più vicino al positivismo a cui Arcangelo Ghisleri, come i giovani più avvertiti della sua epoca, si era convertito. Da ques te istanze di chiarezza, di concretezza, di logici tà Ghisleri derivò la sua idea, che soprattutto si dovesse ade~ire alla realtà italiana e quindi derivare una dottrina sociale dagli studiosi italiani, i quali - com'egli osservava - durante il '700 avevano fondato in Europa la scienza dell'economia politica, da Vico a Pagano a Genovesi a Beccaria, fino a Gioia e a Romagnosi. Ora, secondo Ghisleri, il principale difetto della teoria marxista (che egli soprattutto combatté), era che fosse non soltanto straniera all'Italia, ma anche molto manchevole, in quanto limitava al fattore economico tutta la realtà sociale: • Il più esiziale effetto di questa trascuranza [dello studio, cioè, di una sociologia italiana] fu d'aver fomentato e apoteizzato lo spirito di specializzazione e di analisi, distogliendo dalle vedute generali e dissociando ciò che in natura e nella società non è dissociabile; onde si vennero propagando, anche tra gli studiosi, le formulette unilaterali di dottrinari incompleti, inetti a comprendere i più intimi nessi della sociologia con la politica, del dato economico con le leggi psicologiche, delle idee con la realtà, della scienza con la forza viva delle tradizioni •. LE CLASSI E IL POPOLO Alla ricerca scientifica dello studioso repugnava ogni semplicismo, ogni teoria a priori, di cui vedeva la pochezza e il facile errore. Chi diceva che i repubblicani negassero la lotta di classe, la quale esiste dai tempi di Caino possidente e di Abele nullatenente, come aveva già osservato Cattaneo? • Basta guardarsi intorno per accorgersi che non v'è classe, ma diverse e parecchie classi e sottoclassi e che in 16
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