Volontà - anno XVII - n.7 - luglio 1964

L'ARANCIO SICILIANO NON E'PIU' D'OR "L 'AGRU~ICOLTURA è in crisi. Una crisi che è andata negli anni vieppiù aggra– vandosi per assumere ora un carattere dl drammaticità dovuto ad un'improv– visa stasi del mercato dopo le alterne vicende degli anni precedenti ». Queste parole scritte no,i dal sottoscritto ma dal presidente dell'E.R.A.S., senatore Cuzari, dimostrano l'importanza di un esame, spregiudicato e libero da legami, di una situazione ben più grave di conseguenze che la stessa crisi zolfi/era. Gli agrumi siciliani, restati più o meno una curiosità dal tempo dell'occupazione araba, divengono un importante elemento de/fa produzione agricola dalla fine del secolo scorso in poi. Dal 1938 al 1953 si assisle ad w1 lento ma costante progresso sia della superficie che della produzione (ad eccezione della coltura del cedro diminuita nel frattempo quasi della metà). Nel 1953, anno che può essere considerato come culminante, la produzione totale superò i 7.200.000qaintali, così ripartita nelle varietà: arancio (21.500 ettari specializzati e 4.000 promiscui): 3.600.000q.li ; mandarino (4.500 » 8.700 ): 800.()(J (J q.li; lim011e (23.000 » 6.000 ): 2.800.000q.li; cedro (125 ): 7.000 f/.li. Un decennio dopo, anche se si può parlare di una raccolta annua pari a 8.5()().000 di quintali e di un reddito lordo di 53 miliardi (un quarto del reddito agricolo isola– no), la crisi è generale: « In fatto di agrumicoltura vi è oggi in Italia una carenza politica e tecnica spaventosa che si estende dalla sperimentazione all'impianto ed alla coltivazione degli agrumeti, dalla lotta antiparassitaria agli accorgimenti per l'irrigazione, dai costi alti alla deficienza qualitativa e quantitativa della produzione» (come scrive una rivista meridionalista di orientazione centrista). Cosi, mentre il consumo di agrumi e, uaturalmente soprattutto, di aranci è in aumento in tutta Europa, la concorrenza della Spagna, d'Israele, dell'Africa del Sud, del Brasile e perfino degli Stati Uniti e dell'Africa del Nord, sta facendo perdere agli agrumi italiani quasi ttitti i mercati (nel 1962 l'esportazione di agrumi non ha supe– rato i 4.426 quintali), con il conseguente crollo dei prezzi alla produzione (28 lire nel 1962). Per riparare alla crisi, i ,wmerosi comitati e co11vegni di studio l1an,zo sempre messo l'accento sull'esportazione; nessuno si è mai davvero dato la pena di calco– lare che se gli italiani mangiassero, durante i tre mesi invernali, un arancio un giorno si ed t111 giorno no, la produzione, anche senza creare - come si è proposto - delle industrie per la produzione di succhi e canditi, non basterebbe neppure per il con– sumo nazionale? Non si parlerà mai abbastanza - ad illustrazione di una vergognosa sottovendita, conseguenza degli alti prezzi e forse un po' ancl1e di una scarsa educazione dietetica degli italiani - del triste fatto che (ed è i vrof. Frontali della Clinica Pediatrica del- 401

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