Volontà - anno VIII - n.8 - 15 dicembre 1954

Quella che avrebbe dovuto essere Ja mia cultura non mi avvantaggiava nei Joro rjguardi, perchè l'avevo svalutata in blocco e non avevo una lede su cui orientarmi per nuove ri– cerche. Brancolavo Del buio, proprio come quei giovani che problematiz– zavano con me attorno alJe dottrine che io esponevo loro. Non uri senti– vo, dun<1ue una autorità; perchè non dà autorità un certo numero di noti– zie nella mente e· non più di quelle. E in più, pensavo che Ja mia crisi - come quella di molti altri giovani italiani - fosse conseguenza dell'a– ver troppo creduto nelJa autorità: dei nostri insegnanti, della Chiesa, del regime. Volli perciò abolire l'au– torità nei miei rapporti con queUa classe che era stata dcfmita « male– detta » da 1>reside ed insegnanti per ]a sua terribile indisciplina e lo scar– sissimo profitto. Lasciai a quei giovani completa li– bertà di frequentare o meno Ja mia lezione, di comportarsi come meglio credessero in mia presenza, di stu– diare come e quando a loro piacesse, di autoclassificarsi nel registro ogni volta che spontaneamente fossero ve– nuti a discutere su argomenti perti– nenti al programma d'esame. Risul– tato: le mie lezioni interessarono via via tutti, e furono animate da forvi– de discussioni protrattesi fio dopo gli esami di maturità; i ragazzi, se an– che non stavano inchiodati al banco come tante mummie, erano sempre garbati e composti come n.011. riusci• vano a stare durante le altre ore di Jezione; e agli esami furono tull.i -promossi per le mie materie ·(non ri– cordo se ci fu un 'eccezione) con otti. mi voti. Profitto di autodisciplina non furono i soli risultati: perchè al– cuni di quei giovani, incontrati l'an- no seguente, ebbero a dichiararmi che io ave,,o dato loro tma coscienza. E c'era, in queslo loro giudizio anco– ra rudimentale, una 1>rofonda \'Ccità: che liberi da ogni coercizione, dalla paura del registro, da tutli <1uegli,e– Jementi che avrebbero potuto fare di me « un'autoritìt », essi avevano po– tuto trovare se stessi e farsi uomini pensanti col proprio cervello e orien– tati da una socialità che la scuola u(– fieiale reprime o (a degenerare . .E la prova di ciò è il comportamento che avevano avuto gli stessi elementi nei riguardi degli altri insegnanti ligi al– lo schema tradizionale. L'autorità non è, dunque, un ele– mento necessario per l'educazionej a parer mio, anche quando si propone di « liberare e non di asservire » essa si esercita per ]a pretesa di possedere in assoluto la Verità (il che cristalliz– za in nuovi miti) senza tener conto della relatività di ogni nostra eS(lC• rienza. Il mio esperimento è ti1>ico; per– ehè il mettermi io al livello dei miei alunni non era una finzione, un espe. diènte pedagogico del maestro che si nasconde ma non per questo è meno attivo ed operante. E gli esperimen. ti condotti nel 50-51 a Bologna con bimbi dai quattro ai dodici anni, mi hanno mostrato ugualmente valido questo metodo. l!: vero che tale atteggiamento su– scita, oltre che simpatia, stima e ri– spetto, siechè più duttili si mostrano i bimbi acl armonizzarsi con l'inse– gnante: ma questa autorità morale - indispensabile ne1l'educatore - non è autorità che per vieta forma verbale, e serve al discepolo come su– peramento della propria solitudine 441

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