Volontà - anno XIII - n.5 - maggio 1960

A N T o L o G 1 A Lavorare è un piacere I o V I S S I sempre in campagna nella bella stagione, d'a giugno a ot- tobre, e ci venivo come a una festa. Ero un ragazzo, e i contadini mi portavano con loro ai raccolti - i piia leggeri, far su il fieno, staccare la meliga, vendemmiare. Non a mietere il grano, per via del sole troppo forte; e a guardar l'aratura d'ottobre mi annoiavo, perchè come tutti i ragazzi preferivo, anche nel gioco e nella lesta, le cose eh~ rendono, le raccolte, le ceste piene; e solamente nu contadino vede nei solchi appena aperti il grano dell'anno dopo. I giorni che non c'ern raccolto, me ne stavo a gi– rare per Ia casa, o per i beni tutto solo, e cercavo la frutta o giocavo con altri ragazzi a pescare nel Belbo - lì c'era dell'utjle e mi pareva una gran cosa tornare a casa con quella miseria, un pesciolino che poi il gatto si 'mangiava. In tutto quello che facevo mi davo importanza, e pagavo così la mia parte di lavoro al prossimo, alla casa, e a me stesso. Pcrchè credevo di sapere che cosa fosse lavoro. Vedevo lavorare dap– pertutto, in quel mondo tranquillo e intermittente che mi piaceva - certi giorni, dall'alba alla notte senza nemmeno andare a pranzo, e sudati, sca– miciati, contenti - altre volte, gli stessi se ne andavano a spasso in paese col cappello, o si sedevano sul trave a discorrere, e mangiavamo, ridevamo e bevevamo. Per le strade incontravo un massaro che andava sotto il sole a n.na fiera, a vc~ere e parlare, e godevo pensando che anche quello era la– voro, che quella vita era ben meglio d'ella prigione cittadina dove, quand'io dormivo ancora, una sirena raccoglieva impiegati e operaie, tutti i giorni tutti i giorni, e li mollava solamente di notte. A quel tempo ero convinto che ci fosse differenza tra uscire la mattina avanti giorno in un campo davanti a colli.ne pestando l'erba bagnata, e auraversare di corsa marciapiedi eonsunli, senza nemmeno il tempo di sbir– ciare la folla cli cielo che fa capolino sulle case. Ero un ragazzo, e può an• che darsi che non capissi la città dove raccolti e ceste piene non se ne fanno; e certo, se mi avessero chiesto, avrei risposto ch'era meglio, e pii1 utile, magari andare a pescare o raccogliere more che non fondere il ferro nei forni o battere u macchina lettere e conti. Ma in casa sentivo i miei parlare e arrabbiarsi, e ingiuriare proprio qnegli operai di ·città come lavoratori, come gente che col pretesto che la– vorava non aveva mai finito di pretendere e dar noia e far disordini. Quan– do un giorno si seppe che in città anche gli impiegati avevano chiesto qual– cosa e dato noia, fu addirittura una cagnara. Nessuno in casa nostra capiva che cosa avessero da spartire o guadagnare gli impiegati - gli impiegati! - a mcuersi coi lavoratori. << Possibile? contro quelli che gli dun da mangia• re? >> « Abbassarsi <'osi? » « Sono pazzi o venduti)). (<Ignoranti)). 341

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