Volontà - anno XVI - n.8-9 - agosto-settembre 1963

Otto scritti di Camillo Berneri La parola e il Barocco* La tl.:!1Tibilittlnell'eloquenza era, nel '600, analoga alla dramrnalicìtà, tutta turgore di muscoli e contrazione di volti, della scultura. Era il finto tuono e il lampo di magnesio dietro le scene. Chè l'eloquenza er<1 retorica, mimica e pantomimica. Era l'eloquenza dell'antagonista del Savonarola, Mariano da Gen– nazzano. Il Poliziano, scrivendo di questi ad un amko, gli diceva: « Ecco egli incomincia a parlare, io son tutto orecchi alla canora voce, alle parole elette, alle grandi sentenze. Discerno poi gli incisi, riconosco i pedodi, son dominato dall'armoniosa cadenza ». L'eloquenza del Mariano è l'eloquenza degli oratori del '600. La puerile e fredda smania di artifici la domina. Il tono enfatico simula la commozione, ma le parentesi di ritrattazione, le velature di reticenze, i calcolati scoppi di e– sclamazione e il non meno calcolato incalzare affannoso di domande rivela il gioco retorico. La simmetria dei pensieri e delle parole, l'insistente ed ordinato sviluppo delle metafore, rivela il lungo studio, l'accurata preparazione. Prepa– razione che scendeva al raccogliticcio di artifici oratori forniti da appositi li– bri, come le lezioni Delle tribolazioni e suoi rimedi dell'Aresi. Il famoso Orchi, che mandò in delirio i suoi zelanti ascoltatori di Milano, dà al suo parlare metaforico lo sviluppo del dettaglio tanto da concretare l'im– magine. La confessione penitenziale diventa una lavandaia, la quale « nudata il gomito, succinta il fianco, prende il panno sudicio, ginocchione si mette presso di una fiumara, curva si piega su di una pietra pendente. insciuppa il panno nell'acqua, lo stropiccia coi pugni, con le palme lo batte!, lo sciaqua, Io aggira, lo avvolge, lo scuote, lo aggrappa, lo torce; indi postalo entro un secchione, poi al fervore del fuoco in un caldaro, fatto nell'acqua con le ceneri forti un mordente liscio, bollente glielo cola di sopra ... » e continua la descrizione, finchè la lavandaia, « candido più che prima e delicato ne cava il pannolino»: JI Giunglaris dice, in una sua predica, che se la Divina Giustizia non ca– stigasse i perversi « si direbbe che ha le mani di stoppa, gli occhi di panno che la tien per i furbi» che molti, tenendola « per un pezzo di stucco» per riveren– ze le diedero calci; che essa non può « starsene incantata con le mani alla cintola» mentre viene « tirata per i capelli». Questo antropomorfismo iperbolico non stupisce in un periodo in cui gli elementi pagani si mescolano con quelli moderni in tutte le forme letterarie. E' di quel secolo il poema sulla « Casa lauretana» di Vincenzo Nolfi che ha un capitolo di carattere mitologico, del quale Teti è protagonista. In quel secolo ('") Da Consdentla, 30 gennaio 1926, anno V, n. 5. 515

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