parte il P.R.I. del C.L.N., il giornale non ebbe la prescritta autorizzazione. Alla fi ne del mese di giugno poté tu ttavia r iprendere normal men te le sue pubblicazioni. t<: una cronaca viva, accesa, piena di entusiasmo e di fede, quella che vide la lotta per la Repubblica iniziatasi fin dal per iodo clandestino e che trovò le sue giornate luminose nei mesi precedent i il 2 giugno. Bas terà sfogliare la collezione de " La voce repubblicana» di quell 'anno di passione: 1945-1946; leggere gli accesi scritti di Conti: Affrontare la controrivoluzione, Revisione per l'azione, Repubblica senza aggellivi; riandare ad uno dei suoi tan ti discorsi, oltre si in tende quello memorabi le del 31 ottobre 1944 al Teatro Brancaccio, nel quale s i impostava, in tutta la sua drammaticità ed urgenza, il problema ital iano. Giovanni Conti tornava tra i suoi contadini del Lazio, dell'Umbria, delle Marche, della Toscana a portare la sua chiara e convincente parola, ad informare l'opinione pubblica che la Repubblica non era poi quel " salto nel buio » che i ceti di dest ra e conservator i, nonché gl i ambient i monarchici, andavano dicendo nelle piazze, sui giornal i ad essi legati , per incutere perplessità, timori, dubbi nell 'elettorato, ritornato dopo vent'anni di dittatura ad esercitare un suo diritto civile e politico conquistato attraverso la dura lotta della Resistenza. Conti fu instancabile nella sua battaglia per la Repubblica, per le autonomie regionali e comunali. Arrivò perfino a fare dieci comizi in un solo giorno. Alla vigilia del voto, scriveva il 31 maggio 1946 sul periodico da lui diretto « La Costituente • : "La condanna della monarchia non deve der ivare soltanto dalla valutazione dei suoi atti c degli a t tegc giamenti del re e dei suoi : non soltanto dalla mancata fede ai giuramenti; non soltanto dalla procreazione della dittatura mussol in iana c non soltanto dalla inferna le opera poli~ica iniziata con la guerra africana e con l'orrenda impresa spagnola e conclusa con la guer ra mondiale e la rovina del Paese. La condanna non deve derivare neppure e soltanto 13
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