Volontà - anno XVI- n.12 - dicembre 1963

me) attivi in pacifici progetti di sviluppo sono attualmente cinquemila - ame• ricani, belgi, tedeschi, olandesi, cecoslovacchi, francesi, norvegesi, inglesi, danesi, svedesi, ecc. - e il loro comportamento, sul lavoro e nei rapporti con la popo– lazione, spesso non rivela quelle differenze d'impostazione, ideale e pratica, che gli enti organizzatori vorrebbero di lontano imporre: mentre dove è mancato lo aiuto diretto quotidiano, personale, indirizzato a un progetto preciso da realiz– zarsi insieme agli indigeni e onestamente d'accordo con loro, l'isolamento, la indifferenza, lo scoraggiamento, e l'insuccesso sono presto intervenuti. Tale è stato, ad esempio, il caso del centro per la non-violenza, istituito a Dar es Salam all'inzio del 1962 da europei ed americani, gente invasata dallo spirito missionario di insegnare la non-violenza agli africani, senza un obiettivo concre– to da realizzare, senza sufficiente umiltà; sicchè anche l'unico progetto del grup-– po, una marcia della pace attraverso il Tanganika e la Rodesia Settentrionale, sino a Lusaka, è stato abbandonato prima di cominciare, per la totale indiffe– renza degli indigeni. Anzi un africano fece loro osservare, con logica ingenua: « ma perchè questi centri per la non-violenza non cominciate a farveli in Eu– ropa, dove c'è più bisogno che da noi; presso di voi, che avete esportato la vostra violenza in casa nostra?». Sulla situazione africana le relazioni più importanti sono state tre: di un commerciante londinese, che conosce il continente dal Cairo a Città del Capo; di un insegnante francese, organizza1orc di campi del Servizio Civile Interna– zionale nel Nord-Africa quindi residente nel Senegal; di un togolese, anarchico, non-violento, primitivamente cristiano. Eccone i temi essenziali: Nonostante le rapine e le distruzioni, fisiche e sociali, effettuate dagli euro– pei, lo spirito di comunità su piccola scala è ancora molto forte ed è proprio compito dei volontari della pace rafforzarlo, aumentando la sovranità, l'auto– nomia, l'integrità e la vitalità del villaggio africano. 11principio economico deve essere quello di migliorare il tenore di vita degli abitanti sulla base delle ri– sorse e in armonia con la natura circostante, di fabbricare e consumare pro– dolti locali, non solo provenienti dall'agricoltura e dall'allevamento (17); di ri– durre a un livello ragionevole il grado di dipendenza da remoti centri di rifor– nimento e di governo, nazionali e non; di evitare che gli aiuti d'oltremare ser– vano a ricreare, in Africa, gli squilibri, i contrasti e le ingiustizie presenti nei paesi industrializzati, specie del mondo occidentale; ad accrescere, cOme sta già accadendo, la distanza fra zone depresse e paesi industrializzati ( 18). Creare un centro di sviluppo ha sinora significato, in Africa, togliere da al– cune regioni risorse, specie umane, che vivevano autonome e integrate nell'am- (17) Ad esempio la cap1a,.ione dei gas di putrefazione dai pozzi neri (o da qualsiasi specie di vcgeta;o;ione marcescente), la loro depurazione e il loro impiego, ad uw riscalòiunento, illumina– zione, cucina. La scoperta, dovuta a un medico missionario in Africa, è utilfazata in numerosi cen• tri comunitari delrlndia e - p('r ora in un sol caso - anche per produrre energia eleurica. (18) Nel 1962 il prodotto nazionale medio lordo è stato pari a 160 rlollari pro capite al mese nei pae~i nell'OCSE (Europa occidentale più ~ordamecica). a 11 dollari nei paesi sottosviluppati dell'Asia, dell"Africa e dell'America L&tina. Nel 1970, perdu;:ando il ~istcma politico-economico-socia– le di oggi, i due valori !saranno, rispeltivamente, 211 e 3: con una distan1.a. quindi, di 17 anzi. eh~ di 15 \'Olte. 686

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