Quaderni di cultura repubblicana

struzione del Trattato di Rapallo, allorché, lanciatasi nell'avventura di una rapina coloniale, seguita come contropartita dall'alleanza con la Germania nazista, scardinò le fondamenta della sicurezza terrestre e della libertà marittima ad oriente, che Vittorio Veneto aveva assicurato all'Italia. Colajanni scomparve proprio in tempo per gioire del felice coronamento del suo <<interventismo>>, risparmiandosi l'angosciosa amarezza dello scempio di ogni idealismo pratico che nella giornata di Vittorio Veneto aveva colto i suoi più puri allori. Ogni trattato internazionale giusto ed equo è un contributo positivo alla pace, ogni trattato iniquo è una minaccia permanente alla pace. Bisogna pertanto rilevare che < l'interventismo rivoluzionario>> degli italiani, fra i quali la parte repubblicana dal 1914 al 1920 ebbe una attività di primo piano, non aveva voluto la guerra, non l'aveva spiritualmente preparata come le correnti nazionalistiche di ogni paese, Francia e Germania in prima linea, che teorizzavano sulla «guerra igiene del mondo>>, ma l'aveva soltanto accettata come fatto compiuto, perché la neutralità avrebbe rafforzato la posizione degli imperi aggressori e facilitato la loro vittoria, con la definitiva sepoltura di ogni ideale di libertà e di democrazia. L'intervento insomma era un atto di legittima difesa, e la vittoria delle potenze occidentali, in guerra con gli imperi centrali, avrebbe certamente risolto secondo giustizia ogni problema di nazionalità oppresse, come era il caso dell'Italia che reclamò la liberazione delle terre italiane rimaste ancora soggette all'Austria. Questi problemi avrebbero potuto essere risolti benissimo con la libertà, ma l'Austria aveva sempre rifiutato ogni tutela della nazionalità italiana, negando perfino la creazione di una università per gli italiani a Trieste {il Governo italiano ha oggi offerto una università tedesca a Bolzano per i cittadini allogeni) e perciò la libertà non ottenuta con la pace fu giuoco-forza strapparla con la guerra. Nel 1894 Colajanni non solo non pensava alla guerra, ma la deprecò anche come soluzione del principio di nazionalità. Ce lo dice lui stesso in una nota in calce all'ultimo capitolo dei suoi Latini e Anglosassoni: "Ricordo con legittimo orgoglio che ho preceduto Jaurès, affrontando l'impopolarità e i rimproveri di molti democratici, col combattere nella Caso

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