Giacomo Debenedetti - Otto ebrei

chi l'abbia in qualche modo provocato, e in,nessun caso è tale da turbare l'ordine del mondo o a.a minare le basi della società). Sentirsi ebrei sarà un sentir rinascere, dal fondo - nelle ore di p~ù geloso raccoglimento, ore quasi inconfessabili tanto sono intime - di vecchie cantilene sinagogali, udite I ai tempi dell'infanzia nella pigra monotonia di grevi crepuscoli, in una luce di ceri stanchi che tremavano sulla berretta 'del cantore, sol,o, in piedi, laggiù sul tabernacolo deserto: e su quelle cantilene l'anima si inflette in errabonde ricerche del ·- tempo perduto: desolati a tu per tu con squallori senza tempo, bruciori di lacrime mal rasciugate, tremolar di sorrisi senza scampo, un abbracciarsi con le ombre dei limbi, -struggenti agnizioni di avi mai conosciuti, e un segreto di inenarrabili malinconie, e il crollare indefesso contro invisibili muri del pianto. Ah, il pensiero non va più sull'ali dorate, più non si posa s'ui clivi e sui colli. Lungo i fiumi di Babilonia, pel cammino dei salici, l'eterno errante troverà forse una sua via, e un antico passo e un gesto ancestrale, per calarsi nella regione delle Madri, per andare a ,interrogare liJ « bocca d'ombra ». E in ciò si veda pure un'equazione personale tra l'uomo e la Natura, tra l'uomo e Dio: non mai un'equazione personale tra l'uomo e la società, tra l'uomo e la storia contemp9ranea. E d'altronde non erano queste le cose, che potesi sero venire ascritte a colpa 'degli ebrei. E gli ebrei continuavano )Il domandarsi quella colpa quale fosse, e <love. 24 Biblioteca Gino Bianco

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