Via Consolare - anno II - n. 4 - aprile 1941

L'ULTIMO VIANI Veramente « Barba e capelli » non fu l'ultima opera di Lcrenzo Viani. Giacque il manoscritto - per forza di cose - in una specie di quarantena e si vide passar innanzi il romanzo « Il Bava », le memorie « Le chiavi nel pozzo » e quasi anche la raccolta di poesie « La polla nel pantano » (Il qual libro il fato si compiacque di spezzare a metà, quando all'improvviso Viani morì mentr'era al Lido di Roma ad affrescare le sale di certo palazzo). Che però « Barba e capelli » dia modo di rammodernare i panni del Viani già noto, non credo. Certo la sua stampa non è un'idea peregrina - e si potrebbe dir di peggio - come quella del " Solus ad solam » dannunziano. Anzi, a riveder sott'occhio le singolari doti di artista di Viani con tutti i suoi « pro » e « contra », si prova piacere e interesse; e rivengono alla mente le nodosità della sua arte e del suo stile che i critici - per quanto su Viani si sian gettati come sul miele - non hanno ancora faIlo passare pei loro pettini. Intanto " Barba e capelli » è un'opera del tutto vianesca. A scorrer pagina per pagina una raccolta di quei suoi disegni, scarabocchiati, tutti un groviglio di filamenti nerigni, si prova la stessa impressione. Una fila di gente sbertucciata, lanuta, a piedi nudi, brache e casacca a sbrendoli o bugnate di toppe, con certi visi illutati e seppiosi, ,da parer appena sciaguattati nei fondigli dei pantani. Viani a incider con la penna o con lo stilo o col pennello i contorni di questa ciurma di gente, ci diguazza felice come un generale antico sul carro del trionfo. Figuratevi ora che in « Barba e capelli » egli ci descrive la bottega di barbitonseria a Viareggio, aov'egli da ragazzetto passò più di un anno in qualità di garzone. Non occorre qui riferire che un tempo le botteghe di barbiere, in provincia, erano il palcoscenico della città. Sui seggioloni girevoli a farsi scuoiare le guance o dipennare la zazzera ci passavano tutti : dall'accattarotti al maresciallo imbustato e baffuto. Non ci voleva altri che Viani in quell'ambiente per scolpirsi nella materia ancor tenera dell'anima i ceffi di quella processione d'ogni giorn.o. (Si pensi per farsene idea - a « Ubriachi », a « I •vàgeri »). Sono rimaste - a dir vero - nella mente di Viani anche le barbe fatte a personaggi illustri: a D'Annunzio, a Menotti Garibaldi, a Giacomo Puccini, a Leonida Bissolati; ma il gran mare del libro è fatto di quei volti accartocciati, di cui parlavo poc'anzi. E non vi so dire che aire prenda la prosa di Viani quand'è nel vivo della descrizione di quei pezzenti... S'arriva a certi « crescendi » da aver poi le orecchie rintronate per lunga pezza. A un certo punto, per esempio, descrive le facce dei suoi avventori; e tra cartilagini, fosse orbitali, lardo di ganasce e pomi di zigomi il fiato gli si fa grosso ed eccovi la sbottata finale : " tutte queste teste le ho rapate, sbarbate, tagliate, sgranate, sforbiciate, tosate. tirate, sgrassate, digrumate, impomatate, truccate». . Tanti participi, uno alle calcagne dell'altro, paiono F d . _propri9-t'CO.PJl 0 jldi cqpercti~in una banda d'ubriachi. on azione l"'(UTTI1 - r-om Pag. 8 Ma sarebbe iniquo far di Viani un bozzettista incancrenito traente origine dalla tradizione ottocentesca toscana; e non vale per le sue ,matterie gergali raffigurarcelo antiletterato, silvestre, quasi analfabeta. La sua prosa - lo so - è un calvario pei critici e, a metterci le mani, è così spinosa, rubesta e acre che si risente poi un dolicchiamento per più tempo. Eppur Viani è artista sincero che ha l'anima sorgiva. Val quindi la pena che su di lui s'indaghi. Intanto di sicuro si può dare un'avvertenza (che potrà forse tornar sgradita a Krimer che fu intimo del viareggino per molt'anni ed or pone una prefazione a « Barba e capelli »).: i libri di Viapi a ruba sulle bancarelle non andranno mai. Il che significa che l'autore de « I vàgeri » di popolare o popolaresco non ho neppur la vernice. Ogni buon critico sulle pagine di Viani s'è infastidito, perchè ha arrischiato più volte d'inzuccarsi nel più cieco labirinto della prosa dialettale, arcaica. marinaresca, vernacola, arcindiavolata. Qui mi risovviene una frase letta nel « Sodalizio con Viani » di Krimer : a chi gli faceva osservar le difficoltà di capire la sua lingua, diceva: « non voglio essere uno scrittore con ottocento vocaboli, ma con ottomila ». Giustissima aspirazione, che ogni scrittore dovrebbe avere! Ma è lecito chiederci dove Viani andasse a scovare quelle migliaia di vocaboli... Si dice che egli leggesse moltissimo, i classici sopratutto; che andasse ore ed ore per le contrade, le callaie, le botteguccie, tutt'orecchi, a cogliere il suono d'una espressione originale. E fin qui non vi sarebbe nulla .di men che lodevole. Va però notato che molte sue frasi. passate allo staccio lessicale, non hanno significato .alcuno : o perchè si ha di fronte una parola ignota ad ogni vocabolario e sfuggente ad ogni etimologia, o perchè - e il caso è frequente - molte parnle hanno, prese a sè. un significato ben diverso che nel i:;eriodo vianesco. Eppure a leggerla tutta di getto la pagina, una sua armonia l'ha, ed espressiva anche. Questo, a me pare, più che imperizia popolaresca è raffinatezza di gran letterato che tanto ha studiato la lingua e lo stile, da arrivare con essi a fare il funambolo. Certo chi pone le proprie risorse nell'audacia d'una tale prosa. dà il brivido d'un motociclista a cento tra una selva di birilli. E a vederlo v'è chi si diverte, e chi invece si infastidisce ·e va a guardar i pedoni su una strada larga venti metri. La qual cosa nulla toglie· al merito di Viani, ma dovrebbe far manifesto a Krimer e amici quanto sia vano far· recriminazioni sulla sensibilità del popolo... Questo stile - ritornando a « Barba e capelli " - il libro nuovo non lo smentisce, l'avvalora anzi con esempi vieppiù probanti. A cercar poi i precedenti di siffatto diavolaccio di scrittore, più d'uno già s'è sbaccellato. Di frequente in quest'ultimi tempi s'è fatto il nome cli D'Annunzio. Ma è una via da prendersi con passo di felpo, chè l'abruzzese in molte cose - e non tra le più esteriori - è mille miglia discosto da Viani. Tutt'al più vale il discorso che fece - or è qualche tempo - quel finissimo critico ch'è Pietro Pancrazi: mettendo a lato certi temporaleschi e stravaganti eroi delle « Novelle della Pescara » alla ciurma vianesca. Vero è però che dalle « Novelle della Pescara » a fare appena un passo indietro, si cade nel verismo nostro provinciale e campagnolo che non è poi sempre schiarito, staccato e impersonale come in Giovanni Verga. Bisogna ad ogni modo convenire ·che Viani dovette un filone delle radici sue abbeverarlo alla fonte d'una qualche corrente di verismo. La materia l'avrà poi ri-

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