La Voce - anno I - n. 35 - 12 agosto 1909

l!:scc 0 irni riovedì in Firenze, via dei Robbia, U JI. Diretta da GIUSEPPE PREZZOLINI JI. Abbonamento per il Regno, T renio, Trieste, Canton Ticino, L 5,00, Un numero c:ent. IO. Anno I ,;f, N: 35 ,;f, 12 Agosto 1909. SOMMARIO: _LcUeraaperta al profeuor Pu■toal, rellore dell'Ualver1Uà di Bolo&u, LA Voct; - Guido 0oua■o, lii, E,111.10 CECC!II - Nel rnoaJo del professori, l\11cHELJ.: LOSACCO - Quel che rl1t1Ht di CaMao, PnsR0 J~lll~I< - LeUere Trlettl■e, Gn;st:rPE VlOOS!,ICJI - S.l\'ltore Fr11apaae, E\11()10 CARl-'ANI - Il prolcSMr Troll• vuol dire la 19'", 1.:. TitOILO, Gll."SBPPE PRt.ZZOLISl - Per ua attacco HO■l■o, g. pr. - l.tbr, da leJr,eere. LETTERA APERTA AL PROF. PUNTONI, RETTORE DEL– L'UNIVERSITÀDI BOLOGNA. Illustre Siguor R,ttor,•. Smz..n dubbio Lti de.vrSllptre 1111 bel muc– chio di cose,ma mi pt1 mella di 1/irle rbt di arto 1111a t1eig11or11: rhe il silmz.io è d'oro, td t 1/'orofiuo quaudo si lra/111di rose e di ptrsuuepielore. Q,u/ poveroRava, ad esempio, nutlava lnsrinlo i,, pttrt'. Ormai, votata la frgK1' per i professori1111i– v1•rsitari, il disgraz_into110,1 era piti fra il martello dellt rommissioui imploranti ed ui– gmti l'nrmu11l0di s1ipe111/io e I' iurndi,,e di Gioii/li rbe volroa {(IVarfuori 1111 allrd stnr– mt11l0di favoritismo e di rorruzJouedal Cm,– siglio ddl'lstmzio11, l'u/,/,/ira: ,. avrebbepa.s– Stlle tra11quillamente le s11,varauz.e. 1\rfa uro rbt Lti viene tt disturbarglii so1111i lra11q11il/; dei pomeriggi estivi, propo,mulo a lutti i rol– ltgbi di ltalia 11,111 soltos,riz_ioue prr ima 1111•– daglill al mi11islro,lmmnerito, se 11011 della srit11z.n,per lo meno dr/ l10rstlli110 degli scim– z..iati. A ,uhe. il borsel/iua,Lei pensa,pu0 tssere 1111 ideale; e rbi pu0 darle torto, illustre Si– g11or Rettorr.? Ed ; per qursto rbe /;"/111 volrva onorar, il R,1va. Lei, certnmwlt, avrll rsitato qtwlrbe tempo, lrll le idee pcrtgri11edel haurbctto e dr/la mrdaKlin; poi avrl, pmsato rbe. trat– tandosidell'ideale dd /Jorsel/iuo 111w medaglia e,-npi,i ai/atta allo sropo. E 11m11110 potr,b/!f roulraddirla davvero. So/Jau/1> Lri, assorto ;,, rbi sa quali profo,u/i studi, 11011 ha pmsato rlu ri sarrbbtro state proli>ste,ro111111mti e meraviglie. Aurbt tra i proftssori, 11011 dubiti, appma oltmuto l'aummto, si ( sviluppato 1111 i11rredibiltralore pe.r la srim,a e per la li– btrtit d1•/la co/Jnra ; t tra i 11011 professori ha11tr,wto bordone /11/liqudli rbe ,1011 pr<r frsst1110 per il borsdliuo 111wrivnmz..a erres– siva. fltda ,m po' q11a11ti i11co11vruil'llti, 1, .da q11a11te disrnssioui 1• <111auti nrmori. Non era meglio evitarli? Al sislmlll d,lla 111,dn![lia r dr/In paga- 1111•11t11 fissai ;,, uso prtSso gN 11srfrridtlle prtftltl/Yt' del mez.zc1gion10 I' prtSS() i rtlll1tritri disorwmi{z111idr![li 11/brrgi,i, Lei avrrbbe d1>– v11tosostituire u,w pi,i rilmz..iosa111a11ifestn– z.i0111•1 ,be, mi p,•r111et1t1 giù- lo dira, f pili nmsmta alle abitudi11i dl'i ministtri e di'Rli 11Jjìri puhbliri d'Italia: lt, mrmrÙI. Una gt'· mrom 111t111rin ,1/ ministro, smz.a rbe uess,mo lo sapessi•,avrebbes,>rli/11 meglio il suo effet10 e mlii flVrtbl11·obbligato il pvtllrtlfo " smtir tante 1,•t1ri dis,or<linei SU()irip11si estivi. L, Voci· GUIDO GOZZANO lii. SuppQnete uno di quelli esteti di tipo ormai classico - per es. l'amico reduce dall'Egitto, nella Gioconda dannunziana - che disgrazie di famiglia abbian privato delle rendite co• spicne, e orbato, conseguentemente, dei puro •ngue di Arabia e dei levrieri di Scozia, ve- 4ovato delle amanti, derubato delle maioli– che delle rilegature preziose dei cammei e degli scarabei, e messo, quanto a viaggi, in una quarantena definitiva. E non basta. Gli otii, i misteriosi ozii, profondi frondosi fer– tili come indisturbati frutteti conclusi non son più che un ricordo: quelli ozi i nei quali, un tempo, tanto eran concilianti e tranquilli, le sfumacchiature evanescenti dei sogni solitari e delle non contraddette fantasticherie assume– vano apparenza di cose solide e vive. Queste apparenze sbattono delle lor vagabonde alucce di tulle contro le pareti arcigne di una realtà immiserita e si ripiegano mortificate, o ten • lino più cauti voli, ora che ai libri intatti che l'usciere s'è portato via son succeduti regi– stri di conti e codici e filze avvocatesche. Il nostro giovinotto ha ottenuto un posto alle ferrovie o in uno studio. le innumerevoli etere, simigliante l'una dagli occhi a foglia di loto a una favolosa regina di Memfi 1 e un altra a una Vergine del Pisanello, e quell'al– tra, che, colla esotica grazia stupita degli occhi ceaii 1 faceva pensare alla soave Perdita di Shakespeare, han ceduto il. luogo :11la « da troppo tempo bella • moglie d'un collega. Il lourisme è ridotto a quello tranviario sulla via del Rifugio: una vecchia casa avita, la– sciata dai creditori, perchè non c'è da rica– varne tre soldi. Quando avanzerà tempo alle cure di uflicio e alle nuove e\!onomiche lus– surie andremo lassù. Spalancheremo le vec• chie porte e le imposte tarlate di rovere, e ci sederemo in salotto, sul divano a fiorami sbiaditi, a ,•edere il volo impaurito delle ti• gnole nel sole improvviso. Resusciteremo gli echi rochi delle stanze umide, col cucù del centenario orologio a cassetta. Usciremo al sole, sul muricciuolo fuor della porta, sotto la meridiana col cartiglio dove: « beali morlui qui ;,, Domino moriunlur • fece scrivere il nonno devoto e agrimensore. Spolvereremo, alzando con precauzione le campane di vetro verdastro, i passerotti impagliati e il cana– rino dagli occhi di margherite. In queste cose ci riposeremo; risfiorando, nel rivederle, la no– stra puerizia. The arl of our neecssities is strange, lhAt can make vile things precious. Il nostro esteta ha scoperto infatti, nel ri• piegamento della sua sventura, I' inaudito va– lore confortatorio di mille piccole cose che, un tempo, nella foga trionfale del suo sogno smisurato, egli anebbe cacciate insolentemente da banda, come imbelli e tutt'al più degne di un interessamento muliebre. Il centauro in cor~a nella boscaglia, sdegna i viticci lacri· manti delle vitalbe e l'umile leggiadria dei caprifogli. Bisogna anche aggiungere che la salute di questo giovanotto non è quella ili una volta. Non poter traversare ogni pri– mavera fino al Cairo e risalire un po' di Nilo gli nuoce. l'aria polverosa e le cure inette lo soffocano. È malato o non~ malato? Forse non lo sa neppur lui. È malato quel tanto che basta a non sentirsi perfettamente sano. Ed ecco, in breve, che mentre un 1empo, il suo orgoglio e la sua sete di vi– vere irridevano di sulle milionarie ali del so– gno a ogni limite che la necessità pone sui cammini degli uomini, a volgerli ed infrenarli, nella su:i miseria attuale, egli, I' orgiaste, è fallo men che uomo. Morto alla praxiS, gli resta il nepente dei ricordi e di questo egli si innebria; perchè i ricordi guardano e por– tano addietro, ed egli rimasticandoli si sente sminuire, tornar biondo adolescente, bianco comunicando, e rimpiccolire ancora, e fin gli pare, a volte, di ridormir, rifugiato con le Bibloteca Gino Bianco ... braccine in ctoce, come il b2mbinello nella zana, come il feto nel grembo della madre; esser ricondotto in un crepuscolo do,•e sente di offrir meno bersaglio al dolore, appunto perchè si è rannicchiato nella bestialità. Al tempo dei Werther, degli Obermann 1 degli Ortis, arrivati a un certo punto: una lettera e un buon colpo di pistola. Era una fine da pazzi, sia pure, ma di una pazzia vi. rile, giacchè uccidersi di1nanda coraggio e un'eroica fiducia nella Morte che farà quella giustizia che la Vita non ha saputo fare. Il ge· sto di questi insani rispondeva forsennatamente, ma rispondeva 1 al calmo e formidabile « me• glio all'uomo non esser nato» dell'antico. Era un salto nella notte, non una abdicazione malinconica, dopo la quale l'abdicante resti a spiar dal buco della chiave quel che si fa nella sala del trono. Tale sona di abdica– zione è ora infatti succeduta a quella defini– tiva violenza. Una semipazzia indecisa, che si tien ('.!or della pugna della vita e non è ancor nella rinunzia i una leggiera griserie di ebetudine canterellante nella quale tutto si dissolve. Rido nell'abbandono: o Cielo o Terra o Mare, comincio a dubitare se sono cl se non sono ! Ma ben verrà b, cosa e vera> chiamata Morte: che giova ansimar forte ner l'erta faticosa l Nt! voglio più, nt! posso. Più scaltro degli scaltri dal margine d'un fosso g~ardo passare gli altri. - Tristi, siam tristi, singhiozzano i nuovi poeti nei loro momenti di confidenza. Non crediamo nella vita, nè nell'amore, nè nello spirito, tanto meno poi nel padre eterno, seb• bene taluni di noi, come biondi pretini intonsi, officino sulle tombe delle loro speranze morie vergini in jeratiche vesti nere e scandano le loro melopee sullo scampanio fioco delle squillette dei loro piccoli candidi romitori. Sudiamo acqua e sangue, a modo di tanti piccoli Gesù, in tanti piccoli Getzemani di cartapesta. Ma non compiangeteci I Non ve· dete le stelle come sororalmente accennano, piegandosi dal cielo quali margherite a ve– der la nostra agonia? - Tutto è perduto, e, se vogliamo, anche l'onore, ma questi bambini che, nel giardino giù sotto, fanno il girotondo, come cantan graziosamente I - E qui, magari, un'osservazione di folk· lore. - Signora, sento che non avrò molto a crepare, ma, in attesa, mi faccia il piacere, mi rilegga colla sua bella voce la Morie del Ceruo o il Congedo; cosa crede meglio .... - È Werther che posa la pistola, si attona con un bicchierino, apre la finestra e si mette a contemplare il paesaggio sotto il chiaro di luna, finendo col farci sopra, non dirò proprio un sonetto perchè il sonetto è da arcadi di vecchio stampo, ma una canzo– netta, se non vers•libnS/r, modulata con di– sinvolta scaltrezza di anacrusi e tempi sospesi sul ritmo salmodiante delle tirate di Fra Ja• copone. Curioso francescanismo di questi improv· visati canori amanti del buon Gesù I Non è, fra i moderni francescanismi, quello che at· tarda le coppie peregrine degli amanti a gu– stare un nuovo sapore nella loro estasi sen– suale dietro le siepi dei pingui pomarii con– ventuali ; nè il francescanismo che fu un pimento di lavoro a Gabriele d,Annunzio e a F. P. Michetti nelle solitudini del convento di Francavilla. Ma sotto questo nome si può ben riassumere tutJa la smania rientrati\11 di questi p<':ti, :a loro ecoromia d1 vita e d'arte, la loro frenesia d'occupar poco po· sto, di umiliarsi, d1 struggersi, di elementariz– zarsi ; quasi che, con ogni possa, essi in– tendano protestare e riparare al vigoroso scandalo delle scorribande, delle etfusioni fiumali dei lor padri letterarii. In abito dì poverelli si seggono es5ti sui gradini corrosi delle porticciuole sbarrate di glicine della casa del loro sogno, e ciò che mendicano altro non è che la continuazione della loro tre– gua tepidamente soleggiata, nella quale, come da un dolce male progressivo, senton sempre più mangiarsi dal nulla, e malgrado che la rampogna della vita dura e combattiva giunga loro in quella tregua, cui non possono alle– gare altro diritto se non il diriuo della loro miserabile impotenza, come :.ltra misun dei loro afTeui non conoscono se non il pianto ch'essi piangono nel sentir che di ogni af– fetto sono incapaci. Il Gozzano è il poeta maior, il Messia di questa scuola, di vita anche pili che di poe– sia, i I che spiega la vasta fama rappresenta– tiva che ormai gli si compete. Della quale scuola, frattanto, s'egli è il Messia, Sergio Corazzini sarebbe stato in certo modo il Bat– tista. La strofe del giullare di Cristo che il Corazzini adoprò nelle sue prime cose, lo for· zava ad un'esattezza di segno nell'erronea repugnanza della quale più tardi lo illusero fino •I peradooan i ritmiallumacatidi Francia Jammes e C.i. E mentre, a volte, egli era rin.. scilo a graziosamente stilizzare quella strofa pazzarella, alitando nella innata baldanza che essa respira la coscienza della sua insanabile malinconia, nel qual contrasto era poi un latente umorismo, più spesso la velleità della libertà e dell'antiaccademismo fini per farlo scappar per la tangente in un assoluto de– forme, dove la sua miseria ci si offre scon– cia e resupina, come un cadaverino sezionato sopra il marmo d' un !avolo anatomico. Dietro a lui, a galletto zoppo, F. M. Mar– tini. Il Gozzano, assai più forte di essi, ha a· vuto il merito di tenersi accosto accosto al- 11umile fondo percettivo, storico, di questa poesia, e dirigerla niente altro che ad una scoperta di particolari; la qual precauzione, a un contenuto privo di ogni serietà ideale, ambiguo come P odor dei cassetti dove son gettate alla rinfusa vecchie lettere profumate e fiori, e le scorze di quelle arancie nelle quali la bocca dell'amata si affondava con atto cosi procace 1 e guanti, e fiale con ancora un velo di odore,e boccette di medicinali dal tanfo nauseabondo, e ciarpame, cosi caro al la sua Musa > 1 riesce a conferire una certa aria di consistenza. Non solo: ma questa umile lu– cidità egli I' ha arricchita d'una virtù, ap– presa dal , 1 ecchio Giusti forse anche più che dallo Stecchetti : la virtù toscana di un riso simpatico quanto più dissimulato, che disarma e concilia, e fa garbatamente vibrare la tri– stezza e l'av;iva, allorquando essa accenne– rebbe a ripiegarsi sulle gambe, sullo sce– nario da m:irionette che il barocchismo di– lettante del poeta le ha decorato percbè essa vi reciti sopra la sua favoluccia. E foor che in certi momenti di fiacca, il Gozzano sa bene che gli è impo3sibile derivar da questa sorta di tristezza e Ji riso un'ane di maggior re– spiro. Si può veder per prova, come istan– taneamente, uscito dalle sue cellette di im– magini e dai suoi rococò aggraziati, egli si falsifichi, per es. nell' Anaifabela e nei Sonolli, quando egli tenta dar la formula del proprio dolore, l:1 definizione della propria morale

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