La Voce - anno II - n. 14 - 17 marzo 1910

1 .. 1 ron Ccmto eorrr111e ton la P-sla. ' fomma.so Nuoletti A. 8 2. Sig. A,-v. (Cosenza) S. Giovanniin Flore (Scade 31-12-910) e Esce ogni aiovedì in Firenze, via d · R bb' •2 D d GIUSEPPE PREZ • "' 0 ••• ~ .,,. irctta a ZOLINI ,:I, Abbonamento per il Regno, T renio, T rintc, Canton Ticino, L 5,00. Un numero ceni. IC. Anno II ~ N.' 14 ~ J7 Marzo 1910. SOMM1\RIO: Prlmavtra, AkOP.:-.Go S01,i,·1c:1 - La Calabria. Gna.11 u10 ZAGAIU e Sc11>1 0 S1.AT, \PEK - Pculcrl di F. llcblel, S. S. LA \ocv.. Per ls "Se:cbla Rapita··, PJF.TKO ZANPROl::-.1:,.1 - 011. I ·;1c1 dr /Jrllis .... , BRIMAVERA Io, Menaho, 11 d1sgrazia10 dalle tre tragedie - filosofica,sentimentalee finan– ziaria - ho visto stamani il dso della felicità. Il sole che, finalmente, ha sba• ragliato e respinto di là da' monti Ja sporca nuvolaglia di l'altro giorno. mi batteva in pieno sugli occhi quando mi son destato, e io sono uscito. Cappello sullo ,·cntitrc, sigaro in bocca, e via su per i poggi. Le strade e le viottole sono ancora fangose i l'acqua lustra nel1e ro– taie: ma di qua e di là, sulle prode de' can,pi a solatio, ci son già i fiori. IIo visto la margherita bianca sullo stelo tremante, il giallo pisciacane fra il palco secco, e per tutlo, fra le zolle, fra' sassi e fra' pruni, questo odoroso fiore pao– nazzo dal nome sconosciuto. Ho visto anche qualche ,•iolammammola metter fuori, zitta zitta, la testolina terrosa, e la foglia del narciso selvatico è tutta filante di vischio se tu la strappi. Sotto gli ulh·i. i loppi, i susini e i ciliegi verzica il grano tenero; il sole e l'ombra si movon sui solchi; le salciaie rosseg– giano torno torno agli acquitrini; le rame spoglio brillano; le colline sorgon di tra il p:roviglio delle piante, brulle, sassose, ferrigne, con le ca.Se su su per i fianchi, i cipressi che ombreggiano il tolto giallastro o ,·ermiglio, e le vigne secche co' pali in riga come lancie d'e– serciti. Lontano, lassù sopra a Pistoia, le montagne nevose sfa,·illan nel sole: il cielo è terso. tutto è sprofondato nella trionfante luce del sole. - L.a primavera! - dice la cincial– legra che canta sopra alla mia testa; e il suo fischio s'alza e s'abbassa accom– pagnato dal sibilo delle canne strapaz• zate dal vento. Lo so, lo so! tutta la mia anima è pen·asa di luce e di ger– minazione. Sento dentro di me come un gorgoglio di sentimenti nuovi che mi dilania soavemente. Ieri ero con la testa b-,;'lssasui libri al lume della lucernina. e L'io mi diceva il filosofo - non esi.;tcndo i:icnza il non-io, non si può dire che produca il non-io a meno di aggiungrre L., reciproca: il non-io pro· duce l'io. Xon e' è oggetto senza sog– getto - Berkeley l'ha di già dimostraco - e in questo senso Fichte dice con ragione che i: iI soggetto che fa l' og– getto; ma non e· C nemmeno soggetto senza oggetto. L'esistenza dunque del mondo oggetth·o i: tanto la condizione si11c q11a 11011 dell'esistenza dell'io com.9 reciprocamente. Con qual diritto Fichte parla d'un io assoluto, se è costante che l'io, vale a dire il soggetto, non è mai assoluto, limitato com'è necc~sariamente da un oggetto? Uisogna dunque rinun– ziare a far dcli' io l'assoluto. J.I non-io è l'asso I uto. X cm meno, perchè 11011 esiste bCnza condLdoni; non è nulla senza il soggetto pensantC' ,. Ed io seguivo con ansia il ragionamento. Dunque - mi domanda,·o, co' pugni negli occhi, - qual'l· la verit/t? qual'è l'assoluto: l'jo, il non io:' E r;os't'• quc~ta eterna con– tradizione dell'f's~<>re e riel non essere? - e I.a contradizionc clv> si tro,·a nel– )' idea d',•ssere - mi s;>iega,·a allora un altro filosofo - s't.". risolta nel diz•enire. J.'e&sere dh•ienr. \·alt• a dire si fissa, si detertnina, s1 defimsre. 1'fo l"essere de– terminato o finito ~i continua all'i11h"- 11ilo: il finito è l'infinito: nulla obbliga il pensiC'ro ad assegnargli dei limiti: nuova contradi1.ionc che si risoh·e nel• l'idea dell'i11divitl1talilà. L'individuo è l'unit?t del finito nel!' infinito >. ~[a, ob– biettavo io, so l'essere o il non essere si risolvoi\o nel divenire, che cos'è que– sta incliviclualità ·<li cui mi si parla? Un'individualità che diviene e -clic quindi non 1', o non ò di già pii1 quando si afferma! Ero arrivato a 1\egarc mc stesso allor– chè andai a letto. Ora mi ritrovo. Passando \Ticino al ,·i• vaio della fattoria ho tuffato una mano nell'acqua: era diaccia; una gallina che beccava Ii accanto ha a,·uto paura del mio gesto ed è fuggita, con l'ali aperte. schia– mazzando. L'acqua è ghiaccia, bo detto, e la gallina stride perchi.• l'ho spaurita. Sen– to, vedo, odo e penso. - Sono. La terra gialla che mi si appiccica alle scarpe, è terra ; q ueslo che tocco è i I mio viso riscaldato dal mio sangue. e quelli lassù per aria son due fringuelli in amore. ì\fa « l'io non esistendo senza il non-io .... > Fì I fil Fringut>lli in amorP. voi mi fate ricordare di Arianna I Arianna è la mia pena; Arianna è quella che amo e che nessuno conosce, neanche io. Se fosse qui con me le carcu:erei i capelli in silenzio ed ella S'Jntirrbbo che l'amo i ma Arianna non può venir qui perchè il destino che ci mena per la mano come bambini, 11011 vuole. Però non piango, nè maledico il destino: aspetto. E in– tanto vivo. Son qui sdraiato al sole, vicino a un capanno di paglia e di scope, e mi rimonclo un bastone di frassino per il viaggio, se partirò. - Xei pleniluni di settembre, i giovani contadini vengono in questo capanno, per badar l'tn·a, con un fiasco di vino, un mazzo cli carte e un fucile. Giuocano e bevono e ogni tanto spara.no una ~chioppellata per im– paurire i ladri: daq-li altri capanni altre schioppettate rispondono. e i cani abba– iano alla lontana. Ora il capanno è vuoto; ma ci sono ancora le quattro pietre do,·e i gio,·crnotti si sedettero p(>r l'ultima par– tita, e su l'una d'esse qualcuno (un ladro? un fanciullo?) ha fatto qualcosa che non sa d'ambra. :\l,1 cos.t importa? Io mi sento tutto inzuppato di giocondità: io amo, stamani. i giovanotti contadini, l'uva, il ,•ino, il giuoco, i cani, e anche i ladri, po,·cracci ! neri, nrl lume di luna, col roncolo sul grappolo, il corbello dietro a rene e l'orecchio tC's0alle foci• late. i\ 1110 soprattutto i bambini: i loro occhi impippiati d'azzurro, la loro bocca, tutta la loro carne pura; e quanto a quella cosl lì! Dio mio! pcrchè far lo schi1zinoso? uno di questi giorni puzze– remo anche noi: anche tu, Arianna che amo e che mi fai wnto aspettare e sof– frire!.. - È la primavc-ra ! - urla il tramon· tano, strappandomi quac,i d1 dosso il ,·c-.tito troppo IC'~i:(ero.Capisco, capisco! Grazie-, ,•ento va~abonclo come la mia anirnrt. '_I u vuoi rhrmi che la povertà è null,t e che Dio modera i venti in fa– vore d(.•ll'agnC'IIO tos,tto. Xon mi parlar Bibloteca Gino Bianco di Dio, e dimmi soltanto che il mondo .è .bello e chr anch'io son ricco. Son ricco. son ricco. e capisco ogni cosa. Oggi capisco anche che l'essere e il non ~cn~ :;i risolvono nPI divenir<'. Si. tutte queste forme, questi colori. questi suoni, questi odori, non son cose dh·ersc in sè stesse, ma vivono tutte in una didna fluenza infinita! L'universo è l'immagine fiammeggiante di un pensiero eterbo ed io non sono che una favilla di questo fuoco. ~la che mi si lasci a ogni modo accarezzar l'erba come se fossero i ca– pelli cli Ari; 1.11na.lo non voglio formu– lare il mio pensirro. Laggiù ç' è un ,·ecchio e un bambino che lavorano. Carican di concio una barella e ne fan tanti monticelli nel campo. li bambino vacilla per il troppo carico e il vecchio va cauto e lo dirige con le stanghe. Più là, in un pezzo di stoppia bigia, bruciata da ghiacci, altri cinque uomini scami– ciati vangano: odo il colpo secco dello zoccolo sul vangile, ,·cdo il luccichio del!a vanga che sparisce nella terra. e so che se mi a,·vicinassi sentirei l'odore delle piote nere dove s'arroncigliola il lombrico decapitato. Di dietro l'orto m'arrh-a la voce del pecoraio che chia– ma le capre smarrite: To' I te'! Presso il pagliaio, la massaia vestita cli rosso goverml i pulcini. Perchè volete che mi decida a dire se l'esistenza di tutti questi ~sseri e qucstr co.!-icsia subordinata al mio pensiero che li concepisce; se essi sono in mc o fuori di i-ne; se per mc il soggetto s'identifica con l'oggetto? Dillo tu, professore ebreo che disprezzai tanto iersera e che non puoi compren– dermi! lo guardo il nonno, il nipote e i cinque uomini affaticarsi in un lavoro magnifico e S"nto il mio cuore strug– gersi di tenerezza frdtcrn;1. 4\sco'to la voce del pecoraio e il pilli I pilli I della massaia, e mi ricordo di averli uditi altre voltr, al bel tempo della mia in· fanzia. Che rn' importa a mc della ve• rità? Io non voglio che vh·ere e amare. Amare_ non ,,uol dire comprendere? Io vorrei, questo ottobre, salire ancora su questa collina, verso ìl tramonto, con i miei tre amici o la mia unica amica, e che tutti, con un bicchiere d'aleatico in mano, fossimo d'accorcio a dire che l'uni• ,·erso è perfetto e che l'amore è la sua legge. - E sentirlo. Xon altro. Che se poi il dolore, il dubbio, il forse, il come, il quando e il rio perchè mi s'accaniscano addosso: se l'amicizia do· vesse spegnersi come un fuoco di paglia e l'amore cambiarsi in odio o. peggio. in freddissima indifferenza, ebb 0 ne! io sopporterò tutto volC'nticri per il ricordo di quell'ora. e [mpara ad esser duro - mi disse un fratello che ora è morto - duro ;x-r gli altri e più rluro ancora per te stesso •: ed io non ho dimenticato le sur parole. (ili altri uomini hanno sempre a\"uto bisog-no, pc-r vivere ed esser grandi. di appoJ.n,{i;trsi a qualche cosa che fosse ferma e stabile. Gli uni si sono appoggiati a Dio, gli altri alla Ragione che è un'altra sorta di dio, altri infin<' al do,·rrr ~ociale. lo do un ralcio a tutte lt• ba<,i, butto d,t tutti i puntelli e r<'~to solo, in bilico sur u!1 filo di ragno, sopr,t un abi~'-O hu;o. E la nuova ttramlcna? è la pazzia che viene"? }~:Id no,·i~sinl.l trage<li,t. :\la no, io sono tutti:, immerso nel1 1 az- zurro e nel sole. Sotto le mie spalle la terra sussulta com<' un ventre, come un seno, tra,·agliata da' semi che scoppiano e dalle radici chr poppano: sulla mia testa c'è il volo del tramontano e drgli uccelli: ,·icino il ron;do incs1"-"'rto de' moscerini appena nati, lontano la forza solitaria delle montagne,: per tutto la vita irrefrenabile, vittoriosa. Ed io sono felice. Come l'essere e il non css~re si risolvono nel divenire, tutte queste cose lontane, dissimili e opposte si risolvono in mc in un'ebbra melodia, ìn un flusso rapace di gioia, che monta e scende, s'allarg~ e si restringe; tocca il cielo ed è tutto e io non son più; mi ripiomba nel cuore e non c'è nulla ali' infuori di me. Ieri cercavo sui libri la vcrit,\ senza trovarla. oggi la sento, concreta, in que– sta musica, in questa serenità di prima– vera. e sono felice. Io, i\[enalio, il di– sgraziato dalle tre tragedie: filosofica. sentimentale e fi:1anziaria. Ardengo Soffici. La Calabria. I. Al movimento scientifico, artistico, politico della naz.ione la Calabria porta notevole con– tributo di dottrina e d'ingegno. Ma questo, che sembra un indice di ri• sveglio e di cullura della gloriosa regione, è, invece, triste e caratteristico fenomeno di decadimento; infatti gl' ingegni emigrano perchè la Calabria non sa e non ruò piì.t dare le condizioni necessarie affinchè i figli capaci vivano la vita dello spirito e produ– cano opere feconde e durature. Chi sente in sè forza d' in1ellet10 e volontà di la\'oro 1 de\•e andar lontano, per raggiungere la mèta: se, non sapendo \'incere gli affetti, le abitudini, la nostalgia della terra inrelice, rimanesse, finirebbe nell'ombra, incompreso, solo, col vano ricordo delle grandi aspira– zioni sfiorite. La vita del paese è terribilmente livella-– trice: non si voglion persone colle perchè non se ne sente il bisogno, ed anzi, nella cultura si indovina il nemico della quiete, delP inerzia, dell'abbandono diffusi in tutti. Ed invero, quest 1 accidiosa penombra in cui vive la gente di Calabria, senza aspira· zioni, senta ideali, senza vittorie, è pure senta lotte, senta rimpianti, senz.a sconfitte-. Il. Le condizioni morali ed intellettuali della Calabria sono dav,•ero desolanti. Se si rileg– gono le descrizioni che si facevano, uno o due secoli fa, degli abitanti di questi paesi e di ogni loro m:rnireslazione di vita si vede che ancora nulla è cambiato; t, se si vive in Calabria, si deve malinconicamente con– cludere che nulla accenna a mutare-. Sono le stesse divisioni gerarchiche, le s1esse caratteristiche, le stesse abitudini l'Ì– maste immutate attraveri.o i tempi. Tipi, li~ure, usi si lramandano di genera– zione in gener:uione: rimangono ancora, nellt! montagne, le antiche fogge di vestire, gli 3ntichi usi ma11imoniali, linanco gli an– tichi cantastorie. La condizione so-:iale della donna non si può dir mutata se- 1 ancor oggi, come bestia da !Om:t 1 rimant, e più utilt 1 facile, f'Cono– mico meuo di uac;rorto.

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