La Voce - anno I - n. 30 - 8 luglio 1909

E~e ..og~i giovedì: in Firenze, via de' R bb' 42 o· d GIUSEPPE PREZZO 1 O ra, JI, rrelta a LINI JI, Abbonarr.ento per il Regno, T renio, Trieste, Canton Ticino, L. 5,00. Un numero tent. m. Anno I $ N: 30 $ 8 !.,~1glio 1909. SOM~IAl~IO: I 1lgnorl Plae.110 e l'Italia I \' · o ·, _1 CR , _ • _• -" OCt-~ - lobcrli postumo, I 11. ,\/1<:A1. - Prelimlnarl a una rasMIJII• di poesia, 1: 1111, 11 C:.cuu OCF. Lellera da Piume, (,l'.)OI,\ I IARASBI - F/nfu'ì I "vris, 11. SFRl'RSTl"'O - Clii g-iudidurà il ,l[i,,dia., l'l Staio Edilorc, GJO\'ANNI P,\l•l~I - l'Italia che non sa, Hr.,Hl>IC:TTO I signotti Piaggio e l'Italia. Ormai lulli i gala11/11omi11i d' llalù, hanno capilo i11 cosa consista la porcaia delle con– venrJoni ,nari/lime. D11e,oci'elàfi11h 11emkhe, che si le11go11 di balla a vicenda pur diffidando l'una dell'allra, _çi s011 ,m:sse d',,ccordo per meller nell'impiccio il governo e arraffare pili milioni rhe possono al!,, barba dei di'sgra{''a/i. Se l'affa,e riesce una /a1111'glic1 ricca (cioè Pi'aggio - Llo_rd Italiano) diventerà ancora più l'icca alle spese di Ittiti ''°i, di fu/li gli ilalia11l che i,, capo all'a11110,iu 1m modo o nell'altro, danno qualcosa al governo La cosa era lanlo grossa che perfino il Par/amen/o d ha fallo una huo11a figura. T11ll1,· gli 11omi11iperbene della Camera fla– lia11a,di destra e di sinistra, hanno fallo dei caldi e solidi discorsi ronlro l'imbroglio che si prepara. Nessun deputalo, per ora, l,a avuto il fegalo di d,Jemlerlo a viso aperto. li mi– nistro l'ha difeso per dovere d'ufficio - e 1111 (elehre etmdolliere di mercenari ministeriali ha dello queste sclufl)separole: « Voi parlate, ma 11oivoliamo.' •. Qui 11011 vogliamo fare della politica quo– tidiana nè vogliamo occuparci parlilameule delle co11ve11\io11i mari/lime, per quanto sap- piamo the son cose imporlo11/issimi: ptr i 110- slri commerd e rapporti col mondo. Noi vogliamo, stcomlo il nostro solito, additare la moralità del fallo. Noi t·edimno da 1ma parie 1111a f 111il(l1'1 o una dienltla riua, armtgtio11a e ingorda che cerra d'impi11guarsi dell'altro a spese di lulli e 1111 got 1 er110 il quale, o per debote«11 o ptr in/eresse, !'aiuti, e la spalleg– gia - dall',,llra parie i mi'gliori 110111i11i della Camera che rie11t111\ia110 la frode e la ca11a• glie, ia del 1111ot·o affare e 1111 popolo rhe lat:ora e che ha bisogno d'essere educalo t 11011 deru– balo. N(liallri, come t,,1/i gli onesti, stiamo Per 9uesl'11llima parie e ci fa meraviglia d,e di fronle a 1111 simile tental1t10 di pira/tria J!ara,tlila dallo Staio 11011 ci sia una maggiore i11dig11a1Jo11e ti, noi lulli. Palrrmo, è t.1ero, è i,, suhbuglio, ma per mo/ivi rev'onali e 11011 di urlo morali e il furbone rl,c ci governa la calmerà con quald,e promessa o qualche co11/c11lino. Si" ltnla, qua e là, di so~liluire gli infe,tssi locali a quelli 11a\Ùmali, tome i signori Piaggio lmlano di sostituire quelli f11111iliaria quelli locali e na\1011ali. È la solita storia di fui/i i regimi e /11 tlcmocra\,tl, se si guarda bem, r"ppresm/11 1111 progresso 1111ica111enle pere/,} permtlle che il pollo strilli men/re lo spennano. La Voce. GIOBER'"fl POSTUMO Ricompare Gioberti in due volumi. Im– portante specialmente quello edito da Bocca. E ricompare in veste di filosofo e di rifor– matore religioso. Come filosofo non ha forse novità impor· tanti da annunziare. E dove sono, del resto, le novità importanti in filosofia? Qui vera– mente quello eh~ è nuovo non è importante e quello che è importante non è nuovo. Tuttavia giover.\ considerare un momento almeno l'ideologo in Gioberti. Perchè si abbia un'idea, egli osserva (e gli pare di dir cosa nuova ma è fortunatamente vecchis– sima com'è verissima)i occorre un soggetto, un oggetto e un punto d'unione tra i due, una intelligenza, un inteso e un intelligibile. Que– sto è appunto il mezzo in cui il soggetto· mira come in ispecchio l'oggetto. Questo mezzo è il lume di\lino, quello che gli sco· !astici arabi hanno analizzato assai finamente sull'esempio dei Greci e che A,•icenna dopo Farabi assomigliava al fuoco a cui s'accende la fiammella del!' intelligenza umana. Tanto il platonismo è eterno in filosofia e tanto ogni filosofo serio è necessariamente plato– nico, anche se non lo sa e non se ne rende conto. Infatti l'intelletto agente, il lume di ragione e la visione in Dio sono denomina– zioni diverse per esprimere l'unh-ersale con– creto, il necessario, l'essere ass~luto che è Dio. Gioberti innova dunque assai meno di quel che si crede. Ma se innova poco, giov:1 ..invece parecchio, specialmente in Italia dove una sofistica e una pseudo-filosofi, facilona e popolare vorrebbe far tavola rasa di tutti i dati più essenziali della filosofia perenne e incommutabile. Tutti parlano oggi dello spi– rito e del processo dialettico in cui si av– vera e si attua e dell'immanenza dell'asso– luto nel relativo e nel contingente. Ma è un parlar a vam•era. Quel!' immanenza postula, esige una trascendenza, anche se i beati pos– sessori dello spirito universale non se ne ac– corgono e non lo sanno. Gioberti se ne ac- corgeva e lo sapeva e gliene va data lode. Il contingente postula il necessario. E questo è prima di quello. Il superiore spiega e giu• stifica I' inferiore, non viceversa. Il primo ossia il principio non è il germe, dice"a, parmi, il \ 1 ecchio Aristotele, ma l'essere per– fetto. Dio che è l'essere perfetto, è garante delle veri là relative e imperfette ond' è ca• pace l'intelligenza umana. Qualcuno con in– genuità adorabile vorrebbe definire la filoso· fia come il superamento del mistero. Ma farebbe meglio se la definisse come il ricono– scimento del mistero. È un'ignoranza dotta da Socrate in poi e resterà sempre tale per quelli che se n'intendono un pochino. 4; Dio, dice il buon Gioberti ed ha ragione, è del pari razionale e SO\'rarazionale, come suprema e\'idenza e supremo mistero •· Perchè un po' di verilà !-ia immanente all'uomo, biso– gna che la verilà assoluta lo trascenda. Per• ciò dicevamo e ripetiamo che l'immanenza postula ed esige la trascendenza. Certi hege– liani si mettono le mani davanti agli occhi e si guardano perpetuamente la punta del naso e perchè non vedono oltre la punta del naso dicono che non c'è altro da vedere e non vogliono veder altro e confidano beata– mente di veder lutto. Ma la verità è che quei poveretti si meuono in condizione di veder molto, molto meno di quel poco che pure sarebbe altrimenti \lisibile. È un'illusione che gli fa beati, lo :unmello, ma anche ridicoli. Un'osservazione importante e molto giusta di Gioberli sull'illusione hegeliana soccorre qui opportunamente. Gioberti osserva: « il grande errore di 1-legel è di aver applicalo all'ente l'idea di esplica\1011e propria dell'esis1en1e » il che significa che Hegel ha semplicemente scambiato la 1eoria del fenomeno il quale è molteplice e contingente, colla leoria dell'as– solu10 : e sopprimendo questo, ha soppresso anche il mislero. Senonchè sopprimerlo a pa· role non vuol dire sopprimerlo a fatti; vuol dire non riconoscerlo, ossia vuol dire che Bibloteca Gino Bianco avendo la veduta cona di una spanna l'uomo crede :. <; illude di averla lunga ali' infinito. Ma l:t veduta resta quel che è e P iliusione rf'sfa i1::..sione. Lasciamo il Gioberti tilosofo e vediamo Jé momento il n formatore che è anche pili interessante e più attuale del filosofo. Tanto attuale che non saprei quale dei pii1 noti modernisti viventi sia cosl attuale e cosi vivo come lui. Ciò torna a gran lode dell'abate piemontese perchò attesta la fecondi1:1 e la sagacia quasi profetica e divinatoria di quel suo magnifico ingegno. Tutte le tesi piii importanti e pili vitali dell'odierno modernismo sono ndombrate o lrattate largamente da Gioberti in quella sua libertà callolica che è un semplice abbozzo ed è vecchio oramai di pii.1 di 50 anni. Deve infatti averlo scritto verso il 1850 ed è un primo getto disordinalo, caolico, pieno di ripetizioni e d'imperfezioni, ma, insomma, eminentemente suggestivo e fec.ondo. Se me lo permettessero il tempo e lo spazio, vorrei riprodurre i tratti salienti di questo libro sulla 1radizione cauolica, sull'ispirazione della Bibbia, sull'autorilà legittima in quanto è fomite di libertà e d'espansione, sulla natura del dogma e sulla sua evo luiione e su lutti i punti più importanti e vessati del problema religioso. Bisogna pur troppo che mi limiti a fugacissimi cenni. La tradizione fu considerata da Gioberti, come è ora da Bionde!, quale cosa viva e ~t~~o!=-a non 1;uale co,;a lllOrt:t. e- La tradizione cattolica, <licc eg!T in un luogo e lo ripete con altre parole in molli allri, non è una semplice somma di formole ma una filosofia viva e progressiva >. « La tradizione è nell'ordine delle idee ciò che Ja generazione è in quello dei corpi. Quella è l'evoluzione logica dei concetti, questa l'evo– luzione filosofica delle specie. Entrambi sono il trapasso dalla potenza all'atto. La tradi– zione è una generazione ideale. La genera• zione è una tradizione organica >. Quindi la tradizione è trasformazione. e Come il cattolicismo del medioe"o differisce da quello dei primi secoli, cosl il moderno dee diffe– rire da quello del medioevo. Tal varietà riguarda l'applicazione successiva non la so– stanza identica e immanente». Coloro i quali affermano che il cattolicismo presente non può variare da quello dei bassi lempi 1 senza scapito della immutabili1à intrinseca, pro"ano troppo: giacchè per la stes!-a ragione il cat– tolicismo del medio evo non avrebbe dovuto variare da quello dei primi tempi >. Sarebbe interessante sapere se Gioberti conoscesse l\ewmann. li libro di Newmann è del 1845. E queste osservazioni di Gioberti sono, credo, pos1eriori. ~la nè Gioberti cita mai l'inglese, nè alcun indizio ci fo supporre che egli. !!apesse nulla dei lavori e delle idee di quello. Piuuosto è da ritene1e, ci sembra, che l'in• contro dei due sia forrnito e dovuto a ana– logie di lempo, di circostanze e di scudi. L'evoluzione di cui parla Gioberti è, del res10, l'evoluzione integrale che comprende l'efficacia dell'ambiente e delle circostanze esleriori come del germe interno e della forza creatrice che è propria dell'organismo \ 1 ivente. Anche in questo si mostra in1ellttto quadralo e ricco di buon senso italico, o, com'egli avrebbe detto, pelasgico. Con New– mann s'accorda anche nella questione del– l'eternità delle pene. E ricorda e anticipa Leroy nella sua teoria dei dogmi. Le definizioni dogmati– che sono negazioni ed esclusioni cosl per l'uno come per l'altro. , L'idea positiva del dogma bisogna che ogni fedele se la formi. L'insegnamento estrinseco non è nè può essere che rcgati,·o e dire11ivo, come dice Platone; imparare è ricordarsi, cioè imparare da sè.... Le detinizioni della Chiesa non sono che negative .... La Chieta fa l'ufficio della parola: impedisce che il fedele scambi un oggetto coli' altro ; lo fissa su di esso; onde procede sempre per esclusione e in modo ne– gativo ». E ahrove: « Le definizioni della Chiesa sono vive in quanto s'indirizzano contro gli errori vivi. Sono semplici esclu– sioni di quest' errori; non insegnano diret– tamente il \!ero. Quindi, morto l'errore, an– ch'esse mancano di , 1 ita. La verità cattolica non consiste in quelle \1UOleformole. È viva, in1egra 1 organica e consiste nella tradizione perpe1ua e universale». Il dogma poi tra– scende e supera la formola che non può mai essere adeguata. E anche qui la tesi di Gio– berti combacia perfettamente con quella di Leroy : « il dogma vuol esser definito ma sl che si comprenda esser superiore alla sua de– finizione e che lo spirito umano non diventi schiavo delle sue definizioni m.1 liberamente le padroneggi». E come le tesi di Leroy, troverete in Gio• berti anticipate quelle di Tyrrell, di Loisy di Harnack e di altri. li cattolicismo deve acconciarsi alla scienza dei doni e alla co– scienza morale dei popoli e far getto delle tradizioni morte per conservare, fecondare e sviluppare quelle vive. li medio evo fece cosi P'".. rhmetto ali' età rtei padri o noi dob– biamo rar lo stesso per rispetto al medioevo. E in ciò consona. perfettamente con Tyrrell. Il cristianesimo interiore non deve lasciarsi sopraffare come da vegetazione parassita, dal cristianesimo esteriore. In quest'ordine d'idee Gioberti va assai lontano e può sembrare talora troppo radicale persino agli occhi di un esegeta ardito come sarebbe Loisy. « La mitologia è una poesia trasformata in istoria. li cielo, l'inferno, la valle di Gio– safat, Cristo che vien sulle nubi, le forme angeliche, diaboliche ecc. sono semplici ima– gini ideali (cioè simboli). Nel medio evo si fece di tutto ciò una scoria letterale. Cosi la simbolica divenlò mitologia». l' essenza del cristianesimo nel pensiero di Gioberti è il culto di Dio Padre e il giudizio ben inteso. E quest'essenza è immortale, mal– grado la vicenda delle forme e le alterazioni indotte dalla lradizione organica e vivente che è moto, sviluppo, creazione incessante. Una tradizione cosi largamente intesa è au– torità a un tempo e libertà. Autorilà e li• berlà son mezzi, non son line. Dovenlano idoli vani quando in luogo di mezzi si considerano come lini. li fine è la espansione integrale della volontà umana che fa capo a Dio in quo vit,imus, movmwr et sumus. l. 1 au1orità è legitlima quando serve a sviluppare la libertà ed è legittima questa quando serve ad integrare ed impinguare di• vi11amente la volontà. u Tanto è lungi che l'autorità, anche infollibile sia eia anteporre alla verità e alla ragione, che essa non è degna di ossequio, se non in quanto è verità e ragione .... Il solo omaggio alla \lerità, alla ragione, ali' idea è morale: perchè mettendo in conlalto lo spirito umano coli' idea, la verità, la ragione (che è quanto dire con Dio) lo informa di un abi10 eccellente e perfe– ziona la sua nalura ». L'autorità cattolica è solo negali va : non dà l'idea ma guida per averla. È ostetrican1e come Socrate e Pla– tone: questa frase r,ittoresca è proprio di Gioberti il quale in pili luoghi rammenta il figlio della levatrice ateniese come il mae-

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