BOLOGNA 13 era tanto favoleggiato, è nelle nostre mani. La fe- .licità è dunque il risultato dell'attività. Ma quando si dice attività si dice qualche cosa di generico. Ora quale è la vera attività? Giacchè, dice giustamente Aristotele, essa no~ possiamo negarla agli animali, che in quanto cercano di- soddisfare ai bisogni si dimostrano attivi, rra tra gli animali e l'uomo passa grande differenza, chè i prim~ sentono, ma non hanno la mente, mentre il secondo ha la mente. Onde l'atto propriamente umano è l'atto dell'anima, cioè l'atto della ragione, che, infine, s'identifica colla virtù. Di qui la famosa definizione aristotelica che l'atto dell'animo in quanto è diretto dalla ragione è la stessa virtù, e quell'altra che la felicità consiste nell'esercizio della virtù. « Non vi è felicità senza virtù nè virtù senza attività ». È questo il concetto conclusivo di Aristotile, che nella sua celebre Etica a Nicomaco scrive queste stupende parole : « nei giuochi olimpici non il più beli~ nè il più forte vincerà, ma quegli che saprà lottare nell'arena ». Anzi gli stessi Dei sono felici in quanto· agiscono. Per ciò lavoce di Aristotele ·è la prima voce che ,squilla alta e profonda contro l'oggettivismo, da cui era tutta presa l'anima greca, benchè anche lui, in ultima istanza, si protende verso l'ideale di un mondo oggettivo che noi non facciamo, ma traviamo e come tale s'impone a noi. Ma che importa? Il principio dell'attività posta da lui sarà sviluppato e. fecondato dal pensiero posteriore. Se non che a noi preme porre in rilievo il concetto, aristotelico della virtù che è il fondamento della sua concezione politica. Per lui vi sono due specie di virtù : le morali e le intellettuali. Nelle prime domina il principio della medietà o del giusto mezzo, e quindi la vera virtù morale consiste nell'evitare il difetto e l'eccesso, cioè gli estremi. Ma che cosa sono le virtù morali ? Esse sono -l'istinto naturale del bene accompagnato· dalla virtù. Onde per la loro costituzione occorre un elemento estrorazionale, laddove le virtù intellettuali sono le virtù esenzialmente razionali, di cui la più eccellente è la scienza. Fra le virtù morali le più eccellenti sono l' a- .,,,,micizia e la giustizia su cui egli fonda tutta la sua politica. 4 Ora è appunto per il suo concetto di giustizia, che definisce come il bene degli altri, che la sua mente ritorna quasi con senso nostalgico al platonismo, che pur vol~va risolvere del tutto in • • • una concezione supenore. .. • iblioteca • 1no anca I Difatti, egli dice che la giustizia riposa sul1'uguaglianza, benchè egli ammetta due sorta di giustizia e quindi due sorta di uguaglianza. Nè la sua concezione universalistica di origine schiettarnente platonica si fonda soltanto nel suo concetto di amicizia, su cui scrive le pagine più belle e più suggestive. L'amicizia è per Aristotele il fondamento di tutte le associazioni umane, anzi la giustizia, se non è illuminata dalla amicizia, è pallida, scialba. ' Qualè il fondamento dell'amicizia? E l'amore di sè. Questa definizione che nel suo schematismo si presta facilmente ad equivoci, perchè potrebbe condurre direttamente a una concezione morale egoistica, ha inveçe un significato e µn valore universalistico. Difatti, secondo Aristotele, solo 1'uomo può amare se stesso. Il malvagio non solo non ama nessuno ma neppure se stessQ. Sicchè l'amore di sè non vuol dire altro che l'amore dell'uomo co- • I me uomo nella sua universalità. In altri termini, noi amiamo gli altri in quanto amiamo noi stessi, ma in quanto siamo virtuosi, perchè la virtù costituisce la vera dignità nostra, cioè la nostra vera personalità. Ecco perchè Aristotele continuando a parlare dell'amicizia dice che I'amiciz~a sembra piuttosto consistere nell'amare che nell'essere amato, vale· a'dire che l'amicizia è una virtù vera in quanto si dimostra attiva e codesta attività è semplicemente l'amare. - Ora amare e non essere amato significa volere il bene degli altri come il nostro stesso bene. Aristotele aveva un concetto così plastico, cosi intimo e profondo dell'amicizia da ritenere che l'amicizia è qualcosa d'eterno tanto che quella che si rompe non è stata mai vera amicizia. Sul concetto dell'amicizia come nodo indissolubile che lega due o più esseri si fonda la costruzione politica di Aristotele, la quale pertanto ha un accento profondamente umano. Giacchè nessuna cosa sentiamo più vivamente dell'amicizia, per la quale sentiamo dilatare il nostro spi rito, e avvertiamo quindi che non viviamo solo per noi ma anche per gli altri. Così è facile spiegarsi la ragione per cui Aristotele pone l'amicizia come fonda~ento di ogni associazione, e prima della famiglia e poi del borgo che è l'associazione delle famiglie e infine del~ lo Stato che è l'associazione dei borghi. Così lo ' ~lato è l'ultima associazione e la più perfetta e come tale comprende tutte le altre • I
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