Volontà - anno VI - n.5 - 31 marzo 1952
dre o un maestro non ha autorità sui propri figli o scolari non si vuol dire che non ha il potere di farli ubbidire, ma che, se mai, questo potere non lo esercita e che i figli o gli scolari non consentono ad ub– bidirgJi pcrchè non gli riconoscono nessuna superiorità. Quando si dice che uno scienziato od uno speciali– sta è un'autorità non si vuol dire che sia una potenza, ma che si ha fede nella sua esperienza, nel suo genio o nelle sue abilità. Quando si dice che uno ha fotto una cosa sen– za autorità non è il potere di farla che gJi mancava dal momento che l'ha fatta, bensì il diritto o la le– gitti.mità di farla, il suo contravve– nire ad un ordine spirituale e non già temporale e di fatti. Potremmo moltiplicare gli esempi, ma ci pare che bastino. Bastano non solo a di– mostrare che pure nel linguaggio comune autorità e potere sono due cose distinte ma che si trovano in continuo conflitto. Ogni volere è un potere con fini suoi propri e l'auto– rità per affermarsi deve rompere la resistenza chi' 1ale volere gli oppo• ne, anche quando l'autorità, irradia– zione di amore e di saggezza, Sa me– glio vedere ed assicurare il raggiun– gimento dei 6ni del volere che le resiste. D'altra parte, se un volere può schiacciare o sottometlerne un aJtro non è psicoJogicamente, ma fi– sicamcnle che lo fo, e solo agli cC– fetti pratici, i quali mai non sono nè assoluti nè finali. Più anzi un vo– lere inveisce ed insevisce contro un altro, mostruosamente aldilà di ogni necessità pratica, e pili possiamo es• sere certi che non si tratta più di conffitto tra voleri, ma (ra potere cd autorità, que1l'autorità di cui ogni potere ha bisogno per vivere Iran- quillo e che come sanzione morale del volere e dell'agire sempre con– danna il volere e l'agire. come po– tere bruto e mai non può esserne vinta, L'autorità infatti è indistrut– tibile, inafferrabile, indomabile, e questo perehè l'uomo è libero come essere morale, perchè qualsiasi cosa gli si faccia o lo si costringa a fare, non gli si puù imporre di consenti– re moralmente. E' solo allo spirito che l'uomo consente; è lo spirito che è indomabile, inafferrabile, indi– struttibile; è solo lo spirito che è autorità. E lo spirito cos'è? Non cederemo noi alla tentazione di definirlo nel– le sue forme varie cd infinite, e nep– pure solamente nelle sue forme che sembrano a noi le più alte, nta che perlanto sono pure le pili labili e precarie, quelle inoltre più atte a despiritualizzarc chi le contempla percl1è sì facilmente ne gonfiano lo orgoglio, rendendolo cieco, sprez. zante od ostile a quelle forme che gli paiono inforiori. Ne indichere– mo invece il suo aspetto primordia– le, e Corse fondamentale, e diremo in una collo ()Sieanalista Jung che lo spirito è il padre. Non !)Cr caso, d'altra parte, quanto Gesù Cristo disse di più spirituale lo disse in no– me del padre. Noi crediamo con lo Hartmann che il linguaggio non fu originariamente il risultato di una convenzione, poichè nessuna conven– zione sarebbe stata possibHe senza linguaggio, ma che fu bensì w1 pro– dotto della psiche collettiva, un pro• dotto dell' Inconscio, rispondente cioè a necessità e propositi organici e carico quindi di verità intuitive, integralmente umane, più precise, rilevanti e profonde di qualsiasi ve– rità più tardi raggiunta nel dominio 263
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