Quaderni di cultura repubblicana

del dissidio; e la forbita e abile mano dell'illustre diplomatico stringa quella vittoriosa del generale Garibaldi; io, in quella stretta di mano, veggo l'accordo della rivoluzione colla monarchia ». Queste parole son prese dal discorso pronunciato alla Camera il 9 ottobre 1860, un d iscorso che non piacque a Garibaldi, infastidito dal vedersi impegnare dal suo ex segretario in una s tretta di mano per lui non desiderabile, e fu egualmente criticato da molti amici di Bertani. La ragione per cui s i mostrò così conciliativo, non era riposta solo nell'onesta e pat riottica ansia di concordia, come d iremmo se stessimo facendo la sua apologia, ma anche in una sorta d i stanchezza, dopo i ripetuti scontri con aggue rr iti e numerosi avversari e in una condizione di sfiducia nella lotta politica. D EBOLEZZA E SINCERITÀ Il vero retroseena di questo atteggiamento conciliante, o perfino arrendevole, è in una lettera indir izzata a Crispi il 31 ottobre 1860, in cui egli s i mostra consapevole della debolezza delle posizioni dei rivoluzionari e del virtuale abbandono da parte di Garibaldi. In questo documento di sincerità e d'amicizia, la complessa personalità di Ber tani ci si rivela in un aspetto sconcertante, quando r ivela che aveva approntato un altro discorso, battagliero e rivoluzionario, ma poi - son sue parole - in quel parlamento, con quel pubblico, con tutta l'Italia settentrionale mossa contro di noi, con l'accusa di spingere alla guerra civile, con l'incertezza del modo con cui Garibaldi avrebbe sostenuto la sfida o la protesta, che avrebbe potuto emergere dal mio discorso, io mutai tattica. Ed aggiunge, sempre in quella lettera a Crispi, d i aver parlato in quel modo senza punto fidare nella condiscendenza di Cavour, senza credere nella reale possibilità di un accordo, ma solo per disimpegnarsi dalla difesa di una posizione divenuta insostenibile ed ingrata. Garibaldi si arrabbiò con Bertani perché era parso che 17

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