Pietro Nenni - L'assassinio di Matteotti ed il processo al regime

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I •Officina Tipografica Enrico Lazzari & C.• Milano, Via Barbavara N. 2 B_ibliotecaGino Bianco

I. IL FALLIMENTO DELLA DITTATURA Ii discorso che l' on. Mussolini pronunciò alla Camera dei deputati - la Camera che ha una maggioranza scelta da Cesarino Rossi - il 17 giugno, chiudendo la discussione generale sull'indirizzo di risposta al messaggio della Corona, fu definito da gran parte della maggioranza - sempre pronta a mistificare il pubblico - discorso di pacificazione. Per la verità, quel discorso aveva una portata nè pacificatrice, nè normalizzatrice: era un espediente del demagogo che dirige il Governo avendo un programma che si può sintetizzare in due punti: 1 ° difendere il potere con tutti i mezzi; 2° sbarazzarsi degli avversari accusandoli di essere nemici della patria. Come programma non è nuovo. Tutti gli avventurieri instauratori di dittature ne ebbero uno simile ,c~e applicarono c'on minore o maggiore abilità a seconda della loro statura intellettuale. In Italia, dove si era abituati alla dittatura burocratica e civile di Depretis e di Giolitti \;l dove vi era mal tollerata la dittatura militarista di Crispi, il romagnolo che è al Governo ha portato nell'esecuzione di questo programma il temperamento di un sanfedista senza religione, quanto cioè di più settario, di più fazioso e di più esclusivista si possa immaginare. Il discorso, così detto pacificatore, non trasse in inganno i socialisti, i quali rimasero sulla breccia, decisi a continuare e ad intensificare la battaglia politica contro il fascismo. < E' del trasformismo personale - commentaviimo sull'Avanti! - qualcosa di peggio quindi dello stesso trasformismo politico». B1blìoteca Gino Bianco

-61~ aggi ungevamo : « Il fascismo resterà natural..- mente quello che è, e gli riescirà comunque moltodifficile, agli occhi delle stesse opposizioni costi..- tuzionali, purgarsi del peccato di origine,. La facile previsione ha trovato poi piena con-· ferma nei fatti che sono seguiti. Su questo non poteva esserci dubbio. Il fascismo segue esattamente la parabola di tutti i movimenti congeneri, la cui forzai è consistita nel prestigio di un idolo e nella bruta sopraffazione armata, invece che nella grandezza e nell'attualità di una idea-forza. La caratteristica di questi movimenti è che essi non sanno arrestarsi a tempo sulla via dell'arbitrio. Che sareb- ·be stato Napoleone se dopo Austerlitz, dopo Wagram avesse intuito che l'Europa aveva bisogno di pace e che la Francia era esangue di... gloria ? Per quel tanto che il paragone può reggere, si potrebbe chiedere che cosa sarebbe stato dei Napoleoni senza Austerlitz regalataci dal fascismo, se all'indomani della marcia su Roma avessero intuito che' l'Italia, dopo dieci anni di guerra e di guerra civile, aveva bisogno di ordine, di pace, di legalità. Il fascismo non ha intuito questo bisogno del paese, nè lo poteva intuire. ·senza sofisticare sui motivi ideali che, dopo la mortificazione della vittoria alla Conferenza di Parigi e di fronte all'irruento attacco delle masse operaie, mossero una parte dei reduci della guerra ad accorrere nei Fasci, sorti con programma democratico-repubblicano, sta però di fatto che il fascismo è un movimento di conservazione sociale e di reazione politica preval€ntemente agrario. La caratteristica, ed in certo senso la genialità di questo movimento, è che esso si è• organizzato non sulla base politica di partito, ma sulla base militare di esercito, onde a un certo mo-- mento è risultato essere un vero e proprio Stato nello Stato. Impresa facilissima, niente affatto eroica. E' stato scritto che il fascismo ha compiuto la sua avanzata inseguendo dei fuggiaschi. E' esatto per quanto si riferisce allo Stato-liberale-democratico - la cui abdicazione raggiunse i limiti del grottesco - e in genere ai partiti costituzionali edemocratici. Ai fascisti oppose resistenza - e in molti casi resistenza eroica - soltanto il Partito BibliotecaGino Bianco

-7socialista. Ma le masse proletarie non avevano armi; esse furono tradite dai molti di quelli che n_el 1919 avevano di più gridato, contribuendo con le loro ciarle insulse ad isolare il movimento socialista ed a coalizzare ceti ricchi e piccoli-borghesi, che bisogna invece dividere; esse si trovarono a dovere supplire con la loro iniziativa alla deficienza degli organismi centrali, sia politici che sindacali; furont5 distolte dal pericolo che s'addensava,. minacciosissimo, ·dalle acri polemiche intestine, da accuse sanguinose che si scagliavano i capi delle diverse tendenze socialiste Bd infine, quando nell'agosto del 1922 l'Alleanza del Lavoro le invitò a battaglia era già troppo tardi; il nemico aveva guadag·nata una supremazia assoluta, lo Stato legale, rappresentato a Roma da una larva di Governo, presieduto da Luigi Facta, aveva già abdicato di fronte a quello illegale, la sfiducia aveva guadagnato i lavoratori. Così la battaglia fu perduta ed il fascismo ebbe via libera. Dall'agosto all'ottobre l'iniziativa gli appartenne in modo assoluto. Dopo l'ottobre - dopo la Marcia su Roma - si presentò al fascismo un problema nuovo e formidabile. Aveva conquistato il potere, come se ne sarebbe servito? Si può ben dire che in quel momento, quasi tutti i vecchi partiti torici i ttarono ai pi di di Mussolini. Fosse viltà, fosse calcolo, fosse rassegnazione, fatto si è che raramente si vide un così imponente corteo di servi, come quello che accompagnò Mussolini al Quirinale. Non solo il fascismo non trovò sul suo cammino - oh la rivoluzione in sleeping-kar! - mitragJ.iatrici che facesser-, fuoco, ma non trovò neppure partiti storici disposti a resistergli. Democratici, liberali delle varie tendenze (esclusi il Corrie1·e della Sera e la Stampa, che ebbero però parecchie oscillazioni), perfino i popolari, furono subito ministeriali, non appena Mussolini ottenne dal re l'investitura di primo ministro. Si parlò addirittura dell'ingresso dell'on. Baldesi - socialdemocratico e confederalista - nel primo Gabinetto fascista. Nè valse, più tardi, il dispr zzo del Pr sidente del Consiglio per i vecchi partiti, ed il conBiblioteca Gino Bianco

-8tegno del fascismo nel paese, a spezzare i legami di servitù stabiliti subito dopo la marcia su Roma. Anche il campo socialista unitario - ad opera specialmente dei confederalisti - fu a più riprese agitato dà correnti semi-collaborazioniste, contro le quali insorse, con la coscienza piena del dovere socialista, il povero e grande Giacomo Matteotti. Infine contro il fascismo non rimanemmo che pochi gruppi: gli unitari, noi socialisti-massimalii,ti, i comunisti, i repubblicani e qua e là qualche sopravvissuto al naufragio dei vecchi partiti liberalidemocratici. Scarsissime erano le forze effettive su cui potevamo contare. I fascisti avevano saputo procedere con la vecchia satanica arte del Barbarossa che seminava sale sulle rovine delle città conquistate. Le Camere del Lavoro erano tutte distrutte, eccettuata quella di Milano; le sedi politiche del proletariato erano state razziate; l'Avanti!, che era stato distrutto ben quattro volte,. aveva limitato il suo raggio di io.fluenza da una lunga serie di bandi locali benchè rimànesse ugualmente l'arma di combattimento più efficace e più importante in una fase che era per noi di pura critica; le organizzazioni sindacali di classe erano ridotte senza sedi e senza possibilità di propaganda e di vita, mentre gli operai si trovavano alle prese con due dilemmi; - il dilemma dei fasci: o la tessera della corporazione o il manganello sulla testa; e il dilemma dei padroni : o la tessera fascista o l'affamamento. Ad aggravare la situazione, ed a ritardare il processo di riassimilazione delle masse contribuì il fatto che le beghe interne nel campo nostro erano tutt'altro che liquidate; dopo la marcia su Roma, come prima furono vivissime le polemiche -coi comunisti, i quali miravano alla distruzione del Partito socialista e particolarmente· triste e penosa fu la lunga bega 'che si imperniò· sui nomi di Serrati e sul mio, senza che vi fosse nulla di personale .. Ma lavoravano per noi i fascisti, seminando l'odio contro le loro gesta - culminate nei massacri di Torino e di Spezia; -'- disonorandosi con una legislazione partigiana la quale non si è arrestata di fronte alle più patenti ingiustizie - come fu nel Biblioteca ino Bianco

-91 caso dell'amnistia per i delitti a fin-e nazionale, in virtù della quale, i socialisti che si erano difesi dagli assalti fascisti sono all'ergastolo e gli assalitori, gli incendiari, gli assassini ed i ladri in camicia nera, sono liberi; - fallendo completamente ai fini di pa,. cificazione -e di valorizzazione del paese che si erano proposti; insomma comportandosi come un esercito di ventura in terra occupata. · E' stato detto che il fascismo è l'Anti-risorgimento. L'affermazione è rigorosamente esatta. Il Risorgimento, come movimento politico, è un grande sforzo di unifica.zione e quindi di assimilazione; assimilazione del Sud col Nord, assimilazione dei vecchi partiti storici, assimilazione delle classi, assimilazione o compromesso con la Chiesa. Erede della politica unitaria del Risorgimento, che ebbe la sua culla nel Piemonte, fu indubbiamente il Giolitti, quando tentò l'inserzione nell'orbita monarchica del socialismo -e ricorse, in difetto dell'assimilazione al compromesso che dominò la politica ita-liana nel decennio 1900-1910. Il fascismo è invece un movimento di disso.ciazione. Sotto una falsa e ingannevole apparenza d'ordine - l'ordine di Varsavia e dei cimiteri - non ci fu mai tanto odio fra le classi -ed i partiti, e gli italiani non furono mai così profondamente divisi. Gli è che agli elementi sociali e politici della discussione e della lotta politica e di classe - inevitabile e benefica - si è aggiunto un elemento nuovo: l'offesa - e quindi la difesa - di quei valori giuridici, morali, umani che sono il fondamento della vita moderna. Il fascismo è un ria,ffioramento di Medio Evo: esso ha posto l'Italia fuori del quadro delle moderne competizioni fra capitale e lavoro e non ha riscontro in nessuna reazione. Si parla di Stato fascista. Nessuno sa dire che cosa sia. In verità dalla marcia di ottobre in poi non c'è più Stato, com.e non c'era Stato prima, ma ci sono tante dittature quanti sono i campanili. Chi aveva delle vendette da compiere, s'è rifugiato dietro il fascio littorio ed ha agito esaudendo ogni suo malsano proposito. Il bottegaio danneggiato dallo sviluppo del cooperativismo, ha fatto distruggere la cooperativa, così come l'innamorato respinto, ha BibliotecaGino Bianco

- 10 - fatto dare l'olio al suò rivale fortunato in amore. Tutto in nome della patria. L'ordine? Ma sotto questa apparenza d'ordine covano dei vulcani. Confesso che più di una volta la rivelazione improvvisa di questo odio, mi ha fatto . paura; paura per ciò che potrebbe essere i.i rovescio della medaglia mentre è urgente restaurare quei valori elementari di civiltà e di umanità, che noi socialisti vogliamo integrati da altre conquisw, non annullati per ripiombare in dominio della brutalità faziosa, senza scampo fra le due faccie di uno stesso fenomeno: un giorno vittima, un giorno carnefice. Ma dove Mussolini ha rivelato in maniera clamorosa la sua deficienza di senso politico e di linea politica è stato nei rapporti con i partiti d'ordine e con i ceti medii. Li aveva ai suoi piedi, li ha contro. Non solo i popolari: non solo i costituzionali tipo Amendola, Albertini, Frassati; non solo i demosociali tipo duca di Cesarò; non solo il Corriere della Sera o la Stampa, ma perfino i liberali fiancheggiatori; perfino il Mattino e il Giornale d'Italia; perfino i combattenti nel loro Congresso di Assisi, si sono separati da,! fascismo col quale fecero le elezioni burletta del 6 aprile e prima di loro i mutilati, nel loro ultimo Congresso di Fiume, avevano mostrato di intendere i doveri del Governo in materia radicalmen-. te diversa dal come li intende il fascismo. Tutto questo è avvenuto non battagliando attorno a dei programmi e a delle riforme, ma attorno a delle parole. In. pratica il fascismo ha lasciato le cose come le ha trovate. Questi s-edicenti rivoluzionari anti-liberali ed anti-democratici, hanno preso lo Stato liberale tal quale era e formalmente, dopo due anni da che governano, non c'è una trave fuori posto. C'è una Camera, c'è un Senato, c'è un Gabinetto responsabile davanti al' Parlamento; le vecchie leggi sono tutte in vigore, almeno sulla carta. Nnl campo lC'gislativo l'attività fascista equivale a zero. Discorsi, e nient'altro. Discorsi sullo Stato fascista, discorsi sul sindacalismo di Stato, discorsi sull'impero ifalico con contorno d'aquile Biblioteca Gino Bianco

- 11 ,:-omane che riprendono il volo, di stirpe immortale, di diritti della razza, ecc. Ma se tirate le somme avete una politic-a finanziaria inspirata al criterio del più esoso fiscalismo, con l'annuncio del pareggio nei discorsi del ministro De Stefani e, come contrappeso, il contribuente boccheggiante, e la lira che ha oggi un valore di 17 o 18 centesimi, come nell'epoca malfamata in cui c'erano dodici miliardi di deficit. Nella politica estera alcuni successi evidenti - sulla linea del diffamato rinunciatarismo - come il patto italo-jugoslavo ed il patto italo-russo, non han- · no avuto gli sviluppi che dovevano avere per essere posti in valore, mentre la posizione dell'Italia ufficiale non fu mai; così cattiva, per il disprezzo che il fascismo suscita nel mondo civile, al punto .che il Presidente del Consiglio e ministro de.gli esteri non ha potuto recarsi alla Conferenza internazionale di Londra, dove erano i primi ministri del1 'Inghilterra, della Francia, del B-elgio e della Germania. Il solo gesto originale, fascista, di Mussolini, in politica estera, è quello di Corfù, umiliante e grottesco, tale che ci volle tutta l'avvedutezza della diplomazia per evitare conseguenze che potevano essere disastrose. A questo fa. contrasto il modo pietoso con cui egli si comportò nella grossa questione sollevata da Poincarè coll'occupazione della Ruhr. Nella politica interna e sociale, campeggiano il famigerato regolamento contro la libertà di stampa, 1a soppressione della liberlà di riunione, l'annullamento di tutte le garanzie statutarie, lo schiaviF<modegli operai e dei contadini giunto ad un punto tale che Mussolini stesso ha dovuto riconoscere come da quella che egli chiama la pace sociale, solo le classi padronali abbiano tratto beneficio. Questo completo fallimento dei programmi ricostruttivi - al quale ora dovrebbero porre rimedio i « quindici Soloni > incaricalti della riforma costituzionale, non per un fine rivoluzionario, ma per tentare di porre nuovi ostacoli alla volontà popolare - aggiunto ai nefasti del rassismo nelle provincie, ha via via, eliminate molte simpatie al fascismo, il quale oggi, per definizione del suo capo, :appare come un esercito accerchiato. I fiancheggiaBiblioteca Gino Bianco

- 12 - tori, i combattenti, in genere gli uomini di cultura e di progresso, si sono allontanati prima, d~l fascismo, rifugiandosi in un paradossale mussollnismo, poi, anche dal Governo quando si sono ac-- corti del bifrontismo di Mussolini, pronto a tutte le concessioni che possano conciliargli il favore del.- la piazza, ma legato a fil doppio al rassismo che corrisponde in pieno alla sua mentalità. Le •elezioni del 6 aprile, che furono un truffa per la legge con la quale vennero indette e furono doppiamente una truffa per le condizioni in cui si . svolsero, avevano già dimostrato luminosamente cheil fascismo non poteva contare che, su solidarietà coatte, strappate con la violenza o con la minacciai delle violenze. Dopo le elezioni, il processo disgregativo delle forze fiancheggiatrici del fascismo si andò accelerando. La coscienza: italiana avvertì il baratro morale in cui l'aveva precipitata la dittatura fascista, che per bocca del suo capo andava intanto raccattando gli insulti degli austriaci e dei Borboni contro il popolo italiano, definito insensibile ai probi-emi della libertà e solo preoccupato di materiali vantaggi. Anche prima del delitto Matteotti la dittatura fascista appariva senza giustificazione agli occhi della grande maggioranza degli italiani. E' questo· un punto fondamentale. Noi socialisti non ci siamo mai illusi che si possa bandire dalla storia e dalla. vita, la violenza. Abbiamo anzi riconosciuto e detto che vi sono situazioni che solo la violenza riesce a rompere e a superare con vantaggio della civiltà, Egualmente non· è senza giustificazioni storiche la dittatura di un partito o di una classe, quando essa ~on sia che il mezzo temporaneo per superare il ];)rusco trapasso da un regime che crolla ad un re-· gime che sorge. Non rinnegheremo la rivoluzione francese, della quale la nostra civiltà è figliazione· diretta, solo perchè le cronache del Terrore furono tristi ed infami o perchè troppo lavorò la ghigliotti-- na. Non rinn,egheremo la rivoluzione russa, che ha avuto i suoi episodi di terrore ed i cortei di giusti~ ziati. Ma se, a differenza di quel che mostra di credere il capo del fascismo, pentito di una sua supposta. generosità (diciamo supposta perchè se egli e le 1 Biblioteca Gino Bianco

- 13 - ,sue camicie nere s'imposero dei limiti umani fu perchè s'erano imposto un limite politico, scegliendo come méta il Quirinale per una dichiarazione di .subdolo lealismo monarchico senza di che non .sarebbero andate a Roma), se, il proprium di una rivoluzione non è nei cortei di giustiziati, ma nel rinnovamento che essa apporta, si possono però giustificare violenza, terrore, ove in effetti urr nuovo -0rdine sorga sulle rovine dei vecchi regimi, e nuovi ceti, nuove classi siano assunti all'esercizio del potere, allargando la cerchia dei partecipanti direttamente alla vita ed al controllo dello Stato, nel che è uno dei segni del progresso. Niente di tutto questo ha fatto il fascismo. La sua ·violenza appare quindi come sfogo di umana bestia1ità. La dittatura come fine a sè stessa. Di qui l'inappellabile condanna. BibliotecaGino Bianco

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II. IL DELITTO DI ROMA Il senso di stupore e di indignazione che guadagnò rapidamente la opinione pubblica, fra il giovedì 12 giugno e la domenica successiva, allorchè fu noto il rapimento dell'on. Giacomo Matteotti, avvenuto di pieno pomeriggio in Roma il martedi 10, e allorchè caddero le illusioni e le speranze che si trattasse di sequestro di persona e non di assassinio, fu l'indice più eloquente dello stato d'ignoranza, di terrore, di omertà, in cui era la grande maggioranza della popolazione. Delitti fascisti, aventi tutti la marca della medesima villà e della medesima ferocia, la cronaca ne aveva registrati a bizzeffe, dal massacro di Torino, nel quale trovarono orrenda morte dodici socialisti e comunisti, fino al delitto di Reggio Emilia, che era costato la vita al buono,. leale generoso nostro compagno Antonio Piccinini, candidato del Partito nella circoscrizione emiliana e per questo assassinato. Ma i giornali, così detti d'informazione, s'erano sbrigati della cronaca con poche righe frettolose, l'eco di questi delitti era stata soffocata e localmente . essi avevano avuto l'effetto di raddoppiare il terrore. Ricorderò sempre, fin che io viva, l'impressione che mi fece Reggio Emilia - la-socialista terra di Prampolini - quando vi fui all'indomani dell'assassinio di Piccinini. I pochi compagni che mi poterono avvicinare avevano la morte nel cuore e paventavano nuove sciagure. Il terrore sigillava le labbra di quelli che forse sapevano per aver visto o per aver udito. La proibizione dei funerali - ultimo insulto al corpo massacralo cli un integerrimo lavoratore qual'era stato Piccinini fu acBibliotecaGino Bianco

- 16 - colta senza ribellione. Tutti i socialisti sentivano sospesa su di loro la sentenza di morte, al primo cenno di attività, e la maggioranza della popolazione, che sarebbe stata indomabile nella sua collera, subiva passivamente la dura legge del rassismo locale. Ii delitto di R.oma spezzò questa catena di complici silenzi e di supina acquiescenza. La piazza urlò la sua protesta e n'ebbe paura il Governo, che sacrificò Mussolini agli interni, il gen. De Bono alla direzione generale della P. S., Finzi al sottosegretariato d gli interni, il comm. Cesare Rossi all'ufficio stampa; n'ebbero paura i fascisti, i quali per due settimane mutarono Lono o fecero sparire i manganelli e i distintivi. Perchè questa vera e propria rivoluzione morale? Essa non si spiega se non si tiene conto della situazione poiitica generale. L'incantesimo era già rotlo. I ceti medi cominciavano ad accorgersi di essere stati sfacciatamente sacrificati alla plutocrazia. La propaganda socialista richiamava lentamente la massa operaia alla coscienza della sua forza e dei suoi doveri. La dittatura fascista appa.riva senza giustificazione. Gli altri elementi della crisi che si è aperta col deìitto di Roma e che si chiuderà soltanto con la caduta del fascismo sono: il delitto in sè, la sua organizzazione, la personalità degli imputati, la sparizione del cadavere, rinvenuto soltanto il 15 agosto, dopo due mesi dal delitto; la personalità della vittima; la evidente complicità e responsabilità ài Mussolini. Soffermiamoci un momento a considerare il delitto. La cronaca è nota e sarebbe superfluo richiamarla. Contro Giacomo Matteotti, gli òdii fascisti erano stati implacabili. Nel suo Polesine egli aveva subìto pers-ecuziòni di ogni sorta. A Roma, segretario del partito socialista unitario, era considerato non solo nemico del fascismo, ma nemico l)ersonale del Presidente. Negli ambienti mussoliliani Matteotti, assieme a Turati e 'freves, era ritenuto ostacolo insormontabile a quella collaboraBibliotecaGino Bianco

- 17 - zione coi socialisti unitari, o almeno con la Confed-erazione, clile ha, a varie riprese, tentato il duce. Dalla tribuna della Camera, Matteotti aveva attaccato il rassismo con una fierezza insuperabile. L'ultimo discorso pronunciato dopo l'inaugurazione della XXVII legislatura, e per opporsi alla convalida in blocco della maggioranza di Cesare Rossi, era stato un vero atto d'accusa. Il d-eputato socialista aveva difes·o con grande calore la libera sovranità del popolo contro il governo della forza. Un altro discorso che la « ceka » fascista non gli I perdonava, egli lo aveva pronunciato a Bruxelles, dove si era recato valicando la fronti-era a piedi. Il giorno successivo a quello in cui fu assassinato, egli avrebbe dovuto parlare alla Camera sull'esercizio· provvisorio e senza fare dello « scandalismo:) personalistico, si riprometteva di dimostrare il bluff delle previsioni di De Stefani e di richiamare l'attenzione del paese sulle troppo rapide fortune maturate all'ombra di Palazzo Chigi e del Viminale, con fenomeni di corruzione identici a quelli che caratterizzarono il secondo impero in Francia. Ce n'era, più che abbastanza perchè i fascisti si ritenessero in diritto di sopprimere questo avversario, il quale non si rassegnava a prendere atto det fatto compiuto. L'istruttoria non ha ancora chiarito esattamente i moventi del delitto e forse non li chiarirà, troppa gente essendo oggi interessata a tacere; ma la conoscienza del fascismo e della mentali tà dei suoi capi è elemento più che sufficiente ad intendere come è potuta .sorgere, e come si è rapidamente concretizzata l'idea· del delitto. Sono anni che il fascismo è abituato ad agire fuori della legge, fuori della morale, fuori della umanità, onde ciò che in questo delitto appare enorme, giudicato in rapporto alla delinquenza comune, è spiegabilissimo, naturalissimo se si tiene ·mente al fatto che il delitto fu organizzato al ministero degli interni, per mandato di uomini eh-e, come Rossi, Marinelli~ Filippelli, si sentivano protetti dalla loro posizione gerarchica nel fascismo e nello Stato, e per mano di delinquenti, Dumini, Volpi, Viola, ecc., eh-e avendo una infinità di delitti sulla coscienza, la facevano da padroni e non avevano che un nome da BibliotecaGino Bianco

- 18 - pronunciare perchè sulla soglia delle loro case si arenasse qualsiasi indagine. P-erchè imbarazzarsi troppo dei particolari, quando si ha la certezza della impunità? Ora non c'è dubbio alcuno che anche il delitto di Roma sarebbe rimasto impunito, ove non fosse insorta con tanta violenza l'opinione pubblica, obbligando la stampa a fare quello che non faceva il Governo e che non faoevano la pubblica sicurezza e la magistratura. La pubblica sicurezza,. che sorvegliava strettamente Matteotti, aveva cominciato col perderne compiacentemente le traccie proprio il giorno del delitto. La sera del giovedì 12 giugno essa era - o fingeva di essere - ancora -completamente ignara delle condizioni in cui si era verificato il rapimento, in pieno giorno, ed in un punto centrale come il Lungo Tevere Arnaldo da Brescia. Quanto al Governo esso trattava il delitto come un affare di ordinaria amministrazione. Le dichiarazioni dell'on. •Mussolini alla Camera, nella seduta del 12, furono di una desolante freddezza. « Credo - disse - che la Camera sia ansiosa di avere notizie dell'on. Matteotti, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di martedì scorso in condizioni che ancora non sono bene precisate, ma che appariscono tali da suscitare legittime apprensioni per la morte di quel collega che sarebbe vittima di un delitto che non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del Governo e del Parlamento :.. Seguiva l'annuncio che « la polizia si è messa in movimento e si ritiene che essa, sulle tracce di elementi sospetti, possa dare da un momento all'altro notizie dell'on. Matteotti». Non una parola di più, ciò che determinò l' on. Eugenio Chiesa a gridargli: - E' complice. Ma l'indomani l'emozione del paese, l'atteggiamento delle opposizioni le quali disertavano Montecitorio ritenendo « impossibile la loro partecipazione ai lavori della Camera, mentre la più grave incertezza regna ancora intorno al sinistro episodto di cui è stato vittima !'on. Matteotti>; il tono della stampa, davano al governo la,. sensazione che sarebbe stato assai difficile m;antenere il delitto nei limiti della cronaca. nera. Naturalmente, tale e BibliotecaGino Bianco

- 19 - tanta era l'abitudine, Mussolini non seppe che minacciare. « Se si volesse - disse alla seduta della ,Camera del 13 giugno, presente la sola maggioranza - trarre argomento da questo episodio delittuoso per inscenare un movimento e per trascinare il governo in responsabilità che non ha, si sappia che il governo punta i piedi ed il governo si difende, avendo la coscienza enormemente tranquilla,. Commentando sull'Avanti! questa audace asser- _2;ionenoi scriveva.mo: « Il governo ha la coscienza -enormemente tranquilla? Vediamo. Non c'è bisogno di risalire ai massacri di Roccastrada, di Torino, di .Spezia, rimasti del tutto impuniLi, per trarre dalla ,cronaca la prova della scandalosa solidarietà del _governo con le gesLa dello squadrismo. « A Roma è stato assalito il villino dell'on. Nitti, in pieno giorno, da una banda di un centinaio di persone; nessuno è stato trascinato davanti al tri- ·bunale. « A Roma è stato assalito e revolverata l' on. Amendola; nessuno è stato arrestato. Prima di lui egual sorte era' toccata al dissidente on. ·Misuri. « Sempre a Roma, !'on. Bergamini è stato vittima di una aggressione che l'opinione pubblica unanime ha considerala una vendetta politica e come una conseguenza della sua contrastata elezione a Presidente clell'Associazione della Stampa; buio pesto. · · « A Milano !'on. Cesare Forni per poco non è ,stato assassinato. I nomi degli autori dell'aggressione erano sulla bocca di tutti: nessun arresto. « Un ardito è stato assassinato a Porta Vittoria, -gli autori del delitto sono noti: la polizia· ha lasciato .correre. « Decine di fatti del genere sono avvenuti nelle provincie; quasi mai un arresto. « Di fronte a questa latitanza dei pubblici poteri, latitanza del governo, latitanza: della polizia, latitanza d·ella magistratura, come può ora Mussolini parlare di coscienza tranquilla?». Int1J,nto, incalzata. dalla pubblica opinione e dalla stampa, che aveva già ricostruita la scena del rapimento, la polizia, era costretta ad arrestare alcuni Jra gli esecutori materiali del delitto. BibliotecaGino Bianco

- 20 - La conoscenza dei nomi degli assassm1 non sorJ prese. Specialmente il Dumini ed il Volpi, erano notissimi a Roma ed a Milano. La loro potenza era tale che, benchè notoriamente implicati in numerosi delitti, essi ostentavano l'impunità di cui godevano e conducevano un tenore di vita costosissimo, attingendo indubbiamente alle casse dello Stato. 11 Dumini sopra tutti era noto per replicati segni di benevolenza del capo del fascismo, e perchè insediato a: quell'ufficio stampa di Cesarino Rossi, che era il quartiere generale del fascismo, dove si organizzavano le imprese criminose e dove si dispenJ sava la manna dei fondi segreti. La loro cattura pertanto non acquietò l'opinione pubblica. Anzi ne acuì l'orgasmo, in quanto fu suJ bito evidente da dove era partito il colpo e chi erano quindi i mandanti. Si può dire che dal giorno i3 - cioè dall'arresto del Dumini - il delitto assunse la sua caratteristica definitiva - (definitiva nonostante i diversivi tentati e quelli che saranno tentati) - del delitto di Partito e di Stato. A conferma di ciò il giorno i4 erano rese note le dimissioni di S. E. Finzi da sottosegretario degli interni e del comm. Cesare Rossi da capo dell'uffiJ cio stampa, dimissioni imposte dall'on. Mussolini su richiesta della stessa sua maggioranza: parlamentare, Con queste dimissioni che, quali si siano le spiegazioni date di poi, equivalevano ad una confessio-- ne di responsabilità investente tutto il governo, !'on. Mussolini tentava di salvare sè stesso abbandonando alla piazza i più diretti suoi collaboratùri. Non fu il solo sacrificio, giacchè in data i6 egli cedeva all'on. Federzoni il ministero dell'Interno e dimetteva da direttore della P. S. il generale De Bono, sco~ prendo così e denunciando la responsabilità delle personalità più spiccate l)el regime. Intanto l'istruttoria faceva lentamente e faticosamente il suo dovere. Coll'arresto di Filippelli - di- , rettore . del Con·iere Italiano - per indicazioni di giornalisti che lo designarono alla polizia mentre stava per allontanarsi in mare a. Nervi, di Naldi, del segretario amministrativo del Partito fascista. comm. Marine lii; con il mandato di cattura spiccaLo contro il comm. Rossi che potè però restare una. Biblioteca Gino Bianco

- 21 - .decina di giorni celato a Roma preparando la sua difesa ·e mettendo in salvo le sue carte, il cerchio delle accuse si allarg·ava approssimandosi alla soglia .cli Palazzo Chigi e qui s'arenava. Ma non ci furono soglie .inviolabili per la pubblica opinione, la quale percepì esattamente il qua- .dro di tutte le responsabilità, collegò cause ed effetti, considerò nella loro visione di insieme gli innumeri delitti del fascismo, percepì il baratro in cui la dittatura aveva precipitato il paese. E così; mentre il fascismo si riprendeva, ed alle prime ipocrite deplorazioni del delitto, faceva seguire il pubblico vilipendio dell'Assassinato; mentre alle invoc,azio- .ni alla pacificazione ed alla normalizzazione rinnovate dal Presidente del Consiglio in una serie di goffi ed insinceri discorsi al Senato (seduta del 24 giugno) ed alla maggioranza della Camera (25 giugno) seguivano le adunate fasciste di Bologna, di Napoli, di Palermo, di Milano che offrirono ai ras l'occasione di minacciare al paese una seconda ondata ed allo squadrismo l'occasione di insultare la memoria di Mattèotti; nel paese la rivolta morale .andò via via tramutandosi in· consapevole opposizione politica. Un altro degli elementi che hanno acuito lo spa- .:simo delle folle è l'occultazione del cadavere della Vittima. · L'Invisibile fu presente a tutti gli spiriti. Fu 'l'Ombra accusatrice del fascismo, fu l'Alfiere dell'antifascismo. Divorato dalle fiamme o sprofondato nel lago di Vico; trafugato in un cimitero o celato nel mistero di una grotta; Colui che non' aveva sepoltura aveva però un altare in tutti i cuori. La rozza croce tracciata da mano pietosa sul luogo dove Egli fu rapito, risplendeva delìa luce del martirio. Oggi i miseri resti di Giacomo Matteotti, sono composti nella tomba di famiglia. a Fratta Polesine, ara dell'Italia proletaria. A quella tomba noi andremo in muto pellegrinaggio il giorno della vittoria, per rendere il più _grande degli omaggi a Colui che morendo assunse _il simbolico valore del Capo materialmente assente, ma spiritualmente presente. / BibliotecaGino Bianco

•)') - .,_1-., - E d'essere un capo Giacomo Matteotti era degno in vita ed in morte. Non fu Matteotti un uomo popolare, nè nel suo Partito, nè fra le masse. Non era solo un aristocratico, era un intransigente. Un intransigente, si badi, non nel senso politico che ha comunemente questa parola, non dell'intransigenza di certi politicanti i quali, impotenti a qualsiasi azione, hanno inventato ·essere l'isolamento una virtù rivoluzionaria, ma intr,ansigente nei senso morale, incapace cioè di transigere con la propria coscienza e col proprio dovere. Poteva: essere quindi un compag;:10 di viaggio incomodo per molta gente che ama il quieto vivere, le calme digestioni e che pref ui~ sce alla lotta le chiacchiere solenni sull'immancabile viLLoria del socialismo. Avvenne così che Egli fosse per tutti i poltroni un agitato, per tutli i frasaioli un vile riformista. Era un magnifico temperamento di combattente e di realista. Nutrito di profon_di studi e di vaste conoscenze, destava l'accademia. Del marxismo aveva assorbito il metodo delì'indagine critica, il realismo storico ed il senso della gradualità delle trasformazioni politiche e sociali. La sua ironia sferzava senza pietà il facilonismo degli pseudorivoluzionari del tutto o niente. Della crisi e delle scissioni socialiste aveva molto sofferto. Egli era tutt'altro che entusiasta del suo stesso partito. Intuiva perfettamente quanto v'era di sup-erato, di statico, di peso morto nel vecchio· riformismo. Si può dire che il suo era un gradualismo integralista, nel quale l'accettazione delle esigenze immediate della lotta, non tornava a sacrifizio delle radiose visioni avveniristiche. Sognava l'un ifà. socialista, la voleva con tutte le sue energie, !'.affrettava coi suoi voti, annullando con uno sforzo di volontà le enormi difficoltà d'ordine nersonale e politico che la ostacolano. Si infastidiva con chi gli faceva presenti queste difficoltà. Non conèepiv.a altra possibilità di vincere il fascismo all'infuod della formazione di uri grande partito socialista capace di ridare fiducia e combattività alle masse e di guadagnare la neutralità dei ceti medi con un compromesso politico coi partiti democratici. Come egli si prospettasse gli sviluppi di questo piano BibliotecaGinoBianco

- 23 - politico non so. Ho sempre pensato che dovesse essere assolutamente estranea al suo spirito e al suo ingegno, la concezione del partito socialista come partito di governo in regime borghese-monarchico, e la concezione riformista del movimento proletario come una specie di dependencc della democrazia borghese. Non credo che il Quirinale fosse, non dirò la mèta, ma neppure una stazione di passaggio obbligatorio. Ma Giacomo Matteotti, nella più compiuta espressione della sua personalità, rivelatasi in pieno negli ultimi tempi, poco si imbarazzava di discussioni teo- . riche. Lo bruciava il bersaglio da colpire e intuiva che il grande compito di un partito di vera opposizione consisteva nel convogliar3 forze sufficienti p(:)r affrontare e vincere la battaglia ingaggiata. Non ammetteva compromessi di alcun genere col fascismo ed aveva reagito con estrema energia a,J tentativo, affiorato anche fra unitari," di contrapporre al selvaggio rassismo delle provincie fasciste, un eauivoco mussolinismo della capitale. Non aveva del capo clel governo nessuna stima nè morale, nè intelletLuale, nè politica e fu questa una delle ragioni della sùa forza e, forse, della sua tragica fine. Giacomo Matteotti era un figlio del popolo, per quanto la sua famiglia si fosse arricchita nell'ultimo cinquantennio al punto da lasciargli una sostanza considerevole, che gli apriva la via della ricchezza. Egli fu socialista fino da ragazzo come lo erano stati i suoi fratelli, che la propaganda di Costantino Lazzari aveva attratti al Partito. Nato a Fratta Polesine il 22 maggio del 1885, laureatosi in giurisprudenza all'Università di Bologna, aveva posLo ogni sua attività in servizio della causa del proletariato e sopratuLto dei contadini dei quali conosceva nrofondamente l'animo ed i bisog·ni. Processato e- condannato parecchie yolte (l'ultima volta nel 1916 per un discorso contro la guerra); sindaco del suo paese, poi presidente della deputazione provinciale di Rovigo; membro della direzione della Lega dei Comuni socialisti, deputato al Parlamento -ed infine segretario politico del Partito Socia.lista Unitario, aveva portato :nell'esercizio dei BibliotecaGino Bianco

- 24 - mandati ricevuti un senso scrupoloso del dovere, una solerzia esemplare, una grande coscienza, che lo faceva rifuggir-e da ogni improvvisazione e da ogni demagogia. ' Sono, tutte queste, delle qualità che g·eneralmente non vengono molto apprezzate dai politicanti, ma che dànno alla fama di un uomo una cerchia modesta ma delle basi solidissime. Chiunque aveva avvicinato Matteotti -e ne aveva scrutato il pensiero e l'anima, sapeva di essere di fronte ad uno di quegli uomini che ponderano le parole e gli atti, che procedono con metodo rigoroso alla indagine. dei fatti politici e sociali, ma che presa la loro via la percorrono fino in fondo, inflessibilmente. L'aspra via del socialismo - multiplo nei metodi, uno nel fine - Matteotti l'ha percorsa fino al Martirio. Ciò ha permesso a Turati di essere l'interprete della coscienza italiana, quando ha detto che la vittima sarà il giustiziere ed ha ricordato che i morti non pesano soltanto, ma sopravvivono. E tutti sentono - specialmente i nostri nemici - che Egli è il più vivo di tutti, trasfigurato nella gloria del Martirio che ne ha fatto il simbolo di tutte le violenze patite dal popolo italiano ed il simbolo di una riscossa ideale che prepara e prelude alla riscossa materiale. Questo morto - al quale fu a lungo contesa una tomba - domina la scena politica italiana. Invano il fascismo è ricorso ai tentativi più svariati per deviare il corso delle indagini e l'attenzione del pubhlico. Invano ha proclamato finito il caso Matteotti. Invano ha implorato e minacciato. Non c'è che una realtà concreta: il processo del delitto di Roma, che non è il processo ai sei o sette arrestati, ma. è il processo al regime. Anche nell'ultimo Con.siglio fascista l'on. Mussolini ha gridato: - « Noi non lasceremo processare il fascismo, il governo, la rivoluzione~ - cer: cando così di nascondere ai suoi occhi ed a quelh dei suoi fedeli la verità. E la verità è che il processato è lui, Benito Mussolini, il capo, il duce del fascismo, l'uomo nel cui nome da tre o quattro anni Biblioteca Gino Bianco·

- 25 - si flagella il proletariato, si calpesta la libertà, si ricaccia l'Italia nella buia notte del medioevo. In qualsiasi paese civile, di fronte alle schiaccianti responsabilità del regime, il gowirno sarebbe stato travolto. Il più elementare senso di dignità umana avrebbe imposto a Mussolini il dovere di dimettersi. Quand'anche egli fosse stato totalmente estraneo all'azione della « Ceka del Viminale»; quand'anche coi suoi discorsi, la sua apologia della violenza, il disprezzo degli avversari posti fuori legge con un frasario da Pelliross~, egli non avesse pre- . parato l'ambiente in cui doveva forzatamente maturare l'idea del delitto; per il solo fatto che nel delitto erano implicati alcuni fra i più .alti funzionari, il governo doveva dimettersi dimostrando cosi che esso poteva essere stato ingannato e tradito, ma non era complice e non temeva la luce. · Ma pare che questa sensibilità da galantuomini, sia totalmente ignota a Palazzo Chigi. Senonchè ben .altre erano e sono le responsabilità del governo e segnatamente del suo capo. Non solo egli ha la responsabilità di avere incuorate tutte le · violenze, offerto una giustificazione patriottica a tutti i delitti, giustificata la viltà di imprese brigantesche come le stragi di Torino e di Spezia; non ,solo egli ha tollerato che nelle più alte gerarchie del partito e della milizia stessero uomini cresciuti in fama esclusivamente per le loro imprese criminose; non solo egli ha preventivamente offerto ai delinquenti in camicia nera l'alibi del frn nazionale, .con la sç,andalosa amnistia del 1922; ma capo del governo e capo del fascismo, ministro dell'Interno oltre che Presidente del Consiglio, egli è direttamente responsabile di ciò che avveniva nel suo ufficio-stampa, covo della « Ceka ». L'istruttorià Matteotti è appena cominciata, niuno sa a quale punto si arresterà, ma se l'istruttoria ed il processo presumibilmente non andranno oltre le responsabilità finora accertate, è però una illusione credere che a quel punto sarà soffocato l'affare. · Il vero processo Matteotti si discuterà non in un'aula di Assisi, ma davanti all'Alta Corte di Giustizia quando vi' compariranno Mussolini ed i suoi BibliotecaGino Bianco

- 25 - ministri. Lo esige la giustizia, e le esigenze della giustizia sono imprescindibili. Lo esige l'onore della patria italiana, giacchè la patria è disonorata là dove la giustizia viene sacrificata alla tirannia. Vi sono stati nel corso dell'istruttoria due momenti drammatici: il caso Finzi, il caso Rossi. L'uno, sottosegretario al Ministero dell'Interno, l'altro, consigliere aulico di Palazzo Chigi, uomo di fiducia di Mussolini dalla tenda al palazzo, dimissionati il 14 giugno in -condizioni non peranco completamente chiarite. Per il Rossi segui a qualche giorno di distanza il mandato di cattura, poi, dopo una breve latitanza, l'arresto. L'uno e l'altro - Finzi e Rossi - dal giorno 14 furono due uomini finiti. Essi non avevano che da scegliere fra la posizione di accusati e quella di accusatori. Parve, in un primo momento, che l'on. Finzi assumesse la figura dell'accusatore. Egli aveva posto a Mussolini un dilemma perentorio: - o veniva riabilitato entro 48 ore o avrebbe parlato. E' curioso come questo giovane uomo politico, portato senza alcun meri t.o ai fastigi ed ai fastidi del potere, si illudesse di poter ottenere una riabilitazio~e la, quale cancellasse il fatto del suo allontanamento dal governo assieme al Rossi e nel momento della pubblica irritazione per il delitto Matteotti. Fatto si è che, contemporaneamente alla minaccia fatta a Mussolini, egli redigeva un memoriale accusatore e telegrafava al sindaco di Badia Polesine, dove vive 'la sua famiglia, annunciandogli il proposito di difendere l'onorabilità del suo nome ed anzi di assicurarsi con gravissime rivelazioni, la riconoscenza della nazion·e. Entro le quarantotto ore poste a Mussolini, nel resoconto del Consiglio dei Ministri comparivano alcune righe che potevano essere considerate come una parziale riabilitazione dell'ex sottosegretario. Vi si diceva che le ragioni del suo allontanamento dal governo erano del tutto estranee all'affare Matteotti. E' questo un punto sul quale non si sono avute le delucidazioni necessarie. Le ragioni dell'allontanamento dell'on. Finzi furono estranee all'affare Matteotti? E allora perchè egli fu allontanato proprio durante la fase più critica dell'affare Matteotti? Biblioteca Gino Bianco

- 27 - Fu un atLo di vilLà? Oppure la causa dell'allontanamento del giovane motociclista ed aviatore assunto, nell'improvvisazione fascista, al governo, era nel la sua attività affaristica? Lo si è detto. Ma non si possono tacere due considerazioni: qu·este accuse· erano di vecchia data. Da tBmpo si mormorava non solo sul conto del Finzi, per quanto fosse il più gravemente indiziato, ma sul conto di tutto l'entourage mussoliniano che, arrivato a Roma in stracci, sfoggiava un lusso da Nababbi. Da questo punto di vista quindi il siluramento veniva o troppo tardi o troppo presto. Poteva: restare il dubbio che la causa dell'allontamento del sottosegretario fosse da ricercarsi nell'indiretta responsabilità che gli proveniva dal fatto che il del i Lto era stato concertato al Viminate. Ma il giorno 17 l'on. Finzi faceva pubblicare dai giornali una lettera dalla quale risultavano due dati di fatto che non furono mai · smentiti: - I.a regolamentazione dei giochi d'azzardo, che aveva determinate le più gravi accuse di affarismo, era stata fatta personalmente da Mussolini e dal generale De Bono; - l'ufficio si,ampa di pendeva direttamente dal Presidente del Consiglio. Questa lettera era il preludio dell'attacco e lasciava chiaramente intendere la direzione dell'attacco medesimo. In quei primi giorni l'on. Finzi fu molto ciarliero e come temeva di essere soppresso. così molte furono le persone, anche dell'opposizione, che mise a parte dei casi suoi e del memoriale che aveva redatto. Di poi, dopo un colloquio tempestosissimo col «duce», egli mutò tattica, tentò anche generiche smentite del memoriale redatto e dei discorsi fatti. Per fortuna c'è da sperare che i testimoni delle sue rivelazioni non siano tutti morti e tutti legati all'omertà dei complici silenzi, per cui la veri là sarà interamente ricostruita. L'elemento sostanziale delle acèuse dell'on. Finzi consisteva in questo: egli asseriva che ìa « Ceka » era stata organizzata e pagata dal duce del Partito e dal Capo del Governo e che ad essa era stato affidato il compito delle « alte opere di giustizia in difesai del regime». Era quindi uno strumento del governo quello che d·ecise consapevolmente la soppressione dell'on. Matteotti, come aveva deciso in precedenza. BibliotecaGinoBianco

- 28 - le spedizioni punitive contro i deputati Misuri, Amendola, Forni, Mazzolani . E' evidente che se la deposizione dell'on .. Finzi può essere in proposito decisiva, essa non svela· niente che l'opinione pubblica non avesse esattamente intravisto. Diciamo di più: non svela niente che non risulti luminosamente dalla stessa istruttoria. Infatti l'ipotesi del delitto organizzato per vendetta Iìt'ivata o per venire in possesso di carte compromettenti certi ambienti finanziari, è miseramente naufragata. Il Messaggero, che da due mesi batte su questo tasto, non è stato in grado di apportare la minima prova·. Resta quindi la sola ipotesi del delitto politico ed allora, a provare che unica fu la direzione delle varie imprese criminose aventi affinità col delitto di Roma, basta il fatto che gli .autori sono gli stess'L Il Dumini, principale esecutore dell'assassinio di Matteotti, fu a Milano a organizzare l'aggressione contro il dissidente on. Cesare Forni ed è stato riconosciuto dall'on. Mazzolani · come autore dell'aggressione di cui egli fu vittima. L'on. Amendola, a sua volta, ha riconosciuto nel Volpi uno dei suoi aggressori e precisamente colui che lo colpì per il primo. Si arriva così a ricostruire la criminosa opera dell'associ.azione a delinquere che aveva nel Comm. Rossi il capo diretto e nel Viminale la sede. Manca, è vero, la prova· della complicità e della responsabilità diretta di Mussolini. Ma per escludere la sua responsabilità bisogna affacciare l'ipotesi intenibile che Rossi lo tradisse e che -egli fosse l'ltltimo degli imbecilli ignaro di ciò che .si tramava sotto i suoi occhi. - Ed eccoci al caso Rossi. E' naturalmente oiù complicato. Si tratta di un uomo che è a Regìna Coeli e che quindi è un pò difficile - per il momento - :Sapere esattamente come si difende. Ad ogni modo ci sono molte ragioni le quali inducono a, considerare come probabile il metodo difensivo che gli è attribuito. Esso consisterebbe, auanto .al delitto: nel so- :Stenere eh-e l'assassinio fu un eccesso, l'ordine essendo di sequestrare per alcuni giorni il deputato unitario al fine di impedirgli di parlare alla Camera .e di renderlo in tal guisa ridicolo ( !) ; quanto al mandato: egli invocherebbe la ragion di Stato, protestando Biblioteca Gino Bianco

- 29 - che nell'esercizio delle sue funzioni non fece elle eseguire ordini. < Non si muove foglia che Dio non voglia» sarebbe stata la conclusione della sua difesa. Una tale tesi difensiva rispecchia probabilmente, nella maniera la più esatta, i rapporti in-- tercorsi fra la « Ceka » e il governo, e fra, Rossi e· Mussolini. Se quindi Rossi non l'ha già adottata, è probabile che finirà per adottarla, non appena abbia la sensazione precisa che la potenza di Mussolini non lo preserva dall'ergastolo e che non è prudente riporre eccessiva fiducia in una secop.da ondata la. quale spalanchi le porte ai detenuti di Regina Coeli.. Che nelle alte sfere del fascismo si sia inquieti su quello che può dire, o che ha detto, il Rossi, è provato dal contegno della stampa ufficiosa e dal disgraziato intervento dell'on. Farinacci nella polemica. Il ras di Cremona occupa, nel fascismo, la posizione che alcuni dei più rumorosi estremisti e dei più solenni imbecilli occupano nel movimento so-· cialista. Ne è una edizione riveduta ed enormemente aggravata,. Egli ha, come tutti gli estremisti, una. galleria pronta ad applaudirlo, qualunque sia l'impresa in cui si imbarca. Però il gesto che ha compiuto - subito dopo un colloquio con Mussolini - offrendosi come difensore del Dumini e come accusatore del Rossi, era, di troppo superiore alla sua taglia e lo ha coperto di ridicolo. Quello che egli ha fatto vivere per quarant'otto ore, è stato un brutto, romanzo da appendice. Si trattava nientemeno di stabilire che Rossi aveva· tradito Mussolini, che il delitto Matteotti_ faceva parte di un diabolico piano concertato d'accordo con le opposizioni, per rovesciare Mussolini e mettere al suo posto Rossi. La favola - scema e grottesca - avrebbe fatto ridere tutta l'Italia, se di ridere fosse il tempo. A darle verosimiglianza il ras di Cremona asseriva di poter pro- . vare come il Rossi avesse avuto a Parigi contatti obliqui con Luigi Campolonghi - il giornalista che lasciò il Secolo quando l'ex giornale democratico fu< venduto al fascismo - e con Alceste De Ambris -· l'ex segretario di D'Annunzio -a Fiume che conduce a Parigi una vivace campagna contro il fascismo. Naturalmente fu smentito in pieno, come fu smentito· che nel periodo della latitanza il Rossi avesse rap-- Biblioteca Gino Bianco

-- 30 -- porli di alcun genere con rappresentanti dell'opposi- ·zione. L'inverosimiglianza del racconto farinacciano, fece sì che questo diversivo fosse rapidamente liquidato, ma è molto probabile che sotto forma più intelligente la favola del tradimento di Rossi torni in cir- -eolazione. Molto dipenderà dalla piega che prenderà il processo. Se la magistratura è riuscita a: spezzare il cerchio d-ei complici silenzi, diviene inevitabile tutta una serie di gravissime rivelazioni, le quali via via allargheranno il cerchio delle responsabilità. Allora quando Rossi per difendersi dovrà accusare, si griderà al tradimento. Ma fin d'ora la manovra è destinata a fallire. E' notoria la devozione di Cesare Rossi per Mussolini, devozione spinta fino al delitto, come sono noti il suo torbido fanatismo senza scrupoli, il suo odio per quanti resistevano a, Mussolini ancora più che al fascismo. Nessuno quindi crederà mai al suo tra'- dimento, ed anzi nell'accusa si vedrà l'atto di viltà di un uomo che pur di salvarsi ·non esita a sacrificare i suoi più devoti sostenitori. Prima che fascista, Rossi era: mussoliniano, presentarlo ora come un intrigante organizzatore di complotti per attraversare la via al suo, capo, è dopo tutto ridicolo, solo se si ricordi com'egli godesse piena ed intera la fiducia di questo capo, il quale ne aveva, fatto il suo braccio destro a 1 governo e nel partito. Di fronte alla viltà di questa manovra si è costretti ad apprezzare la difesa interessata di Carlo Bazzi, che del resto è la sola difesa possibile, come quella che si richiama .alla ragione di Stato - triste deità insanguinata - Bd i sedicenti diritti della rivoluzione. Se Rossi è colpevole - ha detto in sostanza il prof. Bazzi, che sa probabilmente quello che -si dice assai più di Farinacci - tutte le alte gerarchie fasciste, compreso il Gran Consiglio, sono responsabili. E' l'evidenza delle cose che pone il problema in qu-esti termini. Giunti a questa conclusione ecco che si trovano di fronte le due tesi fondamentali dal cui trionfo dipende il nostro avvenire di popolo e di nazione. Invocaao i fascisti i diritti àella rivoluzione; invoBibliotecaGinoBianco

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