Osvaldo Gnocchi Viani - Abbecedario dell'economia sociale

ABBECEDARIO DELL'ECONOMSIAOCIALE DI OSVALDOGNOCCI-IVI IANI CON PREFAZIONE J>.; NOTA DI CARLO :MONTICELLI VENEZIA STAB. TIP. F. GARZI.\ & C. 1903 Biblioteca Gino Bianco

ABBECEDARIO DELL'ECONOMIASOCIALE Dl OSVALDOGNOCCIIIVIANI B ter-,a Giro B,a CO!\ PHEFAZJO:-:EE l\'"OT.\ DI CARLO MONTICELLI STAB. TlP. F. GARZI.\ &, C. 1903

Biblioteca Gino Bianco

OSVALDOGNOCCHVI IANI l'autor•edell'Abbecedario - l'opuscolo di cui mi sono voluto far editore anche per aver un1occa~ione di manifestare pubblicamente al caro e vecchio amico e compagno di lotta la mia stima ed il mio affetto - é uno dei più ill~stri socialisti viventi. La sua grande dottrina é sposata ad una grande bontà. Egli é uno spirito sereno, equanime, illuminat~ · lo cominciai a conoscerlo nel 1876 quando iniziai la mia vita di pr,,pagandista. Egli era allora redattore-capo della Plebe di Milano, di cui era direttore e proprietario un altro valoroso: Enrico Bignami. Ricordo le polemiche di quei tempi tra socialisti: tra i compagni di Milano e di Sicilia e quelli di Romagna. Da una parte Andrea Costa, Malatesta, Caflero, Matteucci, nel Afartello di Bologna - di cui il Costa era direttore; - dall'altra Gnocchi Viani, Bignami, Gandolfl, lngegnei·os e Benedetto Malon - venuto quest'ultimo in Italia dopo la Comune. B t- oteca Gmo 81an::o

-4Questione di tattica e di tendenze, come adesso, tra forti combattenti, tutti anime generose e leali. Unocchi Viani - anche nel fervore delle contese - sapeva essere elevato ed obbiettivo. E quando, dopo i fatti di Benevento, della parte < rivoluzionaria• gli uni furono carcerati e gli •Itri costretti a cercare uo rifugio all'estero, Gnocchi Viani - che pur aveva dissentito nel metodo - seppe t.rovare sulla Plebe - contro le violenze e le calunnie della stampa borghese - la parola della solidarietà e dell'affetto fraterno per i compagni esuli o prigionieri . ••• Gnocchi Viani è un ex mazziniano. Pur conservando gran venerazione per Giuseppe Mazzini, di cui fu collaboratore ed amico - egli passò al Socialismo nel 1873 dopo il suo ritorno dalla campagna di Digione. E questa sua conversione affermò negli scritti, pubnlicando prima le Tre internazionali, poi l'Internazionale e la Comune di Parigi e quindi subendo coraggiosamente alcuni mesi di carcere iu Roma, dove aveva fondato una Seziono dell'Internazionale e dove redigeva un giornaletto socialista, nel quale segnava alla classe lavoratrice la nuova via. Da Roma - uscito di carcere - si recò a Milano. Ivi il suo nome è legato alla storia di tutto il movi• mento socialista. Le sue nuove e numerose pubblicazioni furono tutte oper" di propaganda efficacissima. La penna e la parola egli diede alla. classe lavoratrice. Le Camere del lavoro sono considerate come figliuole sue. Gnoccbi Viani avrebbe potuto essere il primo dei deputati di Milano. Non volle. Ma. a Milano tutti simpatizzano per lui. Egli non ha. nemici!

-- 5 - Nel 1898, quando Bava Beccaris si rese celebre nelle tristi e dolorose giorno te, Gnocchi Viani era a letto ammalato. La malattia lo salvò dalla prigione. Bava Beccaris però, non potendo togliergli la libertà, gli tolse il pane, sopprimendo l'Amministrazione della Societa umanitaria di cui egli era il segretario. * *. Ma dopo il taglio delle messi, venne la nuova fioritura socialista, e Gnocchi Viani riebbe il suo posto. A lui in questo giorno del 1. Maggio vadano i saluti dei socialisti italiani e non ultimo il mio. C. Monticelli. B I te ;a Giro B1nn ·J

B1btioteca Gino Bfanco·

ABBECEDARIDOELL'ECONOMSIAOCIALE DI OSVALDO GNOCCHI VIANI I. - Si dice: La scienza non è cosa del popolo. Non la capisce; non la vuole. Che volete che sappia di Economia sociale 7 - Certamente non ci capirebbe se volessimo presentargli l'Economia Sociale· in tutta la sua complessività e larghezza. Ma non può non ca• pire allorquando gli si presentino le cose elementari e fondamentali di questa scienza, I' abbici della Economia Sociale. Cominciamo. Quali sono i fenomeni, dai quali sorge la Economia Sociale, e che, 'in pari tempo, la Economia Sociale studia per renderli sempre più utili all'uomo, alla Società? Prima di rispondere, stabiliamo bene il significato scientifico della parola fenomeno. La parola fenomeno, volgarmente, è un fatto straordinario, stravagante e talora anche moB1bl >tecaGil"o Bianco

-8struoso. Scientificamente, invece, è un fatto qualunque, che si presta ad essere studiato e dal quale si possono cavare insegnamenti. È in quest'ultimo senso che lo intende la Economia Sociale. I fenomeni che l'Economia Sociale studia sono, innanzi tutto, questi: la natura produce, .spontaneamente, delle cose, dei beni, di cui l'uomo può servi,·si, e l'uomo infatti se ne serve: - l'uomo crea cogli elementi che la natura gli dà dei mezzi, degli strumenti per produrre nuove cose, nuovi beni; - questi beni . circolano distribuendosi, in qualche modo fra i membri della società; - questi beni, infine, si scambiano fra gli uomini. Questi sono i fenomeni fondamentali della Economia Sociale. Al di fuori di questi ci sono altri fenomeni, ma non appartengono alla Economia Sociale, appartengono ad altt·e scienze. I fenomeni, che appa,·tengono alla Economia Sociale $i chiamano fenomeni economici. Ora vediamo distintamente la parte che ha l'uomo in mezzo a questi fenomeni economici. La parte, che ha I' uomo in mezzo a questi fenomeni, ha due faccia; la faccia attiva e la faccia passiva. È una distinzione ammessa da scienziati e che può essere accettata. ,Accettiamola pure. B tEc•: i Giro B1an ;o

-9L'uomo è attivo quando spiega e svolge le sue facoltà produttivE), le sue capacità creative, ed è passivo quando non fa che consumare e soddisfare i p,·op,·i bisogni. Per ciò, i due cardini fondamentali dell'uomo, nella vita economica e nella Economia Sociale, sono le sue capacità o facoltà e i suoi bi~vgni. Le sue capacità si riducono al lavoro, lavoro intellettuale, cerebrale, ne,·voso, e lavoro materiale e muscolare. Tutto ciò, poi che dove servire a soddisfare i bisogui del I' uomo, si distingue col nome complessivo di ricchezze e capituli. Una cosa è • ricche:;:;a • quando serve alla soddisfazione di nostri bisogni. È • capitale • quando serve al nost,·o lavoro p,·oduttivo. Qui si capisce subito che, nella scienza, la parola ricche:;:;a ha un significato, che non è quello che ad essa suole da,·e il volgo; la stessa cosa abbiamo visto che avviene allorchè si usa la parola fenomeno. Ce,·tamen,e, questo disaccorJo p,·o<luce degli inconvenienti, degli equivoci, ma è lecito sperare che colla istruzione diffusa e con studi pi,1 precisi, questi inconvenienti, questi equivoci, andranno scomparendo. Intanto sarà una buona cosa, ogni qualvolta si fa una discussione, definire bene i termini: specifica,·e che cosa s' intenda dire con questa o con quella parola. Quante ciarle inutili e astiose, talvolta, si eviterebbero se si usasse questa precauzione! B bh te i Giro 81ar >

- 10 - Dunque - per tornare al!' argomento - in Economia Sociale, per ricchezza si intende la somma di quegli oggetti che servono alla soddisfazione dei nostri bisogni. E per conseguenza, pooertà sarebbe lo stato di coloro, che non hanno ricchezza sufficiente alla soddisfazione dei lor-o bisogni come uomini. II. Abbiamo detto che i capitali sono i mezzi necessari al lavoro, sono le cose che servono al nostro lavoro produttivo. Tutto ciò quindi, che è capitale non è un male, ma è un bene. Può essere un male il modo di appropriazione del capitale, l'uso che rlel capitale si fa, ma il capitale in sè stesso, è semp,·e un bene. Perciò il grido che talora si ode di guerra al capitale I abbasso il capitale I è un madornale spropositll. È come dir·e, per esempio, guerra ai mezzi o strumenti da lavoro I abbasso la terra I Se si distruggessero tutti i mezzi del lavoro, se tutti gli strumenti del lavoro si annullas sero - come si potrebbe lavorare 1 Provate, ad immaginarvi una società nulla quale non ci fosse ombra di lavoro umano. Non sarebbe nemmeno una società, Peggio ancora poi, se si volesse e si potesse B I ote ;a Giro Bianco

- 11 - far scomparire la terra, cioè, il capitale massimo. Come si potrebbe vivere 1 li grido, dunque, di guerra at capitale, è un grido insensato, è un grido condannato dalla scienza. Chi lo emette o è accecato dalla collera, o è accecato dalla ignoranza; non fa un atto, nè di uomo serio, nè di uomo giudizioso. Un uomo serio e giudizioso, osserva, invece, e riflette, E, oss~rvando e riflettendo, si accorge che bisogna fare una distinzione: distinguere, cioè, come l'abbiamo già detto, il capitate in sè stesso, dal modo in cui esso si esercita e funziona. Il capitate, come capitale, è sempre la stessa cosa; ma i modi suoi d' azione possono essere a sono in fatti varii. È in questa varietà di modi che ci può essere tanto il Lene quanto il male. E se un modo può essere cattivo, un altro modo può essere buono. Dato un modo cattivo - che nel caso nostro si chiame,·ebbe ingiusto ed inumano - si capirebbe allora, anche scientificamente il grid•> di guerra a quel dato modo ingiusto, il grido di abbasso quel dato modo inumano, perché vorrebbe dire questo: il capitale, invece di ese,·citarsi e di funzionare in questo modo deve esercitarsi e funzionare in quest' altro. Co~i volendo e cosi dicendo, si vorrebbe non una cosa impossibile, si direbbe non uno sproposito, ma si vorrebbe una cosa realizzabile e si direbbe una verità scientifica.

-- 12.- Messo un po' più in chiaro il capitale come fenomeno sociale e come idea scientifica, mettiamo ora un po' più in chiaro, pure come fenomeno sociale e come idea scientifica, il lavoro. Abbiamo visto che I' uomo, sotto l'aspetto economico, è attivo quando spiega e svolge le sue facoltà produttive, le sue capacità creative. È attivo, cioè, come lavoratore. E come. lavo1·atore è sempre una capacità umana. Lavorando, egli non fa che S[liega,·e una facoltà una potenza, annessa e connessa alla sua persona. Come si potrebbe concepire questa facoltà, questa potenza, staccata dalla persona 1 Non è possibile. La capacità di lavorare, si identifica quindi alla stessa persona; è, colla pe,-sona una sola ed identica cosa. Il lavoro in atto è la persona in azione, e ogni volta che io sarò chiamato a prendere in considerazione questo lavo1·0, non potrò scompagr.arlo dalla persona che lo compie. E quel qualunque concetto o giudizio, che io mi fa,·ò del lavoro, si rifletterà necessariamente sul1' uomo che lo compie, appunto perché lavoro e uomo sono inseparabili. Data questa inseparabilità, ne viene per conseguenza - se non voglio nega1'e la natura e offendere la logica - che per farmi un concetto vero e un giudizio esatto del lavoro, devo prendere come base la persona umana, e da

- 13 - questa base non staccarmi mai, pe,·chè, se mi stacco, perdo la bussola direttiva e nauf,•ago contro gli scogli degli errori, che poi uella società si convertono in immoralità. Ora, prendendo come base di giudizio la personalità umana, il lavoro non può essere adoperato se non come una facoltà delt' uomo, una capacità personate, non mai - lo si no1i bene e lo si tenga ben fe1·mo nella men te - non mai come una merce, altrimenti sarete necessariamente costretti a considerare merce anche l'uomo che lavora, perché - come abbiamo visto - non è possibile fare dell' uomo e della sua forza di lavoro due cose separate. La Economia Sociale è la scienza che combatte questo errore in nome della verità, e, in pari tempo, della umanità. E tanto è ci6 vero che, oggi, precisamente perché - per un malaugurato errore - si considera il taooro come una merce, v-,ngono considerati come merce, e non come ur,mini, milioni e milioni di lavoratori. Conchiudo questo s11coodo capitolo con queste due verità scientifiche e umane: Il capitate deve essere uno stromento di giustizia economica. La forza o capacità di lavoro non deve essere considerata una merce, ma una facoltà umana.

- 14 - III. Dato l'uomo - quale è il suo primo istinto 1 È quello di vivere, star bene, conservarsi, avere insomma il benessere. E benessere che vuol dire! Non vuol forse dire soddisfazione dei bisogni umani! li primo bisogno del!' uomo - che è pure il suo istinto -o è dunque quello di star bene, cioè, di vivere seco11do le esigenze della natura umana. E soddisfare i bisogni che vuol dire in Economia Sociale 1 Vuol dire: consumare cose utili. Per conseguenza, il principale fenomeno, che deve presenta,·si allo studio della Economia Sociale è quello del consumo, perché la Economia Sociale ha come scopo essenziale quello di servire ali' uomo - non a pochi uomini, ma a tutti gli uomini, alla società in generale - e meglio non si serve ali' uomo in generale che appagando i suoi bisogni col consumo delle cose consumabili. È un errore il dare più importanza - come si fa (lggi anèo..a - alla produzione in confronto del consumo: l'anteporre cioè alla preoccupazione del consumo quella èella produzione. Tanto è vero che questo è un errore che, anche senza che l'uomo produca, l'uomo può consumare ; può consumare le ricchezze B1bl>tecaG1PoBianco

- lo - naturali, quei beni cioè della natura, non prodotti dal lavoro umano. come, per esempio, frutta, pesci, selvaggina, ecc. Sotto un certo aspetto si può anzi dire che la produzione \mana non è una necessità mentre invece è assolutamente necessario, il consumare, senza di ·che l'uomo non vive. Consumare, in Economia Sociale, vuol dire vivere. j produrre vuol dire vivere meglio. SI, l' uom può vivere senza produrre. Sarà un vivere ni schino, ma sarà sempre vivere. La produzion fatta dati' uomo è solo necessaria per poter vivere meglio, per poter vivere in una soci tà civile. È vero che in una società civile i due fenomeni - quello del consumo e dell11 produzione - si intluenzano a vicenda, ma resta sempre il fatto che il consumo, per la sua speciale origiue naturale, ha una importanza di primo grado, che ragionevolmente lo indica come il motore del meccanismo economico della società. Se il preoccur arsi più della produzione che del consumo poteva essere ammissibile in un tempo passato, oggi non lo deve essere più appunto perchè codesta preoccupazione è diventata un errore collo svolgersi dell'umanità. Poteva essere ammisssibile quando i bisogni degli uomini erano più limitati che adesso. Per appagare quei limitati bisogni, per soddisfare il consumo d' allora, poteva bastare la produzione naturale e la mar,ufatta di quei po- (31b ote ;;,i Gir>o Bianco

-16 - ,,eri tempi, bastava produrre quel che si prodticeva senza preoccuparsi d'altro. Ma ciò non si capisce più quando i bisogni umani, di molto accresciuti coll'aumento della popolazione e collo sviluppo della civiltà trovano una produzione che più ad essi non corrisponde e più non li appaga. La produzione va distinta sotto due aspetti; sotto 1·aspetto cioè del modo o sistem1di produrre e so!to l'aspetto della quantità ei .prodotti che essa dà. Orbene: quando la produzione, sia pe modo, sia per· la quantità, più non corrispo de alla progredita civiltà e alla popolazione piti numerosa, bisogna che venga regolata diversàmen!e. E questo è proprio il caso del nostro t~mpo. Come regolarla diversamente! Daquale punto partire! li punto di partenza e la regola noi li troviamo guardando direttamente allo scopo a cui deve realmente servire la produzione, perchè essa è un me,:;:;o, non un .fine. Ln scopo suo è di far consumare agli uomini secondo i propri bisogni. Dunque, il criterio regolatore della produzione, quando essa diventa un disordine e crea· disordine; il criterio che la deve mettere in carreggiata, quando essa è fuori di strada, è quello del consumo. Se essa sbaglia, deve venire corretta dai bisogni dei consumatori; e siccome sono consumatot·i tutti gli uomini, co~i deve essere corretta dai bisogni di tutti gli uomini. 81 teca Gino 81an :o

-17 - Ed è precisamente oggi ancora, che la produzione si compie senza una regola veramente sociale, cioè, senza badare se, quancto e come i consumatori abbiano bisogno dei prodotti. - Spessissimo si produce dove e quando non occorre, oppure come non occorre, per la ragione che non si guarda a chi dovrebbe consumare, ma si ha solo in mira l'utile del propl'ietal'io e degli stromenti o mezzi di produzione. È la produzione, oggi che impera e detta leggi nel campo economico ; è dessa che pesa enormemente su tutti gli altri fenomeni economici e impedisce che operino come dovrebbe operare. La scienza che studia e giustifica questo fatto è la Economia Politica; la scienza invece che studia e cura, innanzi tutto, i bisogni dei consumatori e fa del consumo il perno intorno al quale devono girare e svolgersi tutti gli altri fenomeni economici è la Economia Sociale. Per ciò, l'ordine naturale e scienti5co dei due fondamentali fenomeni economici è questo: - Consumazione delle ricchezze (che comprende quello della loro distribuzione) e produzione delle ricchezze. Ho insistito su questa speciale distinzione dei due fondamentali fenomeni economici, perchè dalla importanza maggiore che si dà all'un fenomeno piuttosto che ali' altro, de,•ivano due diversis;imi ordinamenti economici della società.

-18 - .Vogliamo avere come mira principale la produzione 1 Dobbiamo pensare semp,·e e solo ad essa 1 E noi ·avremo il più delle volte, o produzione mancante, o produzione superflua, cioè, o insufficiente impiego di fo,·ze, o inutile dispersione di forze. Avremo invece di mira il consumo 1 Sarà esso il nostro indicatore 1 Allora, col far agire le forze economiche come il consumo suggerisce, col non isciuparle, queste forze in esercizi socialmente non necessari, non si avrà più una produzione, ora eccessiva, ora scarsissima, qua che ingrassa, là che impoverisce, ma una produzione normai mente regolata, che si distribuisce su tut.ti gli uomini con criteri di equità proporzionale. IV. La produzione - abbiamo detto net nostro capitolo III - va distinta sotto molti aspetti, ma innanzi tutto sotto questi due: l' aspetto del modo e sistema di produrre e l'aspetto della quantità dei prodotti che essa dà. Occupiamoci del primo aspetto: modo e sistema di produrre. Si sottintende che qui si parla della produzione economica umana; della produzione, a cui contribuisce l'agente uomo; non della produzione extra-umana, nella quale non concorre, nè l' azi,rne, né la reazione del!' uomo. In quest'ultima .specie di produzione l'uomo B bhote-:aG1ro B1,m ,o

-19 - non esercita alcuna sua facoltà operativa, è una produzione spontanea della natura, estranea ali' uomo e che l}Onha che un modo solo e indiscutibile di effettuarsi. La pianta, per esempio, lasciata a sè stessa produce i frutti con un metodo sempre eguale. I pesci, gli upcelli, lasciati a sè stessi, non hanno che una sola maniera per moltiplicarsi. E gli uni e gli altri si p1·Odur1·ebbero anche se I' uomo non esistesse. Data invece I' esistenza dell'uomo colle sue qualità attive, colle sue facoltà operanti, coi suoi bisogni progressil•i, avremo, nella sua sfera economica d'azione, modi o sistemi di produzione varii, succedentisi, progre<lienti. E in questa sua sfera economica d' azione, i prodotti naturali extra-umani diventeranno altrettante materie prime, modificabili dall' uomo stesso e utilizzabili da esso in guise sempre migliori. Per ottenere intanto una produzione umana sono indispensabili questi tre elementi fondamentali: 1. L'uomo, agente lavorante e modificatore. 2. Una materia prima, cosa da modificarsi. 3. Me:;si o strumenti di lavoro, per poter agire e reagire sulle materie prime. Se questi tre elementi si tenessero continuamente divisi, senza mai alcun contatto o relazione fra loro non si avrebbe mai un risultato economico, qualsiasi. Avvicinat~li invece, combinateli, e avrete un immancabile risultato 81bliote-::aGmo B1an<X>

-20 - economico, una produzione umana vale a dire una materia modificata, una nuova utilità conquistata, un aumento nei valori d' uso. L'avvicinamento di _questi tre elementi, le loro combinazioni possono avvenire in parecchi modi, e molto di1•ersi l'uno dall'altro, ed è da qui che derivano i sistemi varii di produzione. li modo più semplice, che ne deriva, è che l'individuo uomo - indipendentemente da ogni altro uomo qualsiasi - abbia sotto mano una mate,·ia prima e in mano un suo stromento di lavoro per modificare quella materia e darle un nuovo valore ct· uso. Questo è il sistema individuale di produzione. Ma v· ha anche un modo meno semplice di questo, ed è quello che si effettua mediante il concorso di più individui e che perciò si chiama sistema collettivo di produzione, il quale poi, alla sua volta, si sottodistingue in due grandi categorie : la pic,:ola industria e la grande industria. La piccola industria, alla sua volta, si distingue cosi: a\ Lavoro famigliare. La famiglia in questo caso, doè sotto J· aspetto economico, non è che una unione di lavoratori, un o,·ganismo famigliare di produzione. b) Lavoro di corpora::ioni. La qual cosa suppone associa1.ioni d' arti e mestieri, intente a produrre cose della loro arte e del 101·0 mestiere.

- 21 - La seconda categoria, come abbiamo detto del sistema collettivo di produzione è la grande industria, cioè, la grande produzione eseguita con grossi accumulamenti di capitali e con grandi masse di lavoratori. Tutti questi tre modi collettivi di produzione - il lavoro famigliare, il lavoro corporativo e la grande industria possono svolgersi in maniere diverse. Una maniera è quella che risulta dal lavoro a schiavi, un· altra è quella del h,voro a servi, una terza è quella del lavoro salariato, una quarta è quella del lavoro sociale tibero. Perciò si può avere la produzione a famiglie col patriarca e cogli schiavi, la produzione col feudatario e coi servi, la produzione corporativa a base di privilegi esclusivi per determinate categorie di lavoranti, e la grande produzione a base di capitalisti e di salariati. Ma si può anche avere la produzione famigliare, la produzioue corporativa e la grande industria, coordinate su! fondamento del principio della cooperazione sociale, ispirata dalla solidarietà umana, in guisa da non esse1·ci più che produttori consociati, affratellati. Ora, quale è il metodo di produr.ione che più risponde allo scopo della produzione stessa! Intanto, quale è lo scopo della produzione! Lù scopo della produzione è produrre bene e produrre motto. Se produce mate e produce poco, lasc_ierànecessariamente insoddisfatti molti Bb Olt ~ G1r.oB1ar ::o

I I - 22 - bisogni d'uomini, e quelli soddisfatti lo saranno, in fondo, malamente. Ora per• produrre bene bisogna che il lavor!).tore si senta libero, rispettato, non sfruttato. Questa condizione la pnò avere, cortamente, il produttore indioiduale, libero dispositore della materia p1·ima e dei suoi mezzi o strumenti di lavoro, ma esso non adempie che a metà dello scopo della produzione, imperocchè, se può produrre bene, non può produrre molto. Il lavoro individuale, isolato, è sempre una povera cosa, non è mai un' opera vera men te sociale. Per produrre molto e bene è necessario un layoro collettivo, combinato con una libertà civile, libertà che è migliore d'assai di quella del lavoratore isolato, perchè, essendo essa sociale, è anche più umana. Il metodo, dunque, di pl'Oduzione che meglio risponde allo scopo della produzione stessa è quel metodo collettivo che è fondato sul principio genuino della cooperazione, ispirata dalla solidarietà umana, in guisa da non r·endere possibili che pro,:iutto,·i consociati, affr•atellati. È questo il sistema di produzione, che costituisce uno dei fini che si propone la moderna economia sociale. Ed è facile scoprire, dal fin qui detto, che la questione della produzione racchiude 'necessariamente quella della proprietà, imperocchè ad ogni organismo di1; B t: _otc~ 1 G1Po 81ctnc:o

'-23 - verso di produzione corrisponde sempre una forma speciale diversa di proprietà delle materie prime e dei mezzi o struruenti di lavoro. V. Abbiamo detto che la produzione si distingue sotto due aspetti, cioè, sotto l'aspetto del modo di produrre e sotto l'aspetto della quantità dei prodotti. Del modo di produzione dicemmo già, ora dobbiamo dire della produzione sotto il riguardo della quantità. E innanzi tutto, quattro domande. È utile e buono produrre quel che viene a caso, sia esso poco o molto? O è utile e buono produrre a seconda di certi criteri regolatori 1 E in questo secondo caso, quali criteri meglio convengono? E a chi devono meglio convenire questi criteri per essere giustamente utili e vera• mente buoni? A questi punti interrogativi bisogna rispondere, se si vuole risolvere il quesito circa la quantità. Prima domanda, Produrre a caso? Il caso, appunto perchè è caso, non può essere una base direttiva, Può però, venendo adottato - in mancanza d'altro come se fosse 81 h >le ,;,i C,1r o 81.i :o

-24 - un criterio regolatore, può, diciamo, far scoprir.i per caso il criter·io vero il giusto pl'incipio direttivo. Tentando e provando a cai,o tanti e svar'iati criterii per produrre, si può benissimo imbattersi in quello che va bene, in quello che dà i miglior·i risultati. E allora questo lo si afferra, lo si ,·itiene, lo si adatta come principio rego1atore, e si agisce poi a seconda di esso. In questo caso - curiosa ripetizione di parole - il caso non si presenta veramente come un cr•iter·io direttivo pe,' misu,·a,·e la quantità di pr·oduzione conveniente, ma non è che un metodo di ricerca per trovare il criter·io vero e decisivo. È un metodo pl'imitivo di gente igno,·ante, é,il metodo che dottl'inariamente si chiama empirico; non è scientifico; è perciò da scar·tarsi quando c· è la scienza, la quale ci possa dare con più sicu,•ezza e con più sveltezza un criterio direttivo. Dunque, quando si 1>uò,non mettiamoci nelle mani incerte e pig,·e del caso, ma arfidiamoci al ragionamento, alla scienza. E il ragiona• mento, oggi prevalente, dice: Giacché si tratta di produrre e di sape,·e quanto si debba pro durre, occorre aver sempre presente il produttore e non perderlo mai di vista. (Siccome si su1>pone che ,·agioni un sostenitore de11·at.tuale 01·dinamento economico, cosi per produttore qui bisogna intender·e it padrone dei me::;::;dii produ::;ione, sia esso un individuo Q una priBiti tr G1r o Bra

-'- 2..5.- vata compagnia). li produttore regolerà la pro• duzione secondo la convenienza; lo stimolo che lo farà agire sarà il proprio tornaconto, il quale, essendo costante, darà anche una produzione costante. La quantità quindi della produzione avrà come criterio direttivo l'utile del 'produttore, il quale produrrà a seconda della sua conl'enienza che è il solo suo incoraggiamento. E così ogni produttore si porrà in gara cogli altri produttori per avvant>1ggiarsi sui suoi competitori il più che sia possibile, e la gara diventerà, alla sua volta, un nuovo stimolo a produrre. Questo è ciò che si chiama la concorrenza. Ma cotesto ragionamento non è il solo possibile cbe si possa fare nella materia, di cui 01·a ci occupiamo. Ce n' è un altro che si può fare, ed è questo: Sta bene tener couto del produttore, ma non come se esso fosse fine a sè stesso. Esso deve agire per un fine che non è esclusivamente la sua personalità. La stessa produzione non può essere fine a sè medesima; è un mezzo. Lo scopo quindi del produttore e della produzione deve essere ali' infuori dello stesso produttore e della stessa produzione. E quale deve essere 1 li consumo. Il consumo non è soltanto un fine costante come lo può essere l'interesse del produttore, ma è un fine mi• gliore. Perciò, anche assecondando i bisogni dei consumatori, la produzione s11rà costante. Il quantitativo di essa dovrebbe quindi. essere B1blOIE' ,:l Giro B1an :0

-26 - regolato dalle richieste del consumo. È al mondo dei consumatori che bisogna tener fisso I' occhio per farlo prosperare; e sarà più prospero quanto più sarà soddisfatto, quanto più numerosi, cioè, saranno i suoi appagati bisogni economici. Per sapere quanto si debba produrre è sufficiente dunque il criterio direttivo, desunto dalle domande dei consumato,·i, le quali sono naturalmente uno stimolo costante, che è di molto migliore dello stimolo della concorrenza fra i produttori. Conosciuti i bisogni, si produca a seconda di essi. Ecco tutto. I criteri per regolare la produzione sono, in conclusione, due : 1. 0 Il criterio dell'interesse dei produttori concorrenti ; 2.0 il criterio dei bisogni dei consumatori. Quale dei due é quello che meglio convenga 1 Per rispondere occorre far precedere un'altra domanda: Meglio convenga a chi 1 Il 1.0 criterio (quello dell'interesse dei produttori concorrenti) meglio conviene - é evidente - ai produttori, perché mira al maggior vantaggio che si può cavare dalla vendita delle merci e delle derrate. Il 2.0 criterio (quello dei bisogni dei consumatori) magli.:>conviene ai consumatori, perché mira al maggiore e miglior uso delle merci e delle de1·rate. Dei due crileri, il preferibile dovrebbe esser

- 27 - quello che al maggior numero d'uomini conviene. Sarà dunque il 2.0 , perché tutti siamo consumatori compresi i produttori. Il 1.0 criterio privilegia invece necessariamente una classe, i produttori, perché si sa che non tutti gli uomini sono e possono essere produttori nel senso economico della parola, mentre - nel senso economico della parola - tutti siamo consumatori. 112.0 criterio poi é anclrn scientificamente più sicuro perché si basa sur un dato fisso, accertabile colle statistiche, quale é quello dei bisogni del consumo. Il 1.0 invece é quasi sempre in balia del caso, derivante dalla concorrenza azzardosa fra produttori e produttori, che fa fondamento sul tornaconto personale d'ogni singolo produttore, ma non su quello del pubblico generale. La concorrenza indovina giusto 1 È un caso. Generalmente non indovina affatto e allora il corso delle cose economiche si arresta e si hanno le crisi, assurde, ma reali, di consumo insufficiente e sovrabbondanza di prodotti. Il 1.0 critel'io é dalla nuova Economia Sociale condannato a morte. Essa si fa propugnatrice invece del 2.0 , perché ha una base scientifica sicura, perché indica che si deve produrre sempre e solo quanto abbisogna effettivamente per tutti. In tal modo, impossibili consumi mancanti e gli ingorghi di prodotti.

' B,':l1,otecaGmo G,arc;.o

NOTA L' Abbecedario dell' Economia sociale - i cui cinque capitoli furono già pubblicati nella rivista del Socialismo popolare da me diretta - non è completo. L' autore intendeva dargli - e si capisce - maggiore svolgimento. Ma anche cosi com'è, esso dà una sintesi chiarissima di ciò che è l' Economia politica e di ciò che sarebbe l' Economia sociale. L'economia politica corrisponde al regime borghese, che ha come base la proprietà privata della terra e di ogni altro mezzo di pro- . duzione. L'economia sociale dovrebbe essere - e sarà certamente - la risultante dei rapporti che si stabiliranno fra gli uomini in una organizzazione sociale che avrà per base la proprietà collettiva. In questa nuova societi\ il lavoro sarà regolato dal consumo. B bl,ote l G,rooB ,O

La statistica del consumo darà le norme per la produzione. Oggi lo scambio dei prodotti - come il lavoro - è fatto non nel!' interesse di chi lavora ma di chi fa lavorare. Il lavoro non è igienico, lo scambio è disordinato, il consumo non è normale, Eccessivo il lavoro per molti, non esiste per altri. Eccessivo il consumo per i ricchi, è inadeguato per la povera gente. E tutto ciò, solamente, perché le di(J"erenze economiche creano gli antagonismi individuali e collettivi. Orbene, quando i produttori rnranno gli stessi consumatori associati nel lavoro e nello scambio dei prodotti, il consumatore non avrà più alcun motivo di conflitto col prodnttore; gli uomini saranno una sola grande famiglia di liberi e di eguali ; e allora la Economia sociale avrà la sua pratica applicazione. •** La ,-Società umana può essere paragonata al corpo di un individuo. Gli uomini nella società sono come le cellule rispetto al corpo umano. I bisogni degli uomini devono essere tutti scientificamente soddisfatti e ogni uomo nella , società deve avere la sua parte di benessere materiale e morale. Btll t ~a Giro B

- 31 - E il benessere materiale e morale sarà tanto maggiore quanto più ci avvicineremo a quel- !' ideale per cui i produttori, fraternamente associati, mireranno ad ottenere col minimo sforzo la massima utilità. Dicia!!!o e benessere materiale e morale > giacché non basta assicurare il pane ali' uomo. L'uomo di solo pane non vive. Ma è necessario che abbia anche il me1.zodi educarsi, d'istruirsi, di elevarsi, e di gode1•e intellettualmente. L' Economia sociale suppone gli uomini associati nel lavoro che dà un prodotto la cui parte migliore non va a beneficio di chi nulla fa, ma che tutto si distribuisce equamente fra i produttori a seconda o dei loro sforzi singoli o dei loro bisogni. Non più, dunque sfruttamento dell'uomo sull' uomo ; non più antagonismo d'interessi, non più tirannia politica e servaggio economico - sia pure sotto la forma del moderno salariato - non più monopolii di proprietà e privilegi d'istruzione. Ma un ordinamento libero, civile, altruistico, fondato sulla eguaglianza economica e sulla giustizia sociale. CarloMonticelli

Biblioteca Gino Bianco

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