65 soci, se erano salariati; cd anche da quello che correvano se erano artigiani indipendenti, poichè la produzione si com.piva per loro in condizioni molto differenti. Finalmente taluno ravvisa nelle società di produzione un grave pericolo in ciò, che, ove esse riuscissero a diffondersi in modo da sostiuire le imprese ordinarie e da rendersi padrone del mercato, potrebbero costituire a loro favore un monopolio generale, pernicioso ai consumatori. Al che il Rota risponde che queste associazioni sorgono e prosperano in forza della concorrenza: possono eliminare degli imprenditori, in quanto producano a migliori condizioni di quelli: ma, se rialzassero i prezzi, la concorrenza si farebbe più viva di lluovo. D' altra parte un monopolio non potrebbe sussistere se non sorretto dalla legge: e tale appoggio, nè esse lo chiedono, nè la legge lo accorderebbe loro. L'obbiezione però, dal punto di vista astratto, non è confutata: in fatti se le associazioni si sostituissero all' impresa privata, riunendo tutti i lavoratori, l' impresa privata non sarebbe più possibile, e quelle resterebbero padrone del campo. Ed anche quando ciò non si avverasse che parzialmente, la tendenza naturale dei lavoratori a riunirsi fra loro, e delle associazioni a federarsi, potrebbe dar luogo a dei monopolii più o meno vasti. Ciò che conferma quanto osservammo altrove, circa la unilateralità delle singole forme della cooperazione, per la quale le società di consumo salvaguardano soltanto gli interessi dei consumatori, quelle di produzione solo gli interessi dei produttori, e così via. Se non che, come vedremo anche meglio in seguito, la ipotesi di una sì grande diffusione di queste associazioni è •così lontana dalla realtà e dalla possibilità, che la obbiezione che abbiam veduta perde ogni pratica importanza. s
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