Volontà - anno XVI - n.6- giugno 1963

siderata in se! sarebbe più che insufficiente. Oltre a quanto ci unisce, esiste quanto ci divide e ci distanzia: il che non può essere neppure minimizzato. E– sistono pregiudizi di casta e di educazione più o meno irriducibili; esiste il problema della giustizia sociale e quello degli interessi generali di tutti gli uo– mini che non giungono a soluzione con le sole simpatie unilaterali. L'uomo, inoltre, deve far onore a tulle le proprie convinzionì e non sempli– cemente ad una parte di esse. Il pacifista convinto deve avere altre convinzioni oltre a quella della semplice opposizione agli effetti del militarismo. La guerra e lo stesso militarismo obbediscono a cause mollo complesse, giacchè sono l'effetto delle esistenti crudeli contraddizioni, dei bastardi interessi, della esi– stenza di classi non solidali ma antagonistiche. Non può combattersi l'effetto senza sopprimere le cause che lo generano. Di fronte a queste realtà fondamen– tali, sincronizzate con l'interessante opera di cercare e saldare tra gli uomini, quanto, anche se poco, li unisce, non v'è che da volgere gli sforzi verso altri terreni di azione più essenziali pen.::hè intimamente connessi col nocciolo del problema. Le persone dotate di specifiche convinzioni che sono mobilitate nella cro– ciata del pacifismo eterogeneo, debbono militare nel terreno specifico delle lo– ro idee, nelle organizzazioni che incarnano questi ideali e nei movimenti po– polari, che intendono materializzare in azione feconda il proposito di porre termine alla serie delle guerre, attaccando al cuore il sistema attuale delle cose. E' questa l'unica forma di porre fine alle mere elucubrazioni ed ai movi– menti artificiosi tramutati in mito, da quello del messaggio a quello del mani– festo, a quello non meno pomposo, che si proclama scientifico manifestando i suoi propositi di pace con musica marzitlle e fabbricazione di cannoni. Che si abbia la capacità, con le nostre azioni pili che per le nostre parole, di strappare la bianca bandiera della pace, o il drappc rosso della rivoluzione, dalle mani sacrileghe. Questi trofei debbono andare al popolo che è quello che soffre le conseguenze della guerra, e che ne è degno depositario; il che signifi– ca che è urgente porre termine all'attuale situazione, nella quale tutti i problemi sono affidati nelle mani di sfruttatori e di temporeggiatori che non hanno al– cun interesse o desiderio di risolverli. Non facciamo della pace un semplice problema sentimentale. I richiami al– la comprensione, i voti umanitaristici, le statistiche orripilanti, le liste nere de– gli immolati ed i presagi apocalittici, più che intenerire i consapevoli destina– tari, spaventano, deprimono e scor.'.'lggiano le future vittime. JOSE' PEIRATS 371

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