Volontà - anno XIII - n.1 - gennaio 1960

iu1eressa di sa1) e.re come la disci– plina sia ottenuta. Le prigioni sono un'istituzione cancrenosa; possono essere miglio– rale malerialmente (e qualche stabi– limento moderno non ha più niente a che vedere con quelli vecchi che erano ex-caserme, ex-conventi, ex– palazzi borbonici o feudali) ma fin– chè esse rappresenteranno una frat– tura con la società, non elimineran– no i mali che vi si riscontrano e che. si sono accumulati durante i secoli. lu Europa, pare che la sola ec– cezione a questo tipo di prigione, si trovi in Svezia. Là si parte davvero - e lo si applica - d'al principio che il carcere non deve avere un cartiere punitivo, non deve costitui– re un'espiazione, ma deve persegui– re fini educativi se si vogliono ri– cuperare gli uomini che, per varie circostanze, vanno a finire là dentro. Si considera che la perdita della libertil è già in se stessa un male così grande per cui sarebbe disuma– no infierire maggiormente. sui dete– nuti. E il regime carcerario è un re– gime di vita normale. La giornata <lei detenuto è quel– la che egli avrebbe di fnori, per le. ore e la qualità dei pasli, per il la– voro ,·he gli viene rimuneruto alla stessa tariffa che è applicata nei po• sti di lavoro - e può così contri– buire a mantenere la famiglia - per le ore di svago, <li lettura, per le visite che gli sono permesse di ricevere. Gode, persino, ogni qual• tro mesi di tre giorni di licenza che permettono al detenuto cli sentirsi sempre parie integrante deJ nuc1eo familiare e della società. Ma la eccezioni confermano la re– gola. Dove è radicato il principio pnni- 30 Livo della pena, dove la legge che si osserva è qu<>lla cli un costume che è fauo di infamie secolari, l'unico rimedio possibile è quello di scar– dinare, buttare all'aria l'istituzione. Noi italiani gÌamo molto orgoglio– si del libricino di C. Beccaria « Dei delitti e delle pene » ma dovremmo chjederci se il sistema carcerario at– tuale che deteriora progressivamente il detenuto fino ad uccidere in lui O• gni traccia di umanità, sino ai punto che, quaud'o lo restituisce alla so– cietà, è un reietto inutile a se stesso cd agli altri, non costituisca una e• spiazione pii:1 crudele della stessa pena di morte. Il confronto, sareb– be inutile dirlo, non attenua il no– stro orrore per la pena capitale ma vuole essere soltanto una constata– zione di atteggiamenti mentali e sentimentali incongruenti. Se nessuno, per nessun motivo, ha il (Jiritto di uccidere, nessuno ha neppure il diritto d'infierire per an– ni ed anni ed anche per tutta la vita i::u migliaia e migliaia di disgraziati. C'è una sproporzione troppo gran– de tra quello che si clefiniscc colpa o delitto e la punizione. Ma non si scardina I' istituzione della prigione se prima non si è scar– dinato il concetto di crimine cosi come si è forgiato attraverso i se– coli. Ogni persona onesta che guarda il mondo dei cosidetti delinquenti, non può fare a meno di provare un senso di brivido e di chiedersi se non po– trebbe trovarsi tra quel mondo, se fortuite o fortunate circostanze non lo avessero trattenuto al di qua del confine che separa gli onesti dai d'e• Jinqnenti. Danilo Dolci ha detto giustamen– te che la mafia non è un problema

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