Volontà - anno XVI - n.11 - novembre 1963

Il coraggio dei fatti J L TITOLO di queste brevi note mi viene suggerito da Giuseppe Marotta che, in un suo libro, così si esprime: «Dobbiamo ritrovare il coraggio del fatti o finire come ogni altra splendi– da superfluità•. E incomincerò subito col dire che, volendo trattare di filo– sofia politica (e si dica pure pubblica o civile), non avrò certamente la pre– tl.!sa di risoh•ere interamente vecchi problemi o di porne altri interamente nuovi. Se così fosse avrei l'ingenuità di non riconoscere i miei limiti e non affermerei, come affermo, che tutto è provvisorio sotto il sole: e in tutti e due i casi sarei ben lontano dalla fon– damentale esigenza della filosofia po– litica, che tale è proprio perchè scar– ta di proposito, nella trattazione dei problemi, ogni tematica d'ordine me– tafisico, considerata elusiva ai fini del– l'esame dei fatti umani, i quali sono 1'oggelto della filosofia politica. Limitando la nostra indagine ai fat– ti umani, con il necessario coraggio, e con quelle forze che ci vengono dalla nostra ragione, dobbiamo altrcsì assu– merci il preciso inderogabile impegno di usare sempre un linguaggio chiaro, con termini concreti, che renda ac– cessibile a tutti .:il discorso• che, pro– prio perchl! è un discorso, non può non essere chiaro e comprensibile al maggior numero di persone. L'oscurità del linguaggio è causa ed effetto dello stato d'abbandono in cui attualmente si trovano gli studi filosofici in gene– rale, fuori delle accademie che, pro– prio per la stessa ragione, sono più che ;nai fiorenti. Un valente avvocato, scomparso da qualche anno, mi con- 642 fessava al termine della sua gloriosa carriera, che aveva sempre evitato lo studio della filosofia, respinto, sin dall'inizio, dall'oscurità del linguaggio. Certamente il suo dire non mi meravi– gliava; ma mi sembrava deprechevole il folto che un uomo aperto e di gran– de sensibilità dovesse mancare di quel vitale nutrimento che è la filosofia so– lo perchè gli erano mancate le prime posi1ive esperienze che avrebbero do– sofia è comune patrimonio degli uo– vuto fargli comprendere che la filo– mini e che ogni uomo civile è di per sè filosofo. Si può dire a maggior ra– gione della filosofia politica che, pri– ma che le altre scienze particolari ma– turassero, nel processo di formazione della realtà, essa ha spiegato l'uomo a se stesso, rendendone possibile il progresso, dalla sua primitiva posizio– ne di «uomo selvaggio:. a quella che oggi è la sua posizione di • uomo colto». Una chiara e precisa affermazione qui mi sembra opportuna, e che va considerata come premessa di ogni di– scorso. Gli uomini, malgrado le invo– luzioni, i cedimenti, le soste, hanno pur sempre progredito, attraverso i millenni. E nella loro evoluzione il progresso non si è mai potuto conside• rare come acquisito una volta per sempre: gli uomini sono sempre con– dizionati individualmente dall'opera formativa che i gruppi prestano in lo– ro favore (educazione) da una genera– zione all'altra. Se un bambino, nei pri– mi mesi di vita, è abbandonato dal gruppo in cui vive, è necessariamente respinto a quelle forme di vita bestia-

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