Volontà - anno XIX- n.8-9 - agosto-settembre 1966

giudice di pace diede le sue dimissioni e il pedagogo fu costrctlo a chiudere le sue scuole. E tultavia vi erano molte cose da apprendere da quella esperienza unica. Uno scrittore tedesco di quell'epoca raccontò che, avvicinandosi alla scuola di làsnaia Poliana, si trovò di fronte a una piramide di cor_ pi umani che scolari pazzi di gioia si sforzavano di ricoprire di neve. Al suo avvicinarsi i monelli che la formavano ruzzolavano e, dal di soL to, scuotendosi apparve Tolstoi. Era il maestro che giocava coi suoi a– lunni. <do amavo la scuola, io amavo anche Leone Nicolaevitsch)), scris– se nei suoi Ricordi uno degli alunni provenienti da una poverissima famiglia di contadini. « Era come se noi già Jo conoscessimo eia lun– go tempo, come se noi fossimo suoi figli. Ed egli ci ricambiava ugual– mente. La scuola non era che una comunità, una comunità senza om– bra di costrizioni, unita dal solo legame dell'amore)) ( 1). «Al villaggio tutti si alzano molto presto - scriveva Tolstoi nel suo giornale dell'epoca-; dalla scuola è da tempo che si scorgono le piccole finestre illuminate. Ed ecco nella foschia, sotto la pioggia, o sotto i raggi obliqui del sole autunnale, apparire le piccole figure per due, per tre o isolate ... Non solo non portano niente in mano, ma non portano niente neppure nelle loro piccole teste. Non hanno nes– suna lezione da imparare. Nessuno li obbliga a ricordare ciò che han– no fatto il giorno prima. Essi non portano che le loro persone, la lo– ro natura avida di sapere e la certezza che oggi saranno felici come ieri. Essi non pensano alla lezione prima che incominci)). Non esisto– no rimproveri per i ritardatari. E ... non vi sono mai ritardatari. So– lamcnLe, forse, i prhnogeniti che a volte sono trattenuti dai genitori per un lavoro urgente. E allora, è correndo che essi giungono a scuo– la tutti affannati. L'istitutore arriva, e al centro della classe i ragazzi gridano, ma quelli che hanno aperto i loro libri li richiamano: «Finitela, non si ca– pisce niente!)) E sono ascoltati. Sì, la scuola di Tolstoi non somigliava per niente agli stabilimen– ti di tortura dove soffocavo durante la mia infanzia. A 16 anni, pieno di ammirazione, trattenevo il respiro leggendo gli articoli pedagogici del maestro. Gli scolari andavano a scuola e la lasciavano quando volevano. Non esistevano nè punizioni nè disciplina. Erano gli stessi ragaz– zi che obbligavano i compagni turbolenti ad ascoltare la lezione, e ad osservare il silenzio. I ragazzi andavano a scuola per loro desiderio e perchè era sempre interessante. (\/ V. S, Morosow, • Souvenir d'un élèvc dc Jasnaia Poliana ~. 1917. Mosca. 500

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