anzittutto la maniera di concepire la « società umana» e quindi quelle sue funzioni che sono la « libertà» e la «giustizia») i quali hanno tanto giovato alla chiaroveggenza spregiudicata di Proudhon quando egli preannunciava l'inevitabile fallimento della democrazia nel 1848 (perchè invece di liberare le spontanee energie della società, le volle aggiogare alla autorità dello Stato che uccide, falsifica, livella, riduce a vacue forme la realtà dei rapporti fra esseri umani) o quando denunciò i pericoli di quella « politica delle nazionalità» (identificazione di Stato sovrano e azione libera; feticismo del Dio e popolo), che direttamente ci ha condotti alla strage del 1914. « li comunismo è l'idea economica dello Stato spinta fino all'assorbimento della persona umana e d'ogni sua iniziativa ... è l'esaltazione dello Stato, la glorificazione della polizia» (Contradictions économiques, Il, 258); perciò i comunisti « ripongono tutte le speranze loro nella dittatura; dittatura che invade la vita privata, la vita sociale, ogni manifestazione di vita». Per « vita sociale» s'intende quella fondata su una « comunanza spontanea delle coscienze », una forma di associazione e di cooperazione fra uguali in cui « dignità individuale e dignità collettiva, coscienza personale e comunanza delle coscienze, libertà individuale e libertà del gruppo sociale, insomma l'intera esistenza dell'individuo e quella della comunità non possono venire separate l'una dall'altra giacchè a vicenda si ingegneranno nell'attività propriamente m9rale » (Jeanne Duprat, Proudhon sociologue e moraliste, 1929 P. 78 ss). All'infuori di tale società « l'uomo non è che materia sfruttabile, strumento ... spesso un mobile ingombrante ed inutile». Bauer e Kautsky ci diranno, beninteso, che ai loro occhi l'economia di Stato non significa (di solito aggiungono: non significa ancora) il socialismo. Senonchè danno un'importanza talmente preponderante alla organizzazione tecnica, all'accentramento delle industrie sotto una direzione con poteri veramente «governativi»; non negano mai (o quasi mai) il valore positivo delle «nazionalizzazioni», le quali, volere o no, sono rafforzamento della potenza statale, che non è ingiusto rilevare una loro tendenza ad identificare l'interesse de!la collettività sociale con quello d'un ente impersonale, sovrastante alla collettività quale è lo Stato. Per essi le sorti del socialismo sono connesse alla « macchina dei decreti_» (s'intende il più democratico dei parlamenti) all'azione di « autorità costituite» (consacrate, si capisce, dal più universale suffragio) insomma ad un sistema di più o meno consentita subordinazione di tutti ad un supremo organo di « Salute pubblica». Naturalmente tutto si farà secondo 67 BibliotecaGino Bianco
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