Volontà - anno XVIII - n.6 - giugno 1965

mi riferisco solo alla parola di coloro che sono in buona fede. Se, ad esempio, dico: « Socrate, Dio. gene, ecco degli uomini » e, se parlan– do delle ultime porcate di Poincaré _o di Clemenceau esclamo: « Ecco qual– cosa di ben umano », riepilogo due se– rie di esperienze differenti, servendo– mi delle parole uomo e umano in due sensi eh~ non hanno affatto alcuna ras. somiglianza fra loro. I termini generali hanno dunque sen. so, p:!r noi, soltanto a condizione dl riassumere una serie di esperienze che è diversa in ciascuno di noi e che, an– che nello stesso uomo, è diversa a se– conda del momento: v1 sono momenti in cui tali esperienze dominano il mio pensiero, e ve ne sono altri in cui cor– rono verso altri incontri. Vi sono mo– menti in cui, quando dico uomo, il mio pensiero corre verso i miei grandi ami_ ci della storia, Socrate, Diogene, Epi– curo, Epitteto, Gesù, Spinoza; e ve ne sono altri in cui pronuncio la stessa parola come se vomitassi cd in cui ri– penso a qualcuna delle bestie a pane con le quali mi sono scontrato oggi. Così, non posso definire, nemmeno per me. La definizione, dicono i logici, deve essere adeguata; deve applicarsi esattamente al definito e unicamente al definito. Non mi è possibile trovare una definizione adeguata, sia pure solo per me; mi è impossibile trovare una definizione che dica esattamente che cosa penso quando pronuncio la parola « uomo ». A più forte ragione mi è im– possibile trovare una definizione ade– guata per gli altri. D'altra parte, i dommatici comincia– no sempre le loro esposizioni con delle definizioni; su queste definizioni, che presumono adeguate o che ci chiedono di accettare, essi poggiano discussioni 1>recise e dimostrazioni che ritengono esatte. E' invece pnidenle non dc(inire mai all'inizio di un'esposizione, anche per dimostrare che non si è avuta l'inge– nuità di credere o la malafede di pre- 1endere che abbiamo dimostrato qual– che cosa. Ma da dove viene questa abitudine di definire e di poggiare su definizioni dei ragionamenti che si credono dimo. $trazioni? Essa viene dal fatto che, quando si formò la prima scienza, essa si basò su delle definizioni e su delle definizioni adeguate, e le dimostrazioni che si appoggiano su di esse risultano esatte. Parlo della scienza matematica. Che cos'è che conferisce un tale pri– vilegio alla scienza matematica, alla dimostrazione matematica, alla defini– zione matematica? E' ben semplice! Allorchè tento di definire l'uomo, l'in– dividualismo, o qualunque altra cosa concrel3, io cerco di racchiudere in una formula una serie di esperien;i;:!. In matematica, invece, non tento nien. te di simile. In matematica, non si t.-alla di esperienze. Allorquando definisco la linea per la mancanza di lunghezza e di spessore, o allorchè ddinisco la superficie per la mancanza di spessore, so che, in realtà, sopprimere completamente una delle tre dimensioni, significa soppri– mere anche le altre due e, naturalmen_ te, sopprimere l'oggetto. Una superficie infatti che in realtà non avesse alcuno spessore, non esisterebbe: sparirebbe. Allorchè definisco la circonferenza u– na linea i cui punti sono ad eguale distanza da un punto interno chiamato centro, come or ora ho definito il nul– la per la mancanza di estensione e che nulla può esistere senza .estensione, so bene che la mia definizione non cor- 355

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