La Voce - anno II - n. 46 - 27 ottobre 1910
1• Pesta To,nr>,a N · ·• so t uoletti ( S. Giovanni 1 cade 81. 12 _910 ) n Flore Esce ogni ,rlovedl in Firenze, via dei Robbia, 42 $ Diretta da GIUSEPPE PREZZOLINI Abb · .;t, onamento per ,I Regno, T reoto, Trieste, Canton Ticino, L. 5,00. Un numero ceot. IO. Anno Il JI. N: 46 ~ 27 Ottobre 1910. SO~li\lARIO: L'esposizione di Venezia, AR1>1•NGO So1;11ç1 - Le condizioni splrltuall della L D N I' \I del I di i\t ' ( I I) ' . .. ,o,tOI.O · l k.RI - ,1 \RIO Ros \Z/. \ La quesll d I g u cc 8JCI' i:-.o PRO\'E'.\t.,,1~- l.a mtoz•a s1•,•11/11ra del ,1/e--ogiono G . . p . . - ..... - one e neo•mallhuslanlsmo. G1ts1-.1•1•1-.:PR ..~l/.OLI" - Il "Rifugio .. -- 1 , ll~l l'l'E Rt11o1.1,1 - T11rl11p1,1ridesroltulfra, I:.• \,rnRo~ 10 Git·!-.1-i•r,.- f'>RFZlVLl:'\I. L'Esposizione di Venezia. Ho lello tempo ra in 1111 ottimo libro h . e e, esteticamente parlando, e tutto un gran poe• ma potrebbe contrarsi in un'esclamazione di gioia, di dolore, di ammirazione, di rimpian– to. » _Ebbene, io conosco una parola, schietta, energica, breve quasi come un'esclamazione la quale, similmente, pctrebbe servire di det/ni– zione, cli commento e di critica alla nona mostra internazionale d'arte della città di Venezia. Tuttavia, sebbene teppista delle let• tere,. come vogliono certi miei troppo circo– spettt avversari, io non pronunzierò questa parola. E nemmeno rimescolerò gli eterni argomenti sulla opportunità o no di certe feste della bellezza, come dicono certuni 0 carnasciali dell'impostura e dell' imbecillith. come le chiamano altri molti. In questi ul– timi giorni s'è visto sui giornali che da se– dici o diciotto anni in qua si sono firmati a Venezia parecchi contratti di compra e di vendita, e ciò deve essere sullìciente a sedare ogni divergenza in proposito e magari ad esaltare lo spirito e l'intimo orgoglio di noi italiani d'oggi. Ma sii Quando in no,·e sta– gioni d'esercizio, lecito e sanzionalo dalle leggi di una nazione, si smerciano per non so più quanti, ma molti, molti milioni di mercanzia, vuol dire che l'azienda va e che, per conseguenza, è bene e perfettamente or– ganizzata e rispondente in tutto e per tulto alle esigenze e ai bisogni del giorno. Il che è essenziale - e canchero agi' incontenta– bili! È il ragionamento della divina maggio– ranza e non vedo ragione di contraddirlo. Anzi I L'esposizione cii Venezia, ripeterò ~n– ch' io, è, dal punto di vista mercantile, che è il buono, uno splendido affare, e da quello artistico ... Ecco ! Che cosa sia dal punto di vista artistico è appunto ciò che mi ristrin– gerò, umilmente, ad esaminare. Chi mi vuol ben mi segua. 3. - Salone internazionale. Se io fossi un maligno e pensassi che il signor Frade!etto non s'occupa e non tien conto di quel che altri può scrivere sull'arte in generale e sulla impresa di cui egli è tanta parte in ispecie, se non per burlarsene e far tutto il contrario di quel che anche lui dovrebbe trovar giusto, lo rampognerei seve– ramente rcr aver permesso che l'ignominia allegorica del professore (credo) Sartorio la quale pendeva l'altr'anno ai muri di questa sala, fosse surrogata questa volta dalle pitture che mi vedo cl' intorno; e forse direi ch'egli l'ha fatto per il diabolico piacere di dimo• strare che, come dice il proverbio, non c'è un male che non ci sia un peggio. Ma per– chè nel mio cuore non albergano, secondo la dolce espressione del poeta, che pensieri candidi, io voglio credere alla buona fede del signor Fradeletto, tanto più che lo vedo ingegnarsi a sodisfare i desideri miei e degli amici dell'arte. Quel giardino festoso e fa. stoso che si scorge di qui e dove non entrerò che domani, quelle pilture di Conrbet, di Monticelli, di Renoir, che occhieggiano di dietro le tende e delle quali non parlerò che pii, tardi, non son forse lì per noi e per te• stimoniare della buona \'Olontà del segreta· rio generale? Perdoniamogli dunque l'orrore di questi ritratti, di questa Umili,,{l·onedegli eretici 11 Nowgorod e speriamo in lui per l'av– venire. Chi ha invitato la signora Teresa Feodorowna Ries ad espor qui l'animn che ritorna 11 Dio gesso), non può essere che un uomo giusto o sulla via del la conver– sione. ·E perdoniamo anche a chi ha creduto di far bene esibendo in questa sala spagnuola, fra tante altre insignificanti o ridicole, que– ste quattro pitture d'lgnacio Zuloaga. lgnacio Zuloaga è un uomo assai gio,·ane, bruno, calvo e molto celebre. Otto o nove anni fa ebbe un gran successo al Campo di Marte di Parigi; Jean Lorrain scriss~ su lui uo articolo lanciatorio e fin da quel tempo i Pica di tutto il mondo l'ammirano. Per le imprese come questa di Venezia è dunque un elemento necessario. Che poi egli sia anche un grande artista, questo non affermerò io. E nemmeno che sia un artista. Egli è, secondo me, un pittore meno fastidioso di tanti altri, di 'un Jacques Bian– che, per esempio, di un Caro-Deh·aille, di un Cesare Laurenti, il quale dopo aver imi– tato, come un beccafico può imitare un ro– signolo, il suo gran connazionale Velasquez, sta sdrncciolando, piano piano, verso la bana– lità, verso il nulla; sta, cioè, rientrando in sè stesso. E le pitture qui esposte lo provano. Sono delle grandi macchine piene di fasti• dio e di vento che vorrebbero parer solenni e non sono che teatrali. Questi Flagtllanli, color di zolfo, di zafferano e di tinta da scarpe, questo Frnnetsco e s110moglie, dipinti come le fìgnre di un paravento di Liberty, queste Donne di Sep11fret!a, coi loro abtli gialli e sporchi a pieghe dure e manierate, tutte queste t6rte popolari e religiose che preten– dono di richiamare alla nostra memoria l'arte terribile del Greco, mancano totalmente di spontaneità, di virn, e persino di quella pur triviai vigoria che rendeva appariscenti, se non meno dozzinali, le opere anteriori di questo pittore. 1\la perdoniamo, ripeto, a chi, spartanamente, ha messo solto gli occhi de– gli intelligenti queste prove palpabili della rovina a cui corre chi, non amando nè la natura nè l'arte, si fida unicamente della sua abilità e della stoltezza delle folle. Certe false reputazioni hanno bisogno, per crollare, di venir messe in mostra ogni tanto. Con chi invece sarebbe dillìcile d'essere indulgenti sono coloro che hanno preso e voluto far prendere per una lanterna la ve– scica di John Lavery. Chè se è lecito e, fino a un cerio punto, naturale, per del la gente come gli organizzatori di una esposizione, il non riuscire a scorgere I' in:ima menzogna, il vuoto e la morte, nascosti sotto la spavalderia pii· torica di uno Zuloaga, è cosa da far dirpe– rare vedersi poi metter dinanzi da loro, come una primi1ia, i cavoli agri di codesto irlan– dese. Oh John Lavery ! Chi potrà mai dire la superficialità, il bastardume, il tedio, il bigio, la mancanza di carattere, di forza, di qualunque traccia di poesia, l'inutilità e l'insipienza della pittura di un tal giornali– sta? li signor A. C. R. Carter lo paragona a Gainsbourough. Gainsbourough, sia detto senw. offender nessuno, non era una cima: egli era inglese, cioè di una razza che, tranne Turner e Constable - figli spirituali, del resto, di Francia e d'Italia - non ha mai dato un grande artista, e la sua pittura lo dice ; ma messo accanto a questo fabbricatore di schizzi da corrispondente mondano di maga,il,cs a gran tiratura, a questo scialbo, pedissequo imitatore di "\Vhistler, di Sargent, di La Gan– dara, che i\lontebianco, che lmalaia, Gain– sbourough ! Un interno grigi<>, dice il numero cinquantatre del catalogo. Ecco definita l'arte BiblotecaGino Bianco d, John l.a,erJ·· Cn interno gri 0 io, sudicio e se~za padrone - cioè senz'anima. Guardan• do, cosl nel suo insieme, questa gran sala, dove il provincialismo critico italiano s'è tanfo esaltato, vien fatto di celebrare la mac– ~ 0 foto_!lralìca: ha pii, temperamento, ~ pm appassionata e pii, onesta. Senonchè, cosa celebreremo poi, quando, voltate dispeltosamente le spalle al triste e inanimato mondo del nubiloso iusulnre, ecco, ci troviamo di fronte a quest'altro dell'olan– dese lsracls? La galera? Giacchè se là non v'è che tedio e opacità, qui non c'è che buio e spavento. Quantunque la cosa possa sem– brare inverosimile, trattandosi di un pillore, è un fatto che la passione più profonda di Jozef lsracls pare sian le tenebre. Tenebre in casa e tenebre fuori. Tenebre dappertutto. Nè scherzo. Guardale i suoi interni di ca– panne, i suoi paesi e persino le sue marine. L'odio del pillore, la sua avversione da gufo per la luce, per i colori, per il più pallido raggio di sole, vi si rivelano non dico chia– ramente, che sarebbe una contradizione, ma con forza e quasi ferocemente. Il nero fumo, la terra d'ombra, il bitume, sono le tinte del suo cuore. Che se poi, per un pertugio dai vetri appannati, per lo spiraglio d'un uscio, per una gattaiola, attraverso uno strappo di nuvole, entra un fil di lume, un lucore e si posa in qualche cantuccio del quadro, non è che per illuminare qualcosa che fa rimpian• ger le tenebre. I.. desolazione e la miseria. E n~n Ja miseria rac:c:;egnata e ~toicamen1e fa– talista del contadino, del bracciante, ma quella dolciastra, che piagnucola, geme e cerca d'impietosire con la finta piaga, col bimbo macilento che piega il collo sottile sulla spalla, col can barbone ammaestrato e il cartel– lino appeso sul petto. Una miseria insomma da comizio socialista, quale può immaginarla un pittore umanitario e che, per di più, non emerge dalle cose rappresentate, ma dal modo di rappresentarle, YOglio dire dalla pidocchie– ria del disegno, dalla immondizia del colore. La natura di Jozef lsraèls è quella tetra che si vede dal finestrino dei destri, quando piove da quindici giorni e non s'ha da pagar la pigione, come la sua pittura par quella di un rabbino divenuto protestante, incarcerato per incitazione al suicidio, e costrello a di– pingere con le raschiature della tavolozza. li suo presentatore, il signor Filippo Zilken ci dice che e i suoi studi risentono ali' inizio ancora delle influenze antiartistiche del prin– cipio del secolo XIX in Olanda >. È vero, è vero ; ma perchè dorare la pillola? Non soltanto ali' inizio e non soltanto i suoi studi risentono di quelle influenze. Siamo espliciti. Tutta l'opera d'lsrael è una mani feslazione antiarlistica, una requisitoria, una protesta contro la bellezza e la vita. Basterebbe osser– vare questo solo Suonatorea111bula11/e p r es– serne certi. \'i ricordate di certe « scene pateti– che• del cinematografo? « Bimbi felici, cui sorride in tutta la sua luce la carezza della vostra mamma, non conoscete al certo tutto lo stra· zio di tante piccole anime sole !... » Tale e quale. Il suonatore an\bulante, vedovo senza dubbio, è seduto sul letto e suona il violino. I suoi bimbi orfanelli, le piccole anime sole, gli seggon vicino e ascoltano. Sui muri della sollìtta, sul letto disfatto, per terra sono gli emblemi della miseria e dell'abbandono. Bisacce vuote, giocattoli rotti, coperte rincin– cignate e ragnateli. L1 parete di foglio oscilla. Da quell'angolo oscuro a destra entrerà tra un minuto il padrone di casa seguito dagli uscieri, e il dramma comincerà. ;\la non abbiate pau– ra: a un certo momento il ricco impietosito tired fuori il portafoglio, metterà un pacco di biglie11i da mille sul letto, abbraccerà i bambini che gL\ gli si sono stretti ai ginocchi - e tullo finirà come al cinematografo. Forse il suonatore ambulante sposerà la padroncina. Tale è iI mondo di ; 01.:,· lsrai!lsche ancora oggi, a ottantasei anni, è allivo e laborioso come 1111 giovane. Ahimè, si I... ,\[a entriamo nella sala numero dieci. « La forte strana, irruenta personalità del Klimt » ci compenserà fon,e di quella inclemente e sinistra dell'ebreo olandese. E difatti la , i– sione che il secessiònista ha della natura è tull'ahra. La fotofobia e il lerciume del co– lore son surrogati qui da una luminaria di tinte strillanti e d'oro. Senoncbè mi basta dare un'occhiata in giro per c~pire che tulla quest'arte, questa bellezza non è, come di– cono gli a\l\lOcati, di mia pertinenza. Jmm:t• ginate\ 1 i un carne\'ale in una stanta mortu:t• ria. Nelle bare coperte di fiori finti giacciono dei cada\'eri di bambini rachitici, di ragaue rnort~ di fame, di vecchie calve e grinzose, di annegati gonfi, putridi, verdi. Tutt'intorno strisciano razzi, bruciano fiammiferi di ben– gala, tu,binan girandole, volano e si divin– colano strisce di foglio di ogni colore, fra una pioggia di stelle di magnesio, gialle, az– zurre, rosse, bianche. L'a,te del Klimt suscita nel suo complesso, di queste profonde im– magini. Si tratta, inso,nma, come ognun ,·ede, di arte filo;ofica, quale vien co11cepita nei metafisici paesi di tedescheria, ed io non sa– prei in nessun modo fidarmi delle mie mo– deste impressioni di semplice pillore. No dav– vero I Qpando vedo gli universali apparirmi davanti con queste facce, l'essere e il non essere disegnali e dipinti in questo modo, e l'assoluto in istile floreale, ìo mi levo il cap– pello, fo un grande inchino e vo via. Tutt'al più posso dire, a chi volesse occuparsi del grande viennese, che Gustav Klimt nacque a Vienna nel 1862, che l'impiego dell'oro nelle sue pitture contraddistingue una nuova fase della sua vita artistica e che - come scrive il suo anonimo biografo - dh•entò celebre « nei primi anni del r 900 ». E una bella scappellata faccio pure ai pit– tori simili a Oskar Zwintscher. Allorchè un uomo riesce a conciliare, come fa lui, Pac• cademismo e lo stile della Jugaul, la bruta– lità e la freddezza, la levigatura e la sceno• grafia; a far parer di vetro una pillura a olio, e credere - a certuni - capolavori delle baggianate, merita, secondo me, un gran ri– spetto. E tanto più poi quando mi si dice che suo padre era maestro di pianoforte, e che questa circostanza l'accomuna io un modo mi– sterioso con quell'altro rispellabile uomo e artista che si chiama Ludwig Diii. « Ludwig Diii e Oskar Zwintscber - scri,·e infatti il solito anonimo - hanno per caso un'allìnità artistica di natali. Il padre dello Zwintscher fu musicista di professione, quello del Diii, alto funtionario dello Stato, per vocazione >. Il popolo russo dice: Il signor Ivanoff aveva tre figli ; due eran dei galantuomini, l'altro velocipedista. Senonchè, ali' infuori di quella allìnità di natali e forse di una tal quale inimicizia per ciò che noi chiamiamo espressione, questi due bravi artisti non hanno nulla in comune. Si potrebbe anzi dire che l'uno è l'opposto dell'altro. Perchè se Zwin– tscher urla e si dibatte per sembrare ciò che non è - un colorista, Diii non fa nessuno sforzo e riesce alla prima a mostrarsi quello che è - un qualche cosa del genere d'lsracls. Perciò non parliamone. A che pro ripetere su per giù le stesse cose? E che se la pillura del \'ecchio gufo pareva quella di un rabbino
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