La Voce - anno II - n. 45 - 20 ottobre 1910

l,A l'OCP. A. 882. Si o- A vv. 'l' (Cosenza) .,. ommas~ Nuoletti Conto cornwte POn Ja Pesta. S. Giovanni In Fiore (Scade 31-12-910) Esce og-ni g-iovedl in Firenze, via dei Robbia, 42 .)I. Diretta da GIUSEPPE PREZZOLINI .;1, Abbo · namento per rl Reg-no, Trento, T tieste, Canton Ticino, L. 5,00. Un numero cent. 10. Anno Il .;t. N: 45 ,:,. 20 Ottobre l9l0. SO~I.\L\RIO: _Cima Dodici, .tr• pr. - I tumulll di Molfetta, G.\ET.\NO S.,L\"E"1"1 - Come ,.\nthan l' i modernisti, .\L1;:ss,,xoRO CAc.;.,,-1 - I.A \"ocF. nascono I funghi, Gn•!-;EPPE \'1ooss1c11 - Turluplneide scolastka, L.\ \'ocE - G1l-SEPPE R.\LO.\SSFROX1 - O. 01 LEO - CIMA DODICI Molti giornali si sono ocrnpati di questo pez.z.et11110 d1 terra disputato tra Austria e ltn/in, ma 11esrn110, ci pare, ha considerato In graviti, morale della cosa. Or e rirnl111to ben chiaro: 1) storicame11/equel pez.z.odi terra 11ostro; 2) legalmente,uo11lo e. Perchè uo11 lo è ? Perche i delimitatori del confine da parte nostra 1111dnro110 a q11el/11 fnccwda 11ssoltita– me11te imprepnrnti. Non condussero i padroni delle terreper tesh·mo11iare; 11011 portarono do– cumenti. E gli austriacifecerotu/lo il contrario. Si dice, perf,110, cbe ci andasserosprovvi– sti di quello che e ele111e11tnrme11te nec ssario pa vivere i11 alta mo11tng11n, e che spessodo– vei/eropro/illan, della ospitalitàd1•gli austriaci. Comunque sin r'e stata certo della legge– rez.z.n : e di questa leggerez.z.n uoi oggi soppor– /111mo le co11segumz.e. E qui é il casodi commeutnrc.Qucstt v.: 1- gogue dell'Italia 11oi 11011 ce le risparmieremo con ca1111011i, co11reggimenti e nemmeno,(pec– cato, perrhè 11011 ros/1111 tanto!) co11giornali irr1'de11tisti. Noi 11011 ce le risparmieremoche i11 1111 solo modo: educandogentepi,, seria, cheprenda og11i cosade/Invita sul serio. Tulle le 11ostn,. vergog11e, da quelle di Seg1111ti11i a quelle d1 Cima Dodici, 11011 sono dcnmte 111\ alla forza, ne al 'astuzia austriaca: 11111. al 11ostropulci11ellismogenerale. J\'011 resta che 111111 spern11za : che a furia di schiaffi e di secchid'arqua i11 testa questi 11ostriitaliani cnpisc11110 che e tem,'Jodi fare il proprio do- vere. g. pr. I tumultidi Molfetta. Io non li ho visti coi miei occhi, perchè giunsi qui a fatti finili. Perciò non posso descriverli con gli stessi colori vivaci e im– pressionanti, di cui hanno fatto sfoggio quei giornalisJi, che non li avevano visti nean– ch'essi. Posso dire solo che il doti. Fiore, capitano della Croce Rossa, contro'la quale i tumulti furono diretti, rimase trasecolato quando vide sul Corriere della Dommica la vignetta in cui il e popolo > di Molfetta, armato di ascie, distrugge un carro di disinfettanti : egli non si era mai avvisto di avere corso un pe– ricolo cosi grave, nè pensava che due o tre– cento donnicciole affamate ed esasperate po– tessero essere considerate come tutto il « po– polo » di una città di ~5 mila abitanti. 1'1a quel che importa non è la gravità maggiore o minore dei tumulti. Importa il fatto che in un paese normalmente pacifico, in cui j delitti di sangue sono rarissimi e basta di solito una mezza dozzina di carabi• nieri per mantenere il cosi detto ordine, sieno anenuti dei tumulti violenti contro la pro· lilassi anticolerica. E questi tumulti sono venuti dopo quelli di Barletta. E se continuiamo ad andare avanti con la testa nel sacco, altri tumulti avver• ranno in altri paesi. E non sempre si tro· verà, come a Barletta e a Mo! fetta, a coman– dare la forza pubblica un uomo, come il capitano Radice, dalla mente lucida ed equi– librata, dai nen•i solidi e dal cuor d'oro, il quale sapril circoscrivere e lasciar passare la tempesta senza ammazzare nessuno e perciò senza guadagnare veruna medaglia al valore. E presto cominceremo a sentire che in Pu– glia chi non muore di colera muore am'maz– zato. E già l'alibi per gli errori deliltuosi, che si commeltono quaggii,, è pronto ad uso dei poltroni e degli egoisti di tutti i partiti. e Sono tumulti - si continuerà a dire - dovuti all'ignoranza e alla barbarie; bisogna aspet– tare che l'evoluzione della civiltà dia i suoi fruiti; in attesa, badiamo alle nostre faccende, dal momento che non c"è altro da fare •· - Non c'è altro eia fare? - Ecco l'errore. - Qui c'è molto, qui c'è tulio da fare. E lasciare che la tempesta sanguinosa si avvi– cini e scoppi, cullandosi nella comoda teoria che « non ce altro da fare » significa ren· dersi complici necessari dei mah che quaggiù si preparano. Chi scrive ,1ueste pagine. non s'illude che esse producano effetto di sorta. Troppa gente al Nord e al Sud, è interessata a lasciar che le cose vadano per la stessa strada, sia per– chè ci guadagna positivamenle, sia percbè non sa fare lo sforzo cli uscire dalle frasi fatte e dai tradizionali schemi mentali. Ma siamo inlesi che noi della Voce lavoriamo alteri sacculo : per una nuova generazione di uomini, che oggi è sui venti anni e che spe– riamo c1 liberi fra una ventina d'anni da questa sozza genia di deficienti e di amorali, che domina oggi l'Italia. Ai giovani sono dirette queste« considerazioni di un barbaro». Chissà che qualcuno di essi non si convinca che la barbarie, nell'Italia meridionale, non bisogna cercarla nelle folle che tumulJuano, ma mollo più in alto e molto più lontano. I. l.azzaretti, isolamenti e coreografiasanitaria. La povera gente teme alla follia il lazza– relto e il locale d'isolamento. - È segno di ignor,nza e di inciviltà. - D'accordo. - ~la io, che credo di non peccare di ecces– siva presunzione se in fatto di sapienza e di civiltà mi repulo non troppo inferiore a un becero di Firenze o ad un pellagroso del Ve– nelo, quando faccio sinceramente il mio e– same di coscienza, non posso non ritrovare in fondo alla coscienza medesima uno spesso strato di quella specie di barbarie, che si chiama affetto familiare, e che proprio in questo caso verrebbe certamente a galla. Per– chè, se io avessi famiglia, e una persona a me cara fosse presa dal colera, e sapessi che non appena denuncialo il caso il mio diletto sa– rebbe strappato a me e portato forse a mo– rire in un lazzaretto fra persone estranee, mentre io sarei sbalzato a tre chilometri di 'dislan,a ad aspettare il mio destino fra altri estranei, - io non so se avrei il coraggio eroico di denunciare il caso. È un sentimento barbarico, lo so : e non i,retendo cli difenderlo. La civillà mi ha in– segnalo che devo subordinare i senlimenti miei più cari alle esigenze della colleltività. E vorrei poter dire a me stesso che in caso di bisogno sarei capace dell'eroismo che la collettività giustamente esige da me. ~la una povera donnicciola, della quale la signora colle1tività non si è mai prinrn oc– cupata e e.e ne ricorda solo ora che deve an– dare a impoile l'obbligo dell'eroismo, in un furore di filantropia che è fatta piì1 cli egoi– smo pauroso che di vera assislenza disinte– ressata - questa donna ha proprio bisogno di esc:ere « seln,g~ia », « barbarn », « abbru· Bib19tecaGino Bianco tila >, per sentire il terrore del lazzarello e per cercare ogni mezzo di occultare la sua sventura e difendere dagli assalti della filan– tropia pelosa e improvvisa i suoi affetti pii, cara> SÒ d1 un vicolo, in cui il male fu impor– tato da un pescatore venuto infello da Trani: non vi è stata famiglia, che non abbia avuto qualche caso ; ma la epidemia è stata occul– tata con la complicità di lutlo il vicinato. Si sono tutli curali con una ricetta escogitata da una donnicciola, che ha avuto anch'essa una liglia malata : limonata e laudano al I 'appres– sarsi del vomito, rosolio e triaca dopo la crisi. Non è mono nessuno. Si vede che c'è un Dio per i barbari, oltrechè per i bambini e per gli ubriachi. Se qualcuno fosse morto, la famiglia allerrita dalle responsabilità pe– nali, folle dall'angoscia e dal dolore, avrebbe, com'è avvenmo talvolta, portato di nolte il cadavere sui gradini di qualche chiesa, e poi si sarebbe sparpagliata per la campagna. Ed ecco nuovi centri d'infezione. E chi sa quanti casi simili si sono dati e si daranno! Se la legge sanitaria fosse staia fatta da persone a cui la scienza astratta non avesse fatto perdeie il senso della realtà, e che a– vessero tenuto presente che le creature umane non sono materia inerte come gli alambicchi dei laboratori e la carta delle leggi sanitarie, ma hanno un cuore che reagisce spesso di– sordinatamente e irragionevolmente: - la :cb 0 \,. ,:,iii'litRria lascereiJbe forse agli ammalati la facoltà di optare fra il lazzarelto e la ~11ra a domicilio: in questo secondo caso, la fa. miglia del mJlato rimarrebbe consegnata in cesa col maiale stesso, a suo rischioe peri– colo, finchè i consigli amorosi degli assistenti e l'estendersi del pericolo non la conduces– sero a più saggi consigli. Sarebbe un sistema scientificamente esecra– bile e non privo d' inconvenienti gravi. J\la i I metodo perfe110, dal punto di vista teorico, suscitando contro di sè la ripugnanza dei malati e delle famiglie, determinando tenta– tivi continui Ji occultamento, produce danni ben più gravi del metodo scientificamente inappuntabile. Il senno politico consiste nello scegliere fra le diverse vie, non la più per– fella dal punto di vista teorico, ma la meno difellosa per gli effetti pratici. Certo la cura a domicilio sarebbe possi– bile solo quando i casi fossero pochi, e per– ciò vi sarebbe personale sufficiente per curare i malati e piantonare rigorosamente le case; laddove, moltiplicandosi i casi, il lazzaretto e l'isolamento diventano una triste ma ine– luttabile necessità. Ma quando il colera co– mincia, i casi sono sempre pochi. E quelli occorre curare in modo che non si diffonda il contagio. E la causa principale della diffusione è appunto l'occultamento dei casi. E l'occulta– mento nasce appunto dall'angoscia, che prende malati e famiglie ali' idea di doversi staccare gli uni dagli altri col pericolo di non rh·e– dersi mai più. E la cura facoltativa a domi– cilio servirebbe appunto ad eliminare questa preoccupazione • barbara •· Se il colera colpisse non la poveraglia ma i « galantuomini », in un modo o in un altro si uoverebbero bene gli espedienti più op– portuni per rendere meno penose a lor si– gnori le misu1e profilattiche. i\la la povera– glia è forse parte della umanità? Se resiste, come meglio sa e può, allo scempio del suo misero cuore, tutti gridiamo - soci,tlisli com· presi - che è « barbara ». E cosi la nostra coscienza è tranquilla, e la scienza di labo– ratorio è salva. Ammettiamo. ad ogni modo, che sia as– solutamente necessario non solo isolare l'am– malato e la famiglia dal 'resto del mondo, ma anche sbalzare l'ammalalo a morire a deslra e la famiglia a piangere a sinistra. C'è modo e modo per procedere in siffatta operazione poco simpatica. . Questa popolazione, ignoranle, s1ss1gnori, ignorante - e voi non polele farla diventare sapiente dalla sera alla mattina in occasione del colera, dopo che non ve ne siete mai occupati per anni ed anni - questa popola– zione non è avvezza a veder trasportare gli ammalati nella barella. La barella suscita in quelle menti un po' primiti,·e l'idea della cassa mortuaria e della morte. Fino a ieri in questi paesi gli ammalati si usava trasportarli in carrozza: andare in carrozza, è un pò « fare i signori ». Le autorità stesse hanno riconosciuto dopo i lumulli, che era bene ri– tornare all'abitudine della carrozza, sebbene il veicolo perfetlo sia la barella. Ma c'era bi– sogno proprio dei tumulti perchè i « barbari • ottenessero ciò che era staio rifiutato finchè erano rimasti tranquilli? Nè basta. I trasporti nei primi giorni si fecero con una teatralità, che sarebbe ridicola se si avesse cuore di ridere in questo genere di affari. Uno sciame di giovanotti di belle speranze invadeva la casa colpila dalla sven– tura, e ne portava via l'ammalato in pompa magna, come se fosse Gesì1 sacramentalo. Persone degnissime di fede mi hanno de– scritta qualcuna di queste pagliacciate. Innanzi a tutti, 1111 venerabile massone con una mazza per aria, facendo segno alla genie che si sco– stasse ; poi dei volontari ciclisti.., coi mo– schetti, al comando di marci, ...jianc destr ..., alt ...; di sera, anche, delle lampade ad ace– tilene, per strade che sono illuminale ad elettricità con lampade di 500 e di 1000 candele; e uno sbucar di gente da tutti i vi– coli a vedere il corteo, a compassionare il malato, a suggestionarsi, a pensare ai casi propri. Quei volontari ciclisti, quegli infermieri più o meno improvvisati, quei venerabili so– lenni, erano certo brava gente, piena di buona volontà, desiderosa di fare il bene. ~la il bene non basta volerlo, bisogna saperlo fare. E al dolore della povera gente si deve avere riguardo giust'appunto come a quello di lor signori. E il colera deve spingervi a fare il bene per il bene, non per meltere in mostra i moschetti, le divise pseudomilitari e le lampade ad acetilene. Sarà forse che io sono un barbaro puro sangue : ma se avessi una persona cara morente, e venissero a strappar– mela in processione, con una pubblicità cosi crudele e forsennata, difficilmente resisterei alla tentazione di accogliere i • benemeriti della pubblica salute > a colpi di scopa e a pedate nella sola parte intelligente e sensibile della loro personalità. \"enuta la Croce rossa, a queste teatralità fu messo freno. ,\la oramai il male era fatto. La suggestione popolare co111rol'odiosità del trasporto al lazzaretto era creata, Il. Disinfezioni e divieti annonari. Lt legge sanitaria stabilisce che la bian– cheria e i mobili della casa infetta devono essere disinfettali. È giustissimo. ~la anche in questo c'è modo e modo. La disinfezione è stata quaggiù per molli giorni un'occasione per meltere a soqquadro nella più selvaggia maniera le case degl' in– felici, che erano ridolti a temere i loro be– nefattori improvvisi infinitamente più Jel co· lera. ilalerassi e biancheria bruciati di pro-

RkJQdWJsaXNoZXIy