Volontà - anno XVII - n.6 - giugno 1964

care e convincere in breve tempo tutto l'interno dell'animo umano. D'allro canto l'analfabetismo e l'ignoran. za in genere sono fattori che contribuisco. no solo parzialmente al mantenimento del• ,e religioni, poichè un'elevata cultura ne– cessariamente non libera dalla religiosità. E' vero che molte persone, consapevolmen. te o inconsci.imcntc, ritengono I.i religio– ne unu specie di difesa per la propria classe sociale, più che una sinceru convin. zione deJ proprio seniimento; ma non si può ritenere una regola generale. Esisto– no atei anche tra gli analfabeti, come esi– stono credenti convinti anche tra i più i\. luminati scienziati. Inoltre bisogna aggìun. ge1·eche Ja fisica moderna ha dimostrato che la materia non è più qualcosa di «bas– so» o di vile com'era concepita un tempo. Il suo ultimo substrato è invece di una tenuità e di una imponderabilità menl\'i– gliose, a petto delle quali lo stesso «spiri– to» della Scolastica medioevale diventa qualcosa di grossolano. Ed anche questo, in certo qual modo, aiuta la religione; e alla scienza, quando non ha anche funzioni politiche, in fondo importa poco se ciò può aiutare o meno il cammino della religione. E' certo - e d'altronde è naturale - che alla scienza interessa soprattutto l'in. venzione o la scoperta e non la particolare religiosità dello scienziato. Se, ad esempio, la vittoria definitiva sulla tremenda ma• Jattia del cancro, sarà opera di uno scien• ziato religioso o ateo, per il benessere dell'umanità varrà senza dubbio la scoper. ta per sè stessa. Questa è una verità, ma è pure un fatto e,,identc che la religione, pur essendo costretta, di buona o di ma– lavoglia, a seguire i tempi nelle 101·0inno– vazioni di metodo, di costume, di mezzi e di crtiica, trova tuttavia basi di sostegno abbastanza efficienti. La stessa persecu· zione, che subisce in alcuni paesi, forse le è pili fa"orevolc che nociva. Il pericolo più consistente che le religioni ,·eramente temono, è I'• indifferenza» verso il fattore religioso in genere e ,•erso le gerarchie. E' vero che tale indifferenza non rappre– senta qualcosa di dech.ivo contro di esse, ma può sempre rappresentare un terreno di partenza per un nuovo ocol'ientarncnto,. del pensiero. Se Galileo e Urbano VI11 potessero ri– tornare al mondo, entrambi proverebbero contentezza e delusione nello stesso tem– po. Poichè il vero progresso non consiste solo nella quantità delle meraviglie rag. giunte, ma pure, anzi possiamo dire so– prattutto, nell'effettivo orientamento intel. lettuale, morale e sociale che tali meravi– glie sono riuscite ad infondere nella gara ormai secolare delle conquiste scientifiche. Sia Galileo, come Urbano VIIT, ben pre– sto si convincerebbero che ~nche, sulla soglia dell'anno duemila, scienza e re!igio.. ne si guardano ancora in faccia, entrambe vittoriose cd entrambe sconfitte. Metodi e costumi sono cambiati: quello che non è mutato è il •pathos» col quale, quasi ine– luttabilmente, I'«uomo massa» ha sempre interpretato la storia e il significato della vita. n fatto che la scienza non potrà mai scoprire lo «scopo» o il ocperchè»dell'uni. verso lascerà sempre libero un isolotto ove 1'a religione potrà sempre rifugiarsi. Però possiamo sempre chiederci se è sen– sato e necessario attribuire fini o scopi al. la totalità dell'universo: concetti che in fondo sono del tutto relativi al nostro mondo umano. Ma anche se esistesse un fine universale, naturalmente non sarebbe comprensibile per la mentalità umana, e d'altra parte non giustificherebbe nessun dominio psichico sugli individui. L."l paventata catostrofc della religione 341

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