Andrea Caffi - Socialismo libertario

Andrea Caffi Socialismo libertario a cura di Gino Bianco Edizioni !~ Azione Comune• Milano Biblioteca Gino Bianco

« Guai allorchè le masse giungono a credere nell'infallibilità di un uomo. Guai allorchè le masse si avvezzano alla fede e non alla ragione. E' questo il segreto sul quale fino ad ora si è basata la tirannide, che ha trovato la facile strada nel conseguimento dei suoi disegni: dappoichè il pensare è fatica dalla quale rifuggono le moltitudini corrive sempre al credere». CARLO PISACANE Disincagliarsi dalle secche in cui la prima e la seconda Internazionale sono approdate, supe·rando i punti morti di «democrazia» e di «autoritarismo». Il nuovo socialismo deve dichiararsi schiettamente libertario (senza punto impaurirsi della baldanza anarchica di quella qualifica!). E' l'eredita gravosa del lungo periodo di lotta legale, lo « statalismo » che ha spezzato le reni così alla seconda come alla terza Internazionale, che è da scrollarsi di dosso. E' tutta la critica marxista dello stato e della burocrazia, che è da riprendere e portare a nuovi sviluppi. RODOLFO MORANO! « Le sopraffazioni e gli arbitrii avvengono per colpa di chi li commette, ma anche per colpa di chi li subisce e li lascia passare senza resistere. Chi non resiste e non si ribella all'arbitrio e alla reazione, fa il male proprio e l'altrui, è indegno della libertà e prepara la tirannide». CAMILLO PRAMPOLINI BibliotecaGino Bianco

Perchè i giovani ~appiano e gli anzian,i ricordino saggi di Andrea Caffi, raccolti in questa pubblicazione, appartengono a periodi diversi e portano le seguenti date : "Riflessioni sul socialismo,, è stato scritto nell'agosto 1949 ed è stato parzialmente pubblicato dalla rivista Critica Sociale. "Borghesia e ordine borghese,, è stato scritto nel 1952 e pubblicato dalla rivista Tempo Presente. "Elementi di giudizio sull'Unione Sovietica,, è l'estratto di un saggio apparso sui Quaderni di Giustizia e Libertà nel marzo 1932. "La crisi dei popoli europei,, è una nota inviata a Dwigth Mc Donald e pubblicata dalla rivista Politica nel novembre del 1945. Le ultime due paginette del volume raccolgono frammenti sparsi del pensiero libertario di Andrea Caffi. BibliotecaGino Bianco

A cura dei gruppi d'Azione Carlo Pisacane Edizioni Azione Comune - Responsabile Giulio Seniga Milano - Via Farini, 40 J Le pubblicazioni delle Edizioni Azione Comune si trovano in vendita nelle principali librerie e presso le edicole di tutte le stazioni ferroviarie d'Italia. Biblioteca Gino Bianco

Andrea Caffi Socialismo libertario a cura di Gino Bianco Edizioni !~ Azione Comune - Milano Biblioteca Gino Bianco

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Indice Introduzione di G. Bianco Andrea Caffi: Profilo di N. Chiaromonte Riflessioni sul Socialismo Borghesia e ordine borghese Elemènti di giudizio sull'Unione Sovietica La crisi dei popoli europei Scapigliatura Libertaria Biblioteca Gino Bianco pag. 7 15 21 43 57 79 85 5

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Biblioteca Gino Bianco 1 Introduzione di Gino Bianco

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Nel miscuglio delle ideologie anticapitalistiche che da quaranr-anni almeno accompagnano la vita culturale e politica del mo,:,do contemporaneo, il socialismo libertario di Andrea Caffi - come il lettore potrà constatare dalla scelta di questi scritti - esprime una esigenza di rigenerazione totale che investe da « cima a fondo » la società umana tutta quanta e conduce ad una riscoperta dell'originario significato del socialismo ·come moto tendente a perseguire la completa emancipazione della società umana attraverso un'azione politica e culturale di popolo per il popolo. Ora, il punto di partenza di una « politica del popolo » .dovrebbe consistere nel fare avanzare concretamente « la vecchia lotta per la giustizia sociale»; ma per far ciò i socialisti dovrebbero cominciare ad ammettere che « la situazione stratetegica » appare molto diversamente orientata e molto più complicata rispetto al passato: « L'esecrato capitale, che allora si incolpava di tutte le sciagure, è appena identificabile oggi fra i giganteschi congegni di pressione politica, sociale e psicologica éhe stritolano gli uomini e li gettano nell'informe magma della « massa ». I centri del potere economico politico dai quali dipende la produzione e la distribuzione di beni su scala mondiale, dispongono oggi di tali mezzi ed apparati di informazione, di repressione e di distruzione ed in pari tempo hanno acquistato una potenza così decisiva e « razionalizzata » da fare sembrare poco cosa il minuzioso ordinamento del vecchio dispotismo napoleonico. La preminenza di questi «apparati» economici, politici, politico-militari, ecc., è un attributo necessario del « regime delle masse » che se pure in forme diverse rappresenta il tratto saliente tanto dei paesi occidentali a capitalismo privato, quanto di quelli a capitalismo di stato del cosiddetto campo socialista. D'altra parte - osservava Gatti - la democrazia politica eu9 Biblioteca Gino Bianco

ropea con i principii del/'89 non aveva potuto trionfare, ed in modo molto imperfetto e precario, che dopo lotte violente e sanguinose, e dopo sforzi accaniti di parecchie generazioni in tutti i campi della «cultura», dell'organizzazione economica, dell'emancipazione dalle chiese ecc. Ed anche la rivoluzione sovietica (sebbene arenata in un « ricorso » di tirannide) ha richiesto un secolo di « lavorio sotterraneo ». E' semplicemente assurda l'idea che il socialismo in quanto rigenerazione totale della società umana sia opera che possa farsi quasi per miracolo o in seguito ad un astuto sfruttamento di una « combinazione elettorale». Per la verità, poi, quel lento e faticoso processo di democratizzazione della società europea fu arrestato con la. prima guerra mondiale che sconvolse tutto il mondo di v.alori sulla base dei quali fino a quel momento gli uomini della nostra civiltà avevano regolato le proprie scelte ed i _proprii orientamenti; è da allora, si può dire, che la società europea è precipitata in una crisi dalla quale ancora non è uscita. Ed anzi, tutti gli eventi dal 1914 in poi hanno perpetuato ed aggravato q_,uellacrisi oltre ogni misura umana. L'emergenza. del « tota(itarismo » e di sempre più accentuate Jendenzf1 autoritarie n~lla società contemporanea, non senza che a ciò vi. contribuisse il mito dell'efficienza alimentato dalJ'i1!7petuososviluppo tecnologico; il carattere sempre più « astratto »_ che per il popolo veniva ad assumer~ !a vicenda politica, COl)seguenza de/l'accresciuta comf?l~ssità ~ei meccanismi sociali, l'enorme ed informe «crescita» delle funzioni dello Stato moderno hanno messo capo ad un apparato di governo sempre più indipendente da ogni controllo popolare, ad un enorme dispotismo burocratico, in breve, ad una sitùazione in· cui ~ la società si disgrega, mentre lo Stato trioni a sulle rovine di ogni umana comunità ». • Ora,· il socialismo legato alla seconda ed alla terza Internazionale -· insisteva Caffi - anzichè resistere ed opporsi a questa devastazione, ne accele~ò il processo di decomposizione, poichè la funesta sorte del m~vimento socialista fu di vedersi costretto dagli avvenimenti ad assumere quasi d'improvviso nello Stato e· nella « vita nazionale » una parte che implicava la rinuncia alle sue essenziali funzioni « sociali » ed a-,la pratica applicazione dei suoi ·principii egualitari e libertari. Ne conseguì una compromissione totale con uomini ed istituzioni che nella difesa dell'ordine, della « patria in pericolo» o della « legalità » inglobavano la conservazione di tutti i congegni di oppr~ssione e di ineguaglianza sociale. Quanto a/l'esperienza cui 10 Biblioteca Gino Bianco

è approdata la rivoluzione sovietica ed il comunismo della terza Internazionale, sarà agevole riconoscere che si tratta della via opposta a quella che conduce alla democrazia e al socialismo, perchè « nessun raggiro dialettico può nella realtà dei fatti condurre alla libertà · attraverso il dispotismo totalitario ed alla comunità ·sociale fondata sull'eguaglianza attraverso complicate gerarchie tecnocratiche ». · Nella ricerca delle origini dei mali presenti del movimento . operaio, Caffi indicava non solo nella pratica bolscevica (di Lenin prima e in quella terroristica e poliziesca dello stalinismo poi), ma anche nel « mito burocratico» nato dall'esperienza della seconda Internazionale e della socialdemocrazia tedesca, modello ideale di ogni « moderno » partito politico, le cause della involuzione che ha colpito tutto il movimento operaio e socialista. Quel/' ivoluzione che è stata alimentata soprattutto dalla « riserva mentale dei marxisti che pretendono assimilare tutte le altre tendenze di- rivolta proletaria o di aspirazione alla giustizia sociale come forme « inferiori-» o imperfette del solo « socialismo valido fondato sulla scienza » e soprattutto da un' ipocrisia che portata al/'estreme e odiose conseguenze del leninismo-stalinismo ha ridotto le varie « sezioni » nazionali del comunismo mondiale - per dirla con Gramsci - « tecnicamente» a organi di polizia dove il « nome di partito politico è una pura metafora di carattere mitologico ». Ed oggi che dopo tanto conclamato contributo creativo allo sviluppo del marxismo-leninismo, la dottrina della burocrazia comunista ha messo capo ad un guazzabuglio ideologico senza capo nè coda, a un miscuglio di leninismo, di bersteinismo, di id-ealisme, di rozzo pragmatismo e di « dottrina del benessere», l'autoritarismo (e il centralismo burocratico) che ancora sopravvi11e nella pratica del 'azione -comunista, privato di una « ortodossia » e addirittura di ogni orpello ideologico, si rivela come un fatto brutale, di pura forza. Sotto questo riguardo senza alcuna base di legittimità, senza-alcun « principio di autorità», il potere di quei gruppi dirigenti non esprime e non rappresenta più niente, non ha altra ragione che quella di sopravvivere: la loro è cioè un'avventura nel significato più preciso del termine. Per il socialismo italiano, rinnovato ed unificato in un solo grande movimento e P?Jrlito, si tratterebbe - per dirla con Rodolfo Morandt - di disincagliarsi dalle secche in cui la seconda e terza · lnternazional~ sono approdate, superando i punti morti di « democrazia » e di « autoritarismo »: « Il nuovo Biblioteca Gino Bianco 11

socialismo deve dichiararsi schiettamente libertario (senza punto impaurirsi della baldanza anarchica di quella qualifica!). E' l'eredità gravosa del lungo periodo di lotta legale, lo "statalismo" che ha spezzato le reni così alla seconda come alla terza Internazionale, che è da scrollarsi di dosso. E' tutta la critica marxista dello stato e della burocrazia, che è da riprendere e portare a nuovi sviluppi». Ma per far ciò occorre affine prendere coscienza del fatto che la società ·è infinitamente più ricca e più vasta dello Stato (altro che maestà dello Stato e altre scempiaggini del genere/) che di quella è un prodotto storico, quindi transeunte e che molte forme di associazione libera e di attività spontanea (partiti, sindacati, cooperative, comuni, Enti autonomi, ecc.) devono poter esplicarsi fuori dello Stato e anche di fronte allo Stato, nel senso di una limitazione o correzione dei poteri coercitivi di cui lo Stato dispone e di un « riassorbimento » di molte funzioni da parte della società. Pretendere - ammoniva Caffi - di conciliare la massima efficienza dell'apparecchio statale moderno e quindi l'accentramento dei colossali mezzi di azione nelle mani di un governo, con la massima libertà degli individui e dei gruppi è una illusione democratico-borghese o una truffa di propagandisti tog/iattiani e di fi/osofastri di uno « stato etico » cioè fascista. « Non per nulla la dottrina socialista fa coincidere l'avvento di una società « in cui il libero sviluppo di ciascun individuo sarà condizione del libero sviluppo di tutti» con la morte dello Stato di classe, ossia con la sua trasformazione da strumento di dominazione politica in organo tecnico-pedagogico della società. Questa « morte » concepita sin qui meccanicamente ed irrazionalmente, come posteriore alla socializzazione dei mezzi produttivi ed all'abolizione delle classi e come sbocco di una fase di dittatura (cioè del suo perfetto contrario!) deve oggi - dopo la tragica esperienza russa - concepirsi come un processo di trasformazione simultanea ad esse ed operantesi gradualmente in un'atmosfera piena e continua di democrazia e di libertà ». Compito di un grande movimento socialista, al governo o al/'opposizio_ne, sarebbe di promuovere la formazione di una nuova classe dirigente di estrazione popolare, formata di operai, contadini, di lavoratori, lavoratori « del braccio e della mente », attraverso una sempre più ricca esperienza di governo locale, di responsabilità a tutti i livelli nel sindacato, nel partito, nelle cooperative, nelle amministrazioni comunali, nei consigli operai, nelle Regioni, nel Parlamento, in tutte le istituzioni - 12 Biblioteca Gino Bianco

. , ovunque sia possibile - della società e dello Stato, per realizzare davvero la conquista democratica del potere nella società. Dovrebbe poi, questo movimento socialista, come sua massima cura fomentare, anzichè strumentalizzare o pretendere di asservire, la creazione di élites, cioè di una nuova intellighentia che di f,onte al 'attuale marasma intellettuale e culturale in cui persino l'ordine dei problemi è stato stravolto, sappia almeno essa ragionare e pensare « diritto ». Quanto ali' intransigenza e al giuocare « a chi è più a sinistra» (spesso - come diceva Lenin - anche « a sinistra del buonsenso ») occorrerebbe smetterla con gli atteggiamenti demagogici e da armeggioni, rivoluzionari a parole ed opportunisti nei fatti; smetterla « col rito invalso di salutare con pomposa riverenza il "programma massimo", affermare solenne-· mente che siamo sempre, indefettibilmente "classisti, marxisti, rivoluzionari, ecc. », e poi ordinare tutto lo sforzo disciplinato delle masse ed il loro spirito di sacrificio per « salvare la patria», o soltanto procurare al compagno x un seggio (per altro ben retribuito) di deputato o senatore », come vanno magistralmente facendo ormai da 30 anni i comunisti togliattiani. Nè d'altra parte ci si può sbrigativamente sbarazzare - come usano fare e addirittura « teorizzare » tanti socialdemocratici - del problema della coerenza ai principii del rifiuto a certi penosi compromessi, con la comoda giustificazione del « non si poteva fare altrimenti », delle « superiori necessità » ecc., bollando come « massimalista » ogni resistente alla « linea ». Certo, non esiste una scienza esatta della politica e quindi neppure di una politica socialista; ogni pretesa di fondare scientificamente le scelte politiche si riduce ad una giustificazione più o meno rozza dei fatti compiuti, o come accade ai comunisti in un grossolano, quando non si tratti di risibile, « storicismo ». Il problema è essenzialmente morale: e in questo senso una classe dirigente socialista che sia veramente tale per prestigio morale, politico e culturale potrebbe ben individuare volta a volta, in una prospettiva di breve o lungo termine, alcuni problemi cruciali, o come si dice, di fondo, alcuni nodi della vita nazionale che assolutamente ed . urgentemente devono essere affrontati, e conseguentemente battersi con ogni energia (dal ritiro della propria rappresentanza al governo, a/l'ostruzionismo parlamentare, all'azione di massa, agli scioperi, ed anche al ricorso all'azione diretta) per una loro soluzione, a tutti i costi. Ma per una siffatta « strategia » occorrerebbe una classe dirigente socialista animata da uno spirito schiettamente auto13 Biblioteca Gino Bianco

nomista e positivamente rivoluzionario; e bisogna ammettere, con molta franchezza, che essa non esiste ancora. Lavorare e lottare perchè essa si costituisca al più presto, sarebbe assai più importante per il socialismo italiano, di strepitose vittorie elettorali. Sarebbe comunque per dei socialisti, la so/a condizione per riprendere l'antica lotta dell'emancipazione proletaria, della giustizia sociale, per condurre avanti con efficacia la politica « del popolo, per il popolo». GINO BIANCO 14 Biblioteca Gino Bianco

Biblioteca Gino Bianco 2 Andrea Caffi : p~ofilo di Nicola Chiaromonte

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· Andrea Caffi era nato a_Pietroburgo il 1° maggio 1887, da genitori italiani: il padre era impiegato ai Teatri imperiali. A quattordici anni, studente al Liceo internazionale, Caffl era già socialista. A sedici, fu tra gli organizzatori del primo sindacato dei tipografi di Pietroburgo e prese parte alla rivoluzione del 1905, nelle file dei menscevichi. Arrestato e condannato a tre anni di carcere, fu liberato nel 1906 per intervento dell'ambasciatore italiano. Andò allora in Germania per compiervi gli studi universitari. A Berlino ebbe maestri, fra gli altri, Wi/amowitzMoellendorl e, particolarmente amato, Georg Simmel. In quegli anni, mentre militava attivamente nel socialismo europeo, viaggiò per tutta Europa. Soggiornò a lungo a Firenze, dove frequentò il gruppo della Voce. Terminati gli studi universitari, si stabi/1 a Parigi. Erano gli anni delle famose lezioni di Henri Bergson al Collège de France, dei Cahiers de la Quinzaine di Charles Peguy, l'epoca d'oro dell'avanguardia artistica e letteraria. A questi anni risale l'amicizia di Caffi con Giuseppe Ungaretti. Con un gruppo di amici francesi, russi e tedeschi che s'era dato nome La jeune Europe, Caffi concepl il progetto di una nuova « enciclopedia » che avrebbe dovuto costituire una « messa a fuoco » della rivoluzione culturale ·sulla quale si era terminato il secolo XIX. Il progetto fu stroncato dalla guerra: dispersi fra i paesi belligeranti, gli amici non dovevano più ritrovarsi. Andrea Caffi si arruolò volontario nell'esercito francese. Ferito, nel 1915 fu mobilitato in Italia, ufficiale di complemento del granatieri. Ferito di nuovo, dopo la guarigione fu addetto presso il comando della Terza Armata. Di /1, nel 1916, passò con G. A. Borgese a Zurigo, nell'ufficio speciale da questi creato per la propaganda fra le nazionalità oppresse del 'Impero absburgico. Subito dopo la guerra, insieme a Umberto Zanotti-Bianco, pub17 Biblioteca Gino Bianco

blicò una rivista, La giovane Europa, con lo scopo di studiare i problemi di una « pace gius~a ». Si sa che cosa avvenne a Versailles di questo ideale. Nel 1920 Caffi tornò in Russia come inviato speciale del « Corriere della Sera». Giunto a Odessa, l'idea di attraversare come spettatore la Russia affamata e devastata gli parve intollerabile: invece di continu;re il suo servizio giornalistico, si aggregò alla missione internazionale di soccorso organizzata da Nansen, e nell'esilio, sconfitti e perseguitati i compagni menscevichi e continuò così il viaggio verso il Nord. A Mosca ritrovò al potere i capi bolscevichi che aveva conosciuto nella cospirazione e nell'esilio, sconfitti e perseguitati i compagni menscevichi e socialisti-rivoluzionari. Accusato di aver dissuaso i socialisti italiani venuti a Mosca con G. M. Serrati dall'aderire alla Terza Internazionale, conobbe l'orrore di una prigione dove ogni notte le celle si aprivano per I~appello dei condannati a morte. Fu liberato grazie all'intervento di Angelica Balabanoff. Quando giunse in Russia la prima missione diplomatica italiana, Caffi vi assunse le funzioni di segretario, e le tenne fino al suo ritorno in Italia, nel 1923. .A Roma, fu per alcuni mesi a Palazzo Chigi, incaricato della redazione di un notiziario per le ambasciate. Lontano com'era stato dall'Italia non sapeva quasi nulla del fascismo. Non tardò a rendersene conto, e un giorno uscì dall'ufficio per non più ritornarvi: a guisa di commiato, aveva scritto un resoconto burlesco del ricevimento dato a Palazzo Venezia ai neonobi/i del regime in cui Mussolini era insignito del titolo di « Duca det Manganello». Legato d'amicizia con Zanotti-Bianco, Sa/vernini, Amendola, Vincenzo Torraca, Francesco Fancello, Emilio Lussu, Umberto Morra e molti altri intellettuali antifascisti, fu con loro prima e dopo il delitto Matteotti. Divenne amico anche di Alberto Moravia, allora giovanissimo e sconosciuto. Fu collaboratore di Volontà di Roberto Marvasi e del Quarto Stato di Pietro Nenni e Carlo Rosse/li. Nel 1926, in pericolo di essere arrestato per propaganda sovversiva fra gli operai, partì per la Francia. Lì fu per tre anni precettore dei figli di Margherita Gaetani_ e, al tempo stesso, segretario di redazione della rivista Commerce, che la principessa in quegli anni pubblicava. Quando Carlo Rosse/li, evaso da Lipari, arrivò a Parigi, Caffi si mise subito in rapporto con lui. Fu collaboratore assiduo dei Quaderni e del settimanale di • Giustizia e Libertà ». Della sua partecipazione al gruppo di 18 Biblioteca Gino Bianco

Rosse/li si trova notizia nella Storia dei fuorusciti di Aldo Garosci. Di Gatti ha scritto anche con calore di simpatia Vera Modigliani nelle sue memorie d'esilio. Dopo la guerra, Andrea Gatti aveva deliberatamente rinunciato ad ogni idea, nonchè di carriera, perfino di affermazione personale. Questo voto di oscurità e di povertà non aveva nulla di ascetico: esprimeva semplicemente la libertà della sua natura, insofferente di ogni sia pur minimo accomodamento alle « ragioni del mcJndo », e la volontà di rimanere fedele al « non serviam » pronunciato in gioventù. A Parigi, dopo il 1929, visse di traduzioni e di lavori da «negro», in una povertà che troppo spesso era miseriar riscattata solo dalla nobiltà de_i suoi modi. La sua ricchezza stava nella capacità che egli aveva di donare senza risparmio se stesso nell'amicizia. Il dono era, del resto, la so/a forma di commercio umano che Gatti, per parte sua, riconoscesse. Ciò valse, a lui solitario, di esser sempre attorniato da amici tanto più fedeli e fervidi quanto più erano giovani. Quello che egli prodigava agli amici non era soltanto una cultura prodigiosamente vasta e viva, ma l'esempio di vita di un uomo libero, e di quel che costasse esser tale in un mondo 1,ervo dell'utile e della potenza. Tra i fuorusciti italiani, Gatti ebbe rapporti di amicizia e di collaborazione, oltre che con Rosse/li, con Sa/vernini, Tasca, Sforza, Saragat, Faravelli, Modigliani, Trentin, senza dimenticare il vecchio sindacalista di Parma, Giovanni Faraboli, che egli conobbe a Toulouse nel 1940 e che aiutò a tenere in piedi una impresa di aiuti e solidarietà fra gli operai italiani emigrati. Ma la cerchia delle sue amicizie e attività era singolarmente vasta: partecipò, fra l'altro, all'opera di vari gruppi di emigrati russi, fra i quali aveva amici particolarmente cari. E contribuì, anche, al lavoro di gruppi d'intellettuali e politici francesi sia al momento del Fronte popolare che più tardi, a Toulouse, durante la resistenza. Fra i suoi amici francesi vi fu Paul Langevin, il grande fisico. Dal luglio 1940 al febbraio 1948, Gatti visse a Toulouse, partecipando alla vita degli emigrati italiani e spagnoli e alle attività della resistenza, per cui nel 1944 fu imprigionato. Tornato a Parigi, lavorò come lettore per l'editore Gallimard. In quegli anni strinse amicizia con Albert Camus e altri più giovani scrittori francesi, fra i quali Dyonis Mascolo. Amico particolarmente devoto gli fu lo scrittore brasiliano E. P. Sales Gomez. La sua vita rimase la stessa: povera e prodiga, mentre la sua 19 Biblioteca Gino Bianco

salute declinava. Colpito da un male che probabilmente covava in lui da molti anni, morì il 22 luglio 1955, all'ospedale della Salpetriére. Le sue ceneri sono al cimitero del Pére Lachaise. Scritti di Andrea Gatti sono sparsi in riviste e giornali italiani, francesi, russi, americani. Nelle biblioteche italiane si trova un volume, Santi e asceti bizantini nell'Italia Meridionale, dove il saggio principale è di lui, con aggiunto uno studio di Paolo Orsi sulle chiese bizantine de/l'Italia meridionale. Nell'Enciclopedia italiana alcuni articoli di storia bizantina sono suoi: pochi, perché lasciò quel lavoro appena seppe che il padre Tacchi Venturi esercitava le funzioni di censore ecclesiastico sull'impresa. Ma è nelle lunghe lettere agli amici, nelle note innumerevoli che usava scrivere a commento dei loro scritti, o per chiarir loro il pensiero espresso in conversazione, che si trova forse quel che di più significativo rimane della personalità di Andrea Caff.i. ._ NICOLA CHIAROMONTE 20 Biblioteca Gino Bianco

Biblioteca Gino Bianco 3 Riflessioni sul Socialismo

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Se il socialismo oggigiorno non può essere altra cosa che un « apparato» d'azione politica (con stinte o tarlate coperture ideologiche) impegnato - assieme ad altri partiti - nel mesto compito di mantenere più l'apparenza che la sostanza di regimi « democratici » in una Europa sconquassata e imbarbarita - non vale proprio la pena di essere socialista piuttosto che radicale o liberale o magari democratico-cristiano; se invece intendiamo per socialismo la continuazione - con discesa nel popolo - delle grandiose ed audacissime speranze concepite nel Settecento, di attuare una completa emancipazione d~lla ragione umana, sui principii della quale è unicamente possibile fondare la pace, la fraternità, la felicità per tutti - allora dobbiamo cominciare col riconoscere che tutti gli eventi dall'agosto 1914 in poi hanno calpestato, soffocato, deviato questo movimento - e che... bisogna ricominciare da capo. Spietato, prima di tutto, deve essere l'esame di coscienza giacché inavvedutezze e colpose facilonerie da parte nostra hanno contribuito certamente al così catastrofico generale collasso. Per giustificare la mia frase: « ricominciare da capo» non è forse inutile fare qualche considerazione sulla storia del socialismo: a mio parere quella che speriamo iniziare sarà la quarta « ripresa» (o la quinta fase del movimento socialista: 1) La prima fase è sorta quasi assieme alla Rivoluzione francese, si esplicò nelle classiche « utopie» di Owen, Saint Simon ecc., nonché di molti operai inglesi (culminanti nel « cartismo ») e francesi (giornate di Lyon ecc.). Non solo il massacro del giugno 1848 a Parigi, ma la disfatta completa della rivoluzione europea - sembrò segnare la fine di ogni speranza, lo sbandamento delle schiere, il « rinsavimento» dei « sognatori » (tipico il voto di molti operai per Napoleone lii con il passaggio dei saint-simonisti al culto della « efficacia capitalista» e anche Biblioteca Gino Bianco

statale). 2' Speranze, entusiasmi, combattività rinacquero nel1'Internazionale (ed anche, contemporaneamente - nel tradeunionismo e nel movimento promosso da Lassalle). Ma di nuovo, ed assai presto, l'esito tragico della Comune di Parigi (come di quella spagnola di Cartagena e forse anche dell'.c andata al popolo » dei bakuninisti russi) - riecheggiarono come campane a morte; provocarono diserzioni, ravvedimenti, scoraggianti pessimismi. Ma per poco. 3) Verso il 1884-85 la te spinta in avanti » è di nuovo manifesta: tenaci progressi della socialdemocrazia germanica, grandi scioperi a Londra, • Martiri di Chicago», nascita di - partiti operai» in molti paesi. Sarà la Seconda Internazionale • marxista» nei suoi più grossi contingenti, ma sarebbe ingiusto dimenticare sia il sindacalismo inglese, sia quello francese; l'attività cospicua di non pochi gruppi libertari ed il - fiancheggiamento » di correnti « intellettuali » (Ruskin, William Morris, i • fabiani », Tolstoi, Frederick van Eden ecc.). A mio parere, la decadenza della Seconda Internazionale comincia con la disfatta della Rivoluzione russa (1905-1907) ed il generale restringimento ad una specie di - realpolitik,. elettoralistica, parlamentare (e quindi forzatamente nazionale). Così gli eventi del 1914 non incontrarono nessun dinamismo di resistenza socialista. 4) L'epoca successiva è dominata indiscutibilmente dal « m~to russo». Più tipico che l'adesione totale o te con riserve » al bolscevismo di tanti militanti che non erano tra i peggiori dell'« avanguardia operaia» - mi pare l'atteggiamento (« complesso » di inferiorità o di colpevolezza) degli avversari del bolscevismo fra il 1919 ed il 1939. - Hanno usato di fraseologie a cui credevano cc a fior di labbro», sono ricorsi a meschinissimi ripieghi e sofismi per camuffare compromessi d'ogni sorta, pigrizia nelle idee, sordidi vantaggi di « arrivismi » personali - (beninteso v'erano anche vestali candide attorno ad un fuoco spento). Il distacco dal « mito russo » delle coscienze ancora deste (per es. dei veterani del sindacalismo francese che in gran numero avevano « creduto » alla rivoluzione nel 1919) cominciò fin dal 1924-25, agevolato dal dissidio fra Trotzky e Stalin. I processi di Mosca, l'effettiva liquidazione dell'autentico « bolscevismo ,. avrebbe dovuto avere effetti decisivi. Ma, da un lato, Il minaccioso addensarsi della reazione - sotto forma fascista o • cripto fascista», la necessità dei • fronti popolari• in Franèia, Spagna ecc. - ritardavano, rendevano inopportuna la rottura; dall'altro lato - e questo mi pare il fatto determinante - 24 Biblioteca Gino Bianco

non esisteva una alternativa al proletariato: al proletariato deluso da Mosca non s'offrivano che partiti screditati o « gruppi dissidenti» troppo insignificanti (e spesso settari). CosJ la guerra ha trovato le formazioni comuniste praticamente « senza rivali ,. e nella tremenda, devastatrice • semplificazione » di tutti I problemi (ridotti quasi all'unico di « sopravvivere ») - è bastata la vittoria dell'armata rossa a Stalingrado per ridare sembianze di vita all'insepolto spettro - (quasi parodia del famoso spettro del « Manifesto »). 5) Ora, dopo quattro anni di continue rivelazioni sulla innegabile infamia delle « democrazie popolari», del totalitarismo xenofobo di Mosca ecc., solo la mole immensa della stupidità umana aiuta l'« apparato» (certo ben congegnato) del Kominform a mantenere « occhi che non vedono, orecchie che non odono». E tuttavia è assai probabile che l'atroce farsa di un • movimento rivoluzionario » per instaurare la schiavitù integrale - sia alle penultime battute. Se è cosl lento il processo, la colpa ne va attribuita (oltre che ad uno stato generale di «stanchezza» e demoralizzazione collettiva) alla mancanza d'una vera rinascita del socialismo: benché molte buone volontà si agitino in proposito, non si vede ancora una reale ripresa di • eroici furori ». E' che questa volta il compito è infinitamente più scabroso che non fosse nel 1880 o nel 1885: allora gli ostacoli da affrontare erano forze schiettamente, ap_ertamente nemiche della classe operaia. Oggi si tratta di « superare » o liquidare non già un trionfo della reazione (dell'oppressione economica e politica), ma una doppia mostruosa falsificazione dello stesso socialismo: giacché non meno del totalitarismo comunista, sono stati deleteri gli effetti del nazionalismo socialdemocratico nato dalle « unioni sacre» del 1914 ed oggi impersonate nei Ramadier, M~ch, Bevin, Saragat ed anche Schumacher (difensore anzitutto di un quarto Reich). Fra le fasi successive che ho cercato di definire nei « 150 anni di socialismo » non vi fu soluzione di continuità. Nella I Lnternazionale, Marx, Proudhon, Blanqui portavano esperienze anteriori al 1848; nella Seconda, Liebknecht e Bebel, Jules Guisde e Andrea Costa ecc., potevano dirsi formati nella Prima; a cominciare da Stalin, Cachin, Kolarov, ecc., lo stato maggiore del bolscevismo conta un buon numero di veterani dell'Internazionale socialista. Per la rinascita in cui speriamo oggi, si vorrebbe fare affidamento su forze giovanissime, spontaneamente creative. Ma (a parte certi dubbi sul livello d'educazione generale della nuovissima generazione cresciuta nell'abominazione e desola25 Biblioteca Gino Bianco

zione aell'ultimo decennio), sarebbe strano ignorare il contributo delle « classi anziane» che naturalmente - se il movimento riprende vita davvero - dovranno rassegnarsi a che l'eredità da loro custodita non venga accolta se non con « beneficio d'inventario ». Nessuno, credo, vorrà un semplice « ritorno» alle « buone tradizioni» di prima de~ 1914; il passato rivive solo in trasfigurazioni... che lo rendono irriconoscibile. Più che sui superstiti dell'epoca veramente preistorica in cui Lenin, Vandervelde e Prampolini si consideravano vicendevolmente «compagni», bisognerebbe poter contare su quelli - e sono numerosissimi - che sono passati per l'inferno stalinista e magari per il purgatorio trotzkista (usciti beninteso anche da quest'ultimo). Perché l'avere conosciuto dal «didentro» il serraglio bolscevico - mi sembra una garanzia (direi quasi una vaccinazione) più di tutte effettiva contro certe illusioni e certe ambiguità. Senza spingersi ad esagerazioni di analogie (che applicate a momenti della storia sono sempre fallaci) - si può dire che oggi - come alla vigilia del « Manifesto Comunista», come prima della costituzione della Seconda Internazionale - vi è in Europa un numero impressionante di sparuti cenacoli e di « isolati », nei quali nonostante tutto vive la convinzione che « qualcosa bisogna fare» per combattere l'assurdità dell'attuale « condizione umana», per muovere le menti e le « volontà di vivere» verso la redenzione (che si desidera totale, anche se la si sa irraggiungibile). Vi è pure questo fatto a mio avviso abbastanza inquietante: che fra tutti coloro che si assumono il compito di governare le genti o di erudire la pubblica opinione non se ne trova uno che non voglia essere « anche lui socialista fino ad un certo punto » o « in un certo senso ». Dal Papa al magnate di Wall Street, dal graziato gerarca dell'OVRA all'emerito agente del MVB (o NKVD o Ghepeù che dir si voglia) tutti caldeggiano una « organizzazione della società», collettivistiche coercizioni in nome della « maggior giustizia» ... e della minor libertà possibile. Il fenomeno non è assolutamente nuovo: una parte del « Manifesto » di Marx ed Engels è destinata all'esame delle già allora numerose correnti socialiste, fra le quali certune qualificate come « reazionarie»; non ricordo più se sia stato Gladstone o un membro del suo gabinetto che verso il 1832 asseriva: « siamo tutti più o meno socialisti». _Ma non regge il paragone quando si misurino le proporzioni gigantesche, mostruose che oggi presenta questa orgia di « ideologie anticapitalistiche », al pari di tante altre manifestazioni della nostra presunta « civiltà» piane26 Biblioteca Gino Bianco

taria e massiccia. Come le dimensioni degli Imperi, la micidialità delle guerre, la funzione ed i mezzi d'azione dello Stato, i parassitismi d'ogni grado, la brutalità dei metodi repressivi, ecc. ecc., così pure l'enunciazione e la diffusione di « parole d'ordine » e programmi demagogici hanno straripato da ogni « misura umana». Donde lo «scoraggiamento» a priori d'ogni iniziativa di sincerità e di buon senso. Se il nostro compito di far rivivere il socialismo era già severamente ipotecato dalla pregiudiziale d'una critica a fondo (e s'intende « critica in atto») degli errori colposi tanto del comunismo che della socialdemocrazia, difficoltà ancora più gravi incontreremo nelle specifiche condizioni dell'ambiente di « massa » in cui dovremo operare. Non è più questione di « inerzia» delle masse che la propaganda, l'agitazione, il risveglio di «coscienze» e «solidarietà» poteva proporsi di vincere. Abbiamo ora le masse, la mentalità gregaria, l'affogamento nella volgarità (chiamata « civiltà di masse») in piena ed irruenta effervescenza. Il disprezzo per tutto ciò che non è immediatamente «efficace», adorazione della forza, del successo e quindi del « capo» (o duce), il gusto d'essere comandati e « messi al passo», l'oblio d'ogni dignità e d'ogni rispetto per l'altrui persona sono i caratteri più ovvii dell'« animo» coltivato ed esasperato in queste masse che gli eventi mondiali dal 1914 ad oggi, assieme all'accelerato progresso di tutte le tecniche, hanno messo in subbuglio e spinto « sul proscenio della storia». Naturalmente la ragione prima di tutto il male è l'assenza di una base sia di popolo, sia di convinzioni chiare. Ed oserei dire che la prima manca perché genialità, audacia della ragion critica, sincerità di coscienza hanno fatto difetto per attuare la seconda. Il socialismo in quanto: 1) capacità di concepire l'ambiente sociale alla luce d'una «critica» rigorosamente razionale esplicata dalla « facoltà di giudizio» dell'individuo; 2) solidarietà profonda fra individui che « si sono compresi » non superficialmente fra loro e si sono sentiti legati da un modo press'a poco identico di intendere (ma anche di sentire, giudicare) la realfà circostante - non può assolutamente adattarsi a una « organizzazione di masse ». La massa è una forma di collegamento fra gli individui, in cui tutto il fondo di « essenza» caratteristica o di « esistenza» originale che costituisce « la persona» {unica, irriducibile a misurazioni quantitative o norme meccaniche) viene eliminato, e gli uomini ridotti a semplici « unità» sostituibili di un certo numero efficiente. 27 I Biblioteca Gino Bianco

Al tipo di reciproci rapporti fra esseri umani che si esprime nella « massa ,. si oppongono i modi più complessi d'unione, che (seguendo le indicazioni di Gurvich a mio parere assai convincenti) si definiscono come « comunità » o, - ad un grado di ancor maggior intensità, come « comunione ,. fra persone pienamente coscienti e del loro « io » e della loro integrazione in un « noi » (noi altri). Ora, la propaganda (la educazione, la conversione) socialista non è stata feconda che quando distaccava l'uomo (convertito a tutto un modo nuovo di capire quanto « succedeva intorno a lui ») dalle meccaniche ingiunzioni della «massa» (ine~e o animata da ciechi furori), quando creava nuove « comunioni » di stretti circoli o « comunità• - come quelle che sentivano nascere i partecipanti (per la prima volta) ad uno sciopero - con rischi gravissimi di fame e di persecuzione poliziesca - o ad una «manifestazione» che faceva scandalo agli occhi di un immensa maggioranza di timorosi o « benpensanti ». Il socialismo non poteva riuscire che con il continuo rinsaldamento e la proliferazione di simili associazioni schiette, spontanee, articolate con profondo riguardo per il più modesto degli individui che vi si erano aggregati: era una necessità, se si voleva redimere l'uomo da quella condizione di « elemento di massa » (oggetto e non soggetto) alla quale prima il sistema d'accentramento amministrativo delle monarchi.e assolute (corrobate dalla chiesa cattolica in seguito alla Controriforma, da chiese protestanti o cc ortodosse» che avevano accettato in pieno la teoria • cristiana,. della ragion di Stato come ultima cc ratio ») e poi il sistema economico del capitalismo l'avevano ridotto: in contrasto con l'illusoria cc libertà» e la formale « uguaglianza » dell' « atomo » sociale della democrazia secondo i principi del 1789 (o della rivoluzione americana), il socialismo era tutto intento a ricreare la reale integrità della persona umana nella effettiva spontaneità di associazioni libere (« senza potestà corruttiva né sanzioni coercitive»). La prima organizzazione che deviò il socialismo verso l'azione di « massa» fu la socialdemocrazia tedesca verso il 1900: apparato amministrativo e relative gerarchie, interesse esclusivo per le manifestazioni massicce (elezioni - slogans • parole d'ordine » - semplificate e appoggiate con perfetta - e più o meno «militare» - disciplina, unità di dogmi ideologici, imposti per esempio dal concilio di Dresda nel 1903, stampa severamente controllata e perciò ridotta ad una mediocre uniformità). Lenin ha imparato molto dallo studio dell'« apparato»- germanico del 1914 - Mussolini e anche Hitler si sono addestrati, prima a 28 Biblioteca Gino Bianco

contatto ·con i metodi della socialdemocrazia « ortodossa marxista», poi osservando i metodi del bolscevismo che ha osato spingersi sulla stessa via fino a conseguenze che quella brava gente che erano tuttavia i Kautski, Scheidemann, Eberth, avrebbero con orrore ripudiato. . E' facile oggi con il senno di poi constatare come i successi della socialdemocrazia, apparentemente cosl fragorosi fra il 1890 ed il 1913 fossero illusori; giacché si scontarono con le ignominiose disfatte dell'agosto 1914, del 1919, del 1932-1933; ma ai tempi d'oro suscitavano una ammirazione ed una emulazione generale. I paesi di più radicata tradizione umanistica (ma anche di più concreti ricordi di una « libe_ra » azione del popolo che è l'assoluto contrario d'una azione di « massa») come la Francia e l'Italia (in parte anche la Spagna, il Belgio, i paesi scandinavi) quasi si vergognavano di non poter uguagliare la disciplina «tedesca», eppure facevano nelle leghe cooperative italiane, nella C.G.T. di Fernard Pelloutier e della « Charte d'Amiens » - un socialismo molto più costruttivo, che realmente ingenerava « comunità » al posto di supini greggi umani. Cosl pure dagli stretti circoli « cospirativi », sindacati clandestini, cooperative mezzo tollerate di Russia e di Polonia, con la loro varietà di « ideologie » e di pratiche iniziative, emanò una potenza esplosiva •di rinnovamento (malgrado che riunissero un'infima parte della popolazione, il che, fra l'altro, spiega l'impossibilità in cui dopo il 1917 si trovarono di potersi opporre a soluzioni «totalitarie») di cui la socialdemocrazia tedesca, col suoi tanti milioni di elettori e tanta perfezione di gerarchie amministrative non ha mai posseduto la decima parte. La « politica delle masse » è stata adottata e sempre più sviluppata - a scapito delle esigenze del socialismo - perché la faciloneria è sempre una tentazione vittoriosa e perché tutti gli opportunismi, tutte le pusillanimità, tutte le ipocrisie vi trovavano beneficio. Anche il popolo - come dimostra la « psico- . logia collettiva» prevalente negli Stati Uniti d'America - preferisce allo sforzo acerbo d'una reale redenzione, l'euforia di gregarie illusioni con divertimenti vari. I socialisti (a cominciare da Engels colle sue ottimistiche previsioni nella prefazione del 1895 alla Lotta di classe in Francia sul benèfici effetti del servizio militare obbligatorio) non sembrano aver avuto la chiara percezione dell'efficacia (disastrosamente rapida) con cui l'istituzione degli eserciti permanenti (corruzione di giovani durante i due o tre anni di caserma), l'agglomerazione nelle « città tentacolari » (dove « si vive l'uno 29 Biblioteca Gino Bianco

accanto all'altro senza conoscersi » ), la « standardizzazione» di tutti i particolari dell'esistenza materiale al livello d'una deprimente bruttezza e volgarità, le gigantesche ·officine di Krupp o Ford con l'abbrutimento del « lavoro a catena» - contribuivano a ridurre il popolo, ed anzi tutto il proletariato ad una cc massa» dove l'individuo diventa sempre più sperduto, insignificante, costretto a meccanica imitazione dei suoi cc simili » che sempre più gli diventano indifferenti. La guerra del 1914-18 ha mostrato (con una certa sorpresa per gli stessi governanti, dapprima abbastanza preoccupati) quanto fosse facile maneggiare le masse e non solo spingerle all'ammazzatoio, ma « imbottirne i crani» (sicché « morivano soddisfatti »). E' probabile che il cesarismo che in altre epoche si è valso del consenso di « masse» più o meno irreggimentate o stanche di trascinare un'esistenza oltreché misera, continuamente esposta a imprevedute tribolazioni - sia oggi giorno un disegno anacronistico - benché un De Gaulle sembri cullare ambizioni abbastanza affini a questo vetusto modello. Ma un acutissimo osservatore della realtà sociale moderna - Dickinson già nel 1914 affermava che i regimi moderni, abusivamente qualificati come « democratici», sono in realtà una combinazione di cc ochlocrazia » (sovranità più apparente che reale di folle senza coesione) con la plutocrazia - regno effettivo delle grosse fortune. Con minime attenuazioni, il regime della grande repubblica am~ricana potrebbe ancora nel 1948 benissimo corrispondere a tale definizione. Le esperienze europee hanno mostrato - dopo la guerra del 1914-18 - che la stessa agitazione abilmente orchestrata di masse s'adatta al «totalitario» predominio burocratico-militare, soprattutto se questi si corazza del fanatismo aizzatore ed intollerante d'una «ideocrazia». Se si vuol capire qualcosa degli eventi del nostro tempo, bisogna lasciare da parte (o sotto beneficio di inventario), gli schemi astratti della « psicologia » (o coscienza) di classe e considerare, unicamente alla stregua di fatti osservati, il comportamento delle « masse » da un lato e quello dei dirigenti che hanno creduto di comandare dette masse ed hanno invariabilmente finito coll'essere trascinati assieme alle masse verso le troppo note catastrofi. La massa è tutt'altro che omogenea. In modo grossolano vi si possono distinguere almeno, tre strati. Vi è anzitutto la schiuma di quell'inferno che forma un ampio sottosuo!o della civiltà moderna. Troppi e notissimi fattori tanto fisiologici che economici saturano non solo i bassifondi (e perciò ogni riferimento al e, Lumpenproletariat » non è che un goffo 30 Biblioteca Gino Bianco

tentativo di « alibi » nelle spiegazioni marxiste), ma tutte le sfere della società moderna, tino alle più alte, di esseri mostruosi, squilibrati, degeneri o disperati; il personale per le atrocità di «pogrom» antisemiti o di vari «squadrismi» per l'attività zelante di Ceke, Gestapo, Ovra, per l'organizzazione così diligente e insistente dell'agonia di milioni di esseri umani nei campi di concentramento, si recluta con estrema facilità e abbondanza. Credo che sia stato un « nobile errore» degli umanitari - pieni di fervore ottimistico - l'avere trascurato questo coefficiente di_efferatezza nei movimenti di « massa », e particolarmente nelle effervescenze «rivoluzionarie»; può darsi che il relativo successo di proselitismi che si possono dire reazionari in quanto diffondono la rassegnazione all'ordine esistente - come quello dei Wesleyani metodisti e anche quello dei cattolici «sociali» -, si spieghi appunto con le cautele ispirate dalla dottrina del « peccato originale » la quale trovava un istintivo consenso in molti fra i migliori degli « umili e semplici» edotti per pratica esperienza di tante « inclinazioni perverse» nell'ambiente stesso in cui vivevano. Vi è poi il numero preponderante di coloro che il depauperamento materiale e morale, il triste distacco dal « paese natio», cioè da un ambiente protettivo fornito di tradizioni, costumi, mitologie, « stile di esistenza », sia pure « primitiva »; la promiscuità dei tuguri e delle « vie senza gioia»; l'indifferenza se non l'odio per il genere di fatiche quotidiane con cui è ineluttabile necessità preservarsi dalla morte per fame - hanno ridotto al ristretto orizzonte mentale e soprattutto all'atonia morale che sono tipiche dell'« uomo della massa». Questa gente è stata «logorata>> da troppe delusioni (le guerre, i regimi d'oppressione, la lunga serie di disfatte sia del socialismo sia della «democrazia»; la serie altrettanto lunga e continua di successi - oltreché di impunità - ostentati dai « pescicani » del 1920 come del 1945 - e da tutte le forme di corruzione, d'egoismo spietato, di brutalità in genere), e d'altra parte ha trovato un certo equilibrio di esistenza materiale - acquistato al prezzo d'una sempre più ottusa indifferenza per i problemi di «verità», di «giustizia», di «dignità» e d'un adattamento agli « ersatz » sempre più volgari. Insomma un certo modo di mantenersi a galla non tanto differente dal « panem et circenses » di classica memoria. La cc coscienza di classe » - in quanto suppone un senso vivo di « dignità » ed uno sforzo di giudizio critico - è (nella stragrande maggioranza) ridotta a fievoli riflessi, a velleità soffocate ab31 Biblioteca Gino Bianco

bastanza facilmente dalla riflessione: « bisogna salvare la pelle• e « così fanno tutti ». Vi sono infine nella «massa» odierna, ed è questo un aspetto singolarmente tragico, quelli che si possono definire vittime (o • resistenti senza speranza ») della trasformazione del « popolo » (con il qual termine intendo un aggregato di comunità • organiche » - ma ·il vocabolo è pericoloso in seguito a certe note dottrine sociologiche, appoggiantesi su rozze analogie biologiche nonché più o meno esplicite tendenze di <<mistica» reazionaria) della trasformazione, dicevo, del « popolo ,. in « massa ». Opponendo «organico» a « meccanico» si vorrebbe soltanto distinguere un sistema di collegamenti in profondità mercè il quale un consenso « senza coercizioni né sanzioni » su certi princìpi morali, l'osservanza di certi costumi, l'adesione ad una certa mitologia creano una viva, concreta « coscienza collettiva», dalla rete di rapporti superficiali, esteriori, brutalmente necessari in cui I'« uomo qualunque » si rassegna a convivere con i suoi simili. Uomini che per origine o educazione (per esempio contadini o artigiani « proletarizzati))) hanno ancora la nostalgia d'una reale comunità, o uomini di superiore capacità nel « sentire umanamente», si trovano, per fatalità economica, Immersi nella massa; se non cedono al totale scoraggiamento si appassionano per ogni possibilità di redenzione (di loro stessi ma anche di tutta quella misera umanità che li circonda). Più prevale. in loro la semplice « bontà dei sentimenti » ed una • ingenua» intuizione di verità elementari, più sono disponibili alla ribellione semplicista e all'utopia. I partiti di massa con scopi totalitari e metodi machiavellici devono appunto il loro successo allo sfruttamento di questa sete di « purezza» e di fede nella giustizia, che - nonostante tutto - con un entusiasmo di autentici « credenti » vive in questi uomini. Può darsi che si presenti il bisogno per i socialisti di Imparare e di porre in pratica una « tecnica dei rapporti sociali» a cui ben poca attenzione è stata finora concessa. Viviamo un po' troppo sulle tradizioni che hanno preso consistenza nei tempi ormai lontani delle prime lotte per l'emancipazione delle classi lavoratrici. Allora la classe operaia era di fatto esclusa da,lla compagine che pretendeva costituire la « nazione» o la • collettività civile»: il compito, non facile, ma di formulazione semplice, era di condurre il proletariato alla conquista di diritti politici e di almeno un minimo di cc facoltà economiche » che 32 Biblioteca Gino Bianco

gli rendessero possibile di sentirsi l'eguale degli « uomini e cittadini» nei paesi inciviliti secondo i principi del 1789. Oggi questa fase della « lotta di classe» per l'integrazione nel « corpo nazionale» (della nazione-stato) può dirsi superata; al produttore, la cui « forza lavoro» continua ad essere sfruttata in modo più o meno iniquo sia da oligarchie plutocratiche sia da burocrazie dirigenti di Stati totalitari, non si nega più la capacità di elettore ed eleggibile, il diritto all'istruzione elementare e persino il diritto all'assistenza sotto vari aspetti; e tuttavia le forme di schiavitù che i campi di concentramento (ancora troppo numerosi), certe legislazioni sulla mano d'opera straniera e superstiti regimi coloniali impongono ancora a milioni di individui sono una minacciosa alternativa che purtroppo sarebbe incauto ottimismo sottovalutare. Ma nei paesi occidentali da più di una generazione, sembra acquisita la partecipazione di pieno diritto ed anche di fatto dei lavoratori nullatenenti alla medesima « vita pubblica» e su per giù al medesimo « tipo di civiltà» (dal modo di vestire agli svaghi detti «intellettuali») delle (ridotte e scompaginate) classi abbienti. Tale partecipazione finora ha forse comportato per la classe operaia, accanto a vantaggi (materiali e spesso decantati con eccessiva compiacenza) non ,pochi oneri e parecchio disorientamento morale. Il che facilmente si spiega con il fatto che i proletari sono stati accolti in un sistema di società e civiltà nel momento in cui i valori di questa ed i capisaldi (tanto politici che sociali) di quella erano già in piena crisi. L'uomo moderno ha strenuamente lottato per la libertà della persona come massimo pregio dell'esistenza. La libertà nel vivere sociale pareva assicurata, oltreché dal principio di reciproca tolleranza, dalla molteplicità di raggruppamenti distinti per i fini che conseguono e per gli statuti che ciascuno di essi si foggia, nei quali la medesima persona si trova in uno stesso tempo impegnata: la famiglia, la scuola, la confessione religiosa, la « cosa pubblica», il partito, l'attività professionale, l'affinità di idee o di gusti artisti e via dicendo. Ma per essere effettivamente libero occorrevano due condizioni: che dipendesse dalla libera decisione di ogni uomo di contrarre come di sciogliere ogni legame per cui temporaneamente si aggregava a l'uno o l'altro consorzio, e che il senso critico e di responsabilità della persona fosse abbastanza sviluppato e vigile per non perdere la capacità di scelta e di eventuale svincolo, proprio il socialismo con la sua concezione dell'uomo e dei rapporti umani, doveva essere e spesso è stato guida efficace per un comportamento dignitoso ed intelligente 33 Biblioteca Gino Bianco

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