni acritiche, i conformismi, si è radicato un ottimismo che è la sua risposta di giovane e di uomo vivo alle mortificate convinzioni dello studioso. È: difficile che un giovane non senta il proprio tempo come un valore, o per lo meno che non trovi, nel proprio tempo, il punto di innesto per una carica, esplosiva quanto si vuole, ma non per questo meno efficace; l'istigazione a una prova che crederà valida e conclusiva. La sua propria esperienza ha per forza un nucleo positivo, in mezzo magari a una mareggiante negatività ; tutto il fervore di cui è capace si condensa allora nel· dar risalto a quel nucleo. Da ciò promana l'istanza rivoluzionaria. Solo con la rivoluzione s.i (< liberano » certe forze 16 bibliotecaginobianco

che l'ordine normale minaccia di tener spente o soverchiate ; e per converso, l'ordine normale si rivela essere in realtà un disordine proprio perchè impedisce a quelle forze, le sole vitali, di rivelarsi e di espandersi. Se ci si pone dal punto di vista delle forze rivoluzionarie, il tempo non è più mortificato, ma la lunga preparazione, la vigilia, e gli errori della vigilia, acquistano senso ; l'istanza rivoluzionaria è quasi la riprova del pensiero . storicistico che riconosce comunque la ragionevolezza del corso degli eventi e non ammette li si condanni in blocco, li si consideri senza portata, senza peso e senza eco (gli eventi dei popoli felici che non hanno storia .... ; ma per Gobetti sarebbero felici di una passiva felicità di eunuchi o di dormienti). Se vogljamo addentrarci meglio nel pensiero gobettiano, si dirà elle esso si ribella a uno storicismo puramente «olimpico » (come è stato accusato d'essere lo storicismo di Croce), di tempi e di menti soddisfatte; e pone, accanto e a sprone di una considerazione storicistica, un anelito quasi romantico al megiio e al diverso. L'aggettivo «liberale>> nel linguaggio gobettiano vuol ·dire propriamente cc liberato >>o «liberantesi », non è mai una posizione di fatto ma una aspirazione, una spinta. Sta a significare l'esigenza che qualcosa, qualcuno ccsi liberi >> di continuo, che il processo si rinnuovi sempre, che scaturiscano in perpetuo forze nuove, e tale è il moto eroico che egli intende abbia la storia, la storia che gli è cara e di cui è diretta,.. mente parte. In questo quadro, la rivoluzione è possibile anzi l'unica possibile espressione liberale (liberatrice) ; lo statico mondo cosidetto liberale dei benpensanti è un mondo pervaso • dal sonno e dall'inerzia. * * * La simpatia con la quale aveva visto lo scoppio della Rivoluzione russa era una simpatia «letteraria )), potremmo dire; la simpatia di un giovanissimo che non conosce le condi- .~ionidi fatto di quel :popolo e di quel movimento. ~ ne co~ bibliotecagmobianco

nosce i testi, quella specie di macerata e lenta e forse, per la sua parte, caotica preparazione negli animi che ha trovato il suo sbocco, per lunghi decenni, nelle agitate proteste degli intellettuali, e si è fatta sangue delle grandi creazioni artistiche. Le testimonianze dell'arte narrativa russa nori potevano essere fallaci. Gobetti poteva sorridere e opporsi alle infatua:.. zioni dell'« Intellighentsia i> (come alle abbreviate e succinte soluzioni proposte dall'illuminismo) ; la rappresentazione arti::. stica invece aveva per lui un valore tipico di prova, era insita in essa l'impossibilità della menzogna, o finanche del travedere. Comunque mancava per lui, rispetto ai russi, la « presa diretta ))' c'era una presa diretta soltanto coi loro grandi scrittori e solo attraver?o la loro opera l'intuizione, la ricostruzione della realtà. Certo, sulla letteratura russa dell'ottocento egli aveva compiuto una gran parte della sua educazione e come per istinto (un istinto condiviso con i più dei giovani della sua generazione che avessero vocazione intellettuale) l'aveva preferita alle altre contemporanee ; la prefigurazione, in essa, di un mondo che si andava scavando e già viveva fuori dai ,più ovvii schemi « civili >>e che se ne sarebbe definitivamente staccato ve lo aveva avvinto. Del resto, educazione letteraria ed educazione diretta, sui fatti che accompagnano e formano la vita, si distinguono solo col riflettervi ; ed i fatti che di giorno in giorno grandeggiavano sotto i suoi occhi gli si :figuravano probabilmente proprio in funzione delle sue predilezioni e dei suoi amori di appassionato lettore. Come anche questi si venivano in realtà «sensibilizzando ii secondo i « casi>i pii.1vistosi del suo tempo e deJla sua città, secondo come egli andava provando ed esercitando, a contatto dei suoi simili, la sua _attenzione. Lo abbiamo visto parlando e citando del « suo ii•Piemonte: il suo interesse era potentemente radicato nella· sua città, e da quella si volgeva al passato. A Torino si svolgeva veramente qualche cosa di<<moderno ii, forse perchè il Piemonte (e Torino) avevano una storia «seria ii che non consentiva si eludèssero certe istanze precise" si vivesse fuori del propri0 tempo. Non JB bibliotbva!::f111ob1anco

c'era per lui, in questo caso, richiamo letterario vero e proprio fuori dell'Alfieri ; ma anche l' Alfi.eri sembra va tuffato in una passione di modernità, nella protesta contro le tristi 'condizioni prevalenti, ma caduche, del suo paese, tutto volto, con speranza e con disperazione virile, al futuro. Era proprio il futuro (senza tiranni) dell'Alfieri, il futuro già tutto calcolato e previsto dalla mente realistica di Cavour quello che stava diventando ai suoi occhi un palpabile e controllabile presente in un tempo che solo forse a Torino, in tutt'Italia, aveva allora raggiunto le sue giuste dimensioni. Nel suo tempo, nella sua città, malgrado le invettive, le impazienze, gli odii e i pur chimerici amori del suo ingegno ventenne, c'era qualcosa di cui non poteva essere scontento. Col principio del secolo a Torino era nata la Fiat ; quella fabbrica era stata il centro pHt formativo della sua viva edu-;, .cazione. C'era dunque a Torino un'industria moderna, un'industria aristocratica accentrata (sono parole sue), nelle mani di pochi uomini geniali, che la guerra aveva ingigantito, e l'accentramento industriale era venuto creando l'accentramento operaio. Questa « costruzione ))moderna era stata possibile appunto per la serietà degli uomini che vi si erano accinti, ed era stata a sua volta, per tutti, un centro di esperienza educatrice. L'impaziente e infantile e vendicatrice retorica degli italiani che non volevano (da tanti secoli) essere educati, sboccata nel fascismo, qui trovava un muro. Poteva scrivere, nella Rivoluzione Liberale del r8 settembre '25 (sequestrata), (ora in Coscienza liberale e classe operaia, pag. 208) : « Esiste in Italia, nel Nord, specialmente nel triangolo Genova-TorinoMilano, un proletariato moderno. Negli anni à.el bolscevismo questo proletariato non pensava alle scomposte rivolte, pensava di creare un ordine nuovo. Oggi rifiuta i vantaggi materiali e la vita tranquilla che gli offrono le corporazioni fasciste, non cede, non si sottrae alle sue responsabilità e ai suoi pericoli. Bisogna vedere da vicino, come io vedo qui, alla Fiat, la tenacia di questo proletariato. Bisogna rendergli onore .. Con la ..sua ,intransigenza esso, ha conquistato . i. suoi bibliotecag1nobianco

diritti civili, è degno degli altri proletariati europei, le sue battaglie e i suoi sacrifici gli segnano il suo posto di dignità nella Europa lavoratrice di domani». Sono parole che, molto più che le sue sottili disquisizioni sulla storia, su fatti lontani, lo impegnano veramente. Possono parere un'infatuazione? Non lo credo. Si .pensi che fu proprio la Fiat il centro che « si mosse » con gli scioperi nella primavera del '43 e a quanta parte essa ebbe nella resistenza. Si pensi alle schiere degli operai esuli, dal '26 in poi, in Francia. Bisognerebbe, e non sarebbe difficile, raccoglierne i dati statistici. In Francia, si calcolava che nella regione parigina fossero più decine di migliaia ; forse 50.000. Erano fatti che avevano accompagnato tutta la sua gioventù. Uno sviluppo straordinario e coraggioso, che la guerra aveva acuito e accelerato. Poteva sembrar strabiliante e fuori d'ogni regola, ma non mancavano a Gobetti i riscontri teorici; la teoria veniva così trovando nella realtà· il suo stampo che la valorizzava e insieme la riduceva all'esattezza, ne sforbiciava le parti esorbitanti e fallaci. La teoria poteva aver previsto la realtà che peraltro restava intatta col suo valore insostituibile; solo colla prova dei fatti il giuoco d'azzardo del pensiero si tramutava in coscienza. « S'affermavano qua e là - scrive in La· rivoluzione liberale, pag. rrz - vigorose minoranze operaie che, conquistata la propria coscienza di I classe, ne deducevano con logica infallibile posizioni pratiche f di lotta. L'ideale di una classe operaia aristocratica, conscia della sua forza, capace di rimuovere se stessa e la vita politica, ' quale era balenata alla visione storica di Marx, intuizione che rimane per noi al disopra delle macchinose costruzioni economiche la parte viva del marxismo, trovava una risonanza concreta per cui inserirsi fecondamente nello sviluppo della economia italiana,,. E osserviamo un'importante distinzione: Marx per Gobetti possiede la facoltà di una « visione storica» mentre gl'illuministi e gl'intelligenti russi (o addirittura tutti coloro che egli potrebbe identificare col termine di cc intellettuali», assunto allora e~ lui in senso alquanto dispregiativo) bibliotecaginobianco

sono degli illusi e dei fatui, o quasi strumenti ciechi di uno svolgimento storico che di troppo li supera e li travolge. Nessuno di loro sta « a cavallo» degli eventi. Marx, invece, in ciò almeno che a Gobetti pare pii.t essenziale o più fecondo del suo pensiero, sì. Dopo Marx, più di ogni altro, un commentatore e pensatore contemporaneo, che è stato un diretto e presente compagno ed educatore di Gobetti in quella stagione torinese : Gramsci. Il Gramsci che Gobetti potè conoscere è anteriore a colui che, nel carcere fascista, sulla povertà e la frammentarietà dei testi che gli capitavano tra mano, si sforzava e riusciva a dare un'interpretazione della società italiana che integra in certo modo i varii, non tutti coerenti, spunti gobettiani, e talvolta li sorregge e li contraddice. Un breve capitolo (pag. n4-n7) di La rivoluzione liberale gli è dedicato. yobetti vede in lui prima di tutto l'eversore di un fiacco costume del socialismo nostrano di quel tempo. « Nel 1914 il socialismo torinese aveva la stessa impreparazione e superficialità provinciale che vedemmo caratteristiéa di tutto il movimento italiano. Invece di una politica di ideali, capace di esercitare un'influenza educatrice, invece di organizzare le idee almeno intorno all'astratta e pur sempre generosa bandiera dell'internazionalismo, professarono i piit, prendendolo a prestito dai giolittiani, un gretto neutralismo, arido, privo. di motivi spirituali, utilitarista, a mala pena giustificabile in una mentalità di governo, ma affatto ripugnante a un partito di popolo ». « La preparazione e la :fisionomia spirituale di Antonio Gramsci apparivano profondamente diverse da • queste tradizioni ». « Pare venuto dalla campagna per dimenticare le sue tradizioni, per sostituire l'eredità malata dell'anacronismo sardo con uno sforzo chiuso e inesorabile verso la modernità del cittadino » dirà poco dopo. Qui, nelle poche pagine del ritratto, è la nota di maggiore e più valido consenso. Il resto svaga e ci rende un'immagine che oggi pare sofisticamente letteraria. Come .può accadere, troppo Gobetti vedeva nel suo maestro un riflessodi sè. "La figura.di Lenin gli appariva - a Gramsci .- bibliotecaginobianco

come una volontà eroica di liberazione : i motivi ideali che costituivano il mito bolscevico, nascostamente fervidi nella psicologia popolare, dovevano agire non come il modello di una rivoluzione italiana ma come l'incitamento a una libera iniziativa operante dal basso >ì. :a un Gramsci visto in parte sotto lo stimolo delle teorie di Gaetano Mosca (un altro degli <<autori>)di Gobetti), suscitatore e scopritore di «aristocrazie» che posseggano come la privativa della storia. Mentre nel Gramsci che ora conosciamo la necessità dell'unione rivoluzionaria degli umili e degli arditi, delle plebi contadine del sud con gli operai" del nord ricorre continuamente, è quasi il cardine del pensiero (r) . Si può dire del resto che sempre Gobetti muove alla ricerca dell'uomo sotto l'apparenza (o il mascheramento) delle teorie; talvolta puntando su aspetti o episodi accidentali, traendone una :fisionomia dalle linee piuttosto effimere. Si accosta alle idee paradossalmente, ma con piena coscienza, con una limpida volontà di intenderle e di adeguarle ai caratteri umani. I-1eidee non valgono in sè, non vanno ripensate e maturate (Gobetti è troppo impaziente, gli urge giungere a una sia pur momentanea conclusione), ma come «miti», moventi della attività umana. Abbiamo già visto in qual conto tiene le «costruzioni .economiche» marxiste. C'è un testo anche più probante (Coscienza liberale e classe operaia, pag. 85) : « Ma, forse, il suo torto (di Einaudi) sta nell'aver secondato i pregiudizi di falsificatori seguaci e n(;!ll'aver guardato a Marx come a un - (r) Possiamo aggiungere qui un altro giudizio di Gobetti « avant la lettre » (La Rivoluzione liberale, pag. u8) : « Togliatti, trovatosi anche lui come Terracini in una posizione di responsabilità, fu vittima della suç1.inquietudine che pare cinismo inesorabile e tirannico ed è indecisione, che fu giudicata equivoco e forse è soltanto un ipercriticismo invano combattuto e che tuttavia deve lasciare sospeso il nostro giudizio obbiettivo». Non per offrire ai lettori uno spunto polemico e nemmeno-come « canone interpretativo». Per curiosità più .che. altro, - b1bliotecaginob1anco

economista, mentre egli è :filosofo, storico, profeta, agitatore politico, ma non può essere economista, perchè l'economia si fa sul terreno della realtà e del passato, è l'arte dei governi ; ed è ignorata inizialmente dai grandi movimenti che sorgono in nome di un imperioso dover essere. Il semplicismo di Mai:x economista favorisce la grandezza di Marx costruttore di miti. E, anche volendo condannare il mito, si deve capire e ammirare la concretezza operosa in cui egli fissò la via della realizzazione, facendone un problema di volontà e di forza». (< ••• non è esso pure (il marxismo), come il liberalismo inglese, una fede. formale, un'interpretazione del mondo, un metodo che si oppone validamente ai vari comunismi utopistici appunto in quanto ne nega le formule moralistiche ? Anche il movimento operaio è un mirabile esempio di liberismo, anch'esso nasce senza una teoria JJ. In questa interpretazione volontaristica delle forze storiche, in questo intrudersi, si potrebbe dire, della psicologia che viene a scompigliare il mondo delle idee, i suoi schemi, la loro coerenza, è veramente il modo del suo pensiero. Le sue predileziòni sono disparate e fervide e gli è sempre facile costruire tra esse un passaggio, un ponte. Che è poi il suo modo di reagire alle formulazioni statiche, quelle che non hanno sviluppo e non fa~no storia. Perciò ha bisogno di ritrovare le idee negli animi, negli ·impulsi umani, o di ridurvele, e i suoi appunti, i suoi incitamenti, le sue correzioni si rivolgono non alle teorie, ma al costume, e le idee sono spesso denigrate come cc ideologie >J non per disprezzo o incapacità di pensare (così faceva Napoleone), ma perchè vi scopre qualcosa di morto o di astruso. Si veda quel che dice in La rivoluzione liberale (pag. 26) : • « Qualunque sia per essere il giudizio delle esperienze inglesi (nelle quali non cercheremmo in nessun caso dei modelli immutabili), soltanto da una preparazione di costumi e di forme non provinciali potrà scaturire un movimento liberatorio che viva di responsabilità economica e ,di iniziative popolari, rinunciando alle sterili ideologie di disciplina, . ordine, gerarchia, Il· prol;>lema italiano non è di I a~tprit~, gia_ di auto11ornj~: 1' asse,µa di llll.a. vita, libera. fu \ bibliotecagmobianco

f attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe_dirigente, per il formarsi di un'attività econo- •mica moderna e di una classe tecnica progredita (lavoro qualificato, intraprenditori, risparmiatori) : che dovevano essere I le condizioni e le premesse di una lotta politica coraggiosa ». In questo passo troviamo molti elementi specificamente cc gobettiani », il culto dell'autonomia e della responsabilità, la invocazione di una vera «classe dirigente», la necessità della lotta politica, pii.1che tutto la necessità di cercare il «vero » di una società italiana che vive per lui di vita posticcia, di :finzioni e di retorica (la gente non conosce nemmeno la realtà dei propri interessi) sotto una scorza indurita che nessuno si dà la cura di penetrare. * * * Quanto siamo venuti dicendo, specie in queste ultime pagine, potrebbe indurre il lettore in una supposizione delle più fallaci, o addirittura ingiuriosa. Si è riscontrato in Gobetti una certa propensione al «volontarismo>> e un'avversione alle ideologie. Il discredito anzi che hanno presso di lui i sistemi, le teorie, le idee e il suo rifarsi a elementi istintivi, a un antirazionalismo secondo lui inevitabile all'uomo, su cui si trama la storia. Alcuni potrebbero credere che, almeno all'inizio, non dovesse èonsiderare avverse le basi del fascismo, anch'esso nato (e interpretato) come tendenza irrazionale, come una rivalsa psicologica sul mortificante e irrealistico predominio dei sistemi, delle idee. Sarebbe però un abbaglio ,'totale. Tra l'irrazionalismo fascista e il pensiero gobettiano · c'è tutto il «corpo» delle idee, che Gobetti giudica e supera 1 perchè le ha conosciute e vagliate, mentre i fascis~i non le conoscono nemmeno per approssimazione, tagliati fuori come sono dall'esperienza moderna; c'è, appunto, la passione e la esperienza del mondo moderno che per Gobetti è un presup- . posto imprescindibile,, e e'~ w.ia profonda scelta morale che ~4 bibliotecagrnobianco

mi pare abbia la base proprio nella coscienza storica, la quale impedisce che si prospèttino soluzioni violente dei problemi, che si sfugga al dovere di assumere le proprie responsabilità di fronte al proprio tempo. Le peggio scorie dell'impreparazione, dell'educazione retorica, dell'arcaismo si riversano nel fascismo ; solo spiriti infantili vi possono trovare la loro soddisfazione. È proprio in sede psicologica che l'avversione di Gobetti al fascismo si pronuncia più decisa; e sappiamo d'altronde che le sue convinzioni si riducono volentieri a rilievi di psicologia. Il fascismo è il paradiso di coloro che sono per lui i non-eroi. Cogliamo una prima citazione (da La Rivoluzione liberale, pag. 171) : « Il fascismo si risolverà in un pacifismo imbelle e astensionista per la sua incapacità di educare gli italiani alla { responsabilità, per la sua indulgenza al sogno idillico di un regime paterno. Comunque suoni la retorica dei discorsi, un governo che esalti la milizia nazionale non può creare uno spirito militare». È un giudizio intimamente profetico ari.che ,se il regime ha confusamente avvertito il pericolo e vi ha voluto parare accumulando alla fine più o meno finte ma purtroppo anche reali imprese di guerra. Le citazioni potrebbero abbondare, e tutte calzanti, sia per coglier sul yivo il pensiero e la reazione gobettiana, sia per giudicarne, a cose fatte, l'acume. << Il presupposto di questo libro è che l'Italia riesca a trovare in sè la forza per superare la sua crisi e riprendere quella volontà di vita europea che parve annunciarsi, almeno in certi episodi, col Risorgimento. Quindi accade che le nostre obiezioni al fascismo siano tutte pregiudiziali e scorgano l'errore dove gli apologisti indicano i meriti, nella capacità che ebbe il movimento, in un'ora di sospensione e di incertezze, di porre termine alla tensione degli Italiani e di comprometterli in una banale palingenesi di patriarcalismo quando la solennità della crisi imponeva ai cittadini l'impera- { tivo categorico della coerenza, della libera lotta politica, dell'autogoverno» (da La rivoluzione liberale, pag. 183). Ancora, e come impostazione fondamentale (è un passo dello . bibliotecaginobianco

Elogio della ghigliottina, comparso su Rivoluzione liberale del 23 novembre 1922) : « Il fascismo vuol guarfre gli italiani • dalla lotta politica, giungere a un punto in cui, fatto l'appello nominale, tutti i· cittadini abbiano dichiarato di credere nella patria, come se col professare delle convinzioni si esaurisse . tutta la praxis sociale. Insegnare a costoro la superiorità dell'anarchia sulle dottrine democratiche sarebbe 'un troppo lungo discorso, e poi, per certi elogi, nessun miglior panegirista della pratica. I/ attualismo, il garibaldinismo, il fascismo sono espedienti attraverso cui l'inguaribile fiducia ottimistica della infanzia ama contemplare il inondo semplificato secondo le proprie misure. La nostra polemica contro gli italiani non muove da nessuna adesione a supposte maturità straniere ; nè da fiducia in atteggiamenti protestanti o liberisti. Il nostro antifascismo prima che un'ideologia, è un istinto 1i,: E sempre nellò stesso articolo che è, si noti, di qualche giorno antec,:edente alla marcia su Roma: « Il fascismo in Italia è un'indicazione di infanzia perchè sogna il trionfo della facilità, della fiducia, dell'entusiasmo ii. (< Confessiamo di aver sperato che la lotta tra fascisti e social-comunisti dovesse c,ontinuare senza posa: e pensammo nel settembre del 1920 e pubblicammo nel febbraio del 1922 La rivoluzione liberale con fiducia verso. la lotta politica che attraverso tante corruzioni, corrotta essa stessa, tuttavia sorgeva >i. Fascismo dunque come sfogo degli antieroici, come sfogo infantile. Nello stesso articolo, con tanta amarezza, ancora una speranza (dura a morire) sulla virtìt educativa del tempo, sia pure del tempo fascista: << Privi di interessi reali, distinti, necessari gli italiani chiedono una disciplina e uno Stato forte. Ma è difficile pensare Cesare senza Pompeo, Roma forte senza guerra civile. Si può credere all'utilità dei tutori e giustificare Giolitti e Nitti, m1 i padroni servono soltanto ·per farci ripensare a La Congiura dei Pazzi, ossia ci riportano a costumi politici sorpassati. Nè Mussolini nè Vittorio Emanuele di Savoia hanno virtìt di padroni, ma gli italiani hanno bene animo di schiavi ii. « Non possiamo illuderci di aver salvato la lotta politica: ne abbiamo custodito ,b1blìotecagìnob1anco

il simbolo e bisogna sperare (ahii:nè, con quanto scetticismo!) che i tiranni siano tirànni, che la reazione sia la reazione, che d sia chi avrà il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni sino in fondo ». Che i tiranni facciano i tiranni, che si mantengano le posizioni «sino in fondo » : queste sono le condizioni di uno stato forte, o piuttosto così avviene, se è forte la compagine sociale. Ma a un capo di governo dalle corte vedute e con l'ansia del potere (anche se si chiami duce) I una forte compagine sociale, che postula forti passioni e l'iniziativa del rischio, «non conviene». Dirà Gobetti a pag. 196 di La • n:voluzione liberale : «Restano notevoli le attitudini di Mussolini a conservare il potere tra un popolo entusiasta e desideroso di svaghi, che egli conosce benissimo e eui appresta quotidiane sorprese (dal telegramma a Spalla all'esaltazione del raid Baracca, ai discorsi domenicali). Messa da parte ogni preoccupazione di politica estera egli si è dedicato inesorabilmente a un'abile tattica reazionaria di liquidazione di tutti i partiti e di tutti gli organismi politici e, aiutato dalla crisi economica, sembra voler ridurre alla sua ragione tutti gli avversari. Anche in questo esperimento il trasformismo giolittiano è stato ripreso con più decisi espedienti teatrali e le doti del politico si riducono tutte ad astuzie di manovra e a calcoli tattici, indici di un'arte affatto umanistica e militare. Il mussolinismo è dunque un risultato assai più grave del fascismo stesso perchè ha confermato nel popolo l'abito cortigiano, •lo 1· scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deits ex machina la propria salvezza». I/attacco al mussolinismo di preferenza al fascismo caratterizzava allora la sua azione, quando molti benpensanti, magari anche in regola con le loro convinzioni genericamente liberali, gemevano anzitutto contro l'illegalismo squadrista ed erano propensi a prestar fede ad una funzione perfino provvidenziale della indigatrice saggezza mussoliniana. Ma nel fenomeno Mussolini, nel fenomeno del «capo» si accentrava veramente, per Gobetti, tutta la capacità svirilizzatrice, reazionaria, infantile, di cui era ;icca (per modo di dire) la sobib-iotecagnobianco

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