Volontà - anno XIX- n.1 - gennaio 1966

In materia di vilipendio: Huseruole I l diritto e il dovere della critica, dai quali una società che pretende di essere civile non può certo prescin– dere, e che sono sacri all'uomo, incon– trano nel mondo in cui viviamo, ad o– gni pi(- sospinto, un impedimento nella legislazione vigente, che s'ingegna in tutti i modi ad imbavagliare la parola e la coscienza. Ne è esempio patente ia legge sul vilipendio della religione: ({chiunque vilipende pubblicamente 1a religione dello Siato è punito con la re– clusione fino ad un anno» (C.P. 402), alla quale fa riscontro quella sul vilipendio della nazione: -<Chiunque pubblicamen– te vilipende la Reµubblica, le Assem– blee legislative, o una di queste, ovvero il Governo, o la Carta Costituzionale, o l'Ordine giudiziario è punito con la re– clusione da sei mesi a tre anni» (C.P. 290). Naturalmente che cosa si debba in– tendere con la parola «vilipendere» è assai difficile a chiarire Se si vuole, con questa indicare l'uso di parole gros– solane, di epiteti volgari, di ingiurie violente, si potrebbe osservare che tale prest1nta colpa, dipendente dalla buona educazione o meno della persona in causa, offende il galateo, non la giusti– zia. All'infuori di questo che cosa signi– fica la parola «vilipendio»? Una critica rigorosa può esser considerata tale? Giacchè è evidente che, se si tirano le somme, qualsiasi critica, anche se pri– va di ogni aggettivo oltraggioso, può sempre costituire una grave condanna nel riguardo dell'istituzione a cui è ri– volta, o delle persone che vi apparten- 4 gono, o che ne adempiono le funzioni. In tal caso si cade nel reato di «vilipen– dio»? Molto pilt chiaro l'articolo 115 C.P. 1889, il quale stabiliva che il vilipendio consistesse solo in un atto materiale «togliere, distruggere, sfregiare», e non in una espressione puramente verbale. Da notare, a questo proposito. lo scon– fortante regresso giuridico. Tnve.ro il vilipendio compiuto sola– mente con parole si riconnette alla paura del nome vigente nelle età arcai– che più superstiziose. «Il nome fa parte integrante dell'individuo di cui social– mente riconosce e legittima ]'esistenza da p.1rte della famiglia, del gntppo, al momento della nascita, quindi cono– scerlo od evocarlo significa aver in pro– prio possesso la persona che lo porta. Perciò il nome di Roma era tenuto ce– lato dal collegio dei Pontefici». (Grande Diz. Enciclopedico). Concetto magico, in virtlt del quale si tenevano gelosa– mente nascosti i nomi degli dei, dal quale dipende il comandamento del De– calogo altrimenti inesplicabile: «non nominare il nome di Dio invano», come l'itbitudine di indicare la divinità con vari eufemismi quali l'Onnipotente, il Signore, l'Altissimo, ecc. Ma le supersti– zioni si debellano solo in superfice, mentre continuano a perpetuarsi nella coscienza delle genti, con il costante timore che il pronunziare il nome di un personaggio che si crede importante o di una istituzione alla quale apparten– gono personaggi che si credono im– portanti, accompagnandolo da un epi-

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