Via Consolare - anno I - n. 2 - gennaio 1940

è ptu vicÌna, colla terra della quale resta improntata la sua anima. Siamo dunque per un regionalismo spinto? Ciò che è di Romagna non può essere inteso da un Siciliano? Anzi; ammettiamo il caso che un Siciliano possa arrivare a costruire una grande opera d'arte prendendo a spunto la vita del contadino romagnolo. Sono possibilità del genio dell'artista che non si possono escludere. Neghiamo soltanto che questa grande umana opera la possa creare l'uomo del caffè letterario di Roma e di Milano se non ci tenga a rifarsi di quando in quando il gusto in mezzo alla gente, possibilmente alla sua gente che per ragioni umane dovrebbe essere in grado di comprendere meglio. La regione non deve essere un motivo; diremmo che deve essere un espediente - se ci dovessimo esprimere con crudeltà scientifica, - deve essere l'occasione che si offre allo scrittore per osservare, dipingere dal vero, ripensare su un fondo di realtà. Dante, Manzoni, Tasso, Verga, lo stesso D'Annunzio, Pirandello, il nostro Pascoli, il Carducci, in esperienze talvolta lontane dal rude realismo della vita, per strade molte volte diverse anche regionalmente da quelle della loro terra - Manzoni e il risciacquo dei panni in Arno - non hanno mirabilmente parlato della loro terra? Non si sono rifatti ad essa per i motivi più puri della ispirazione? Con ciò tuttavia non auspichiamo una esclusiva arte dialettale. Dovremo dire ora se ci pare che la provincia italiana presenti sempre le condizioni di sviluppo per un pensiero, per una forma letteraria. Ma questo è un discorso da fare un'altra volta, recando contributo di osservazioni e di proposte. Intanto resti aflermato questo, che la piena vitalità dell'italiano come linguaggio e come umanità non viene sminuita, ma potenziata e resa più efficace dall'immissione continua della parola dialettale e del modo di sentire e di vivere regionale. Cosapensatedeigiovani? Domanda sconcertante di certo, a sentirsela fare all'improvviso? È una domanda che impegna ad una risposta perchè rinchiude in sè tutto l'avvenire; eppure è -così difficile rispondervi con quella comprensione dei tempi che non sia suggerita soltanto da spirito di adattamento, con quella giusta severità che non sia acida e avvilente polemica di tendenze trionfa- · trici contro forze che urgono verso la loro vittoria! Noi rivolgiamo questa domanda agli uomini significativi del nostro tempo ; uomini del giornalismo e della politica, degli studi e dell'arte. Voi che avete costruito questa Italia di oggi, che avete cercato di creare forme nuove alla nostra civiltà, cosa pensate di noi cui la vita vi impone di passare - non oggi, domani - la fiaccola? Non chiediamo dei panegirici. Siamo stanchi di sentirci continuamente ripetere che siamo una generazione fortunata, che siamo YIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì migliori di quelli di ieri, mentre, sotto sotto, non ci sfuggono i mormorii, le velate sfiducie, e sopratutto ci colpiscono quei sofismi messi m opera da mille parti perchè il « largo a1 giovani ! » (non s1 chiede ciò che non è da noi ; ma solo di non essere lasciati colle mani in mano) entri nel novero delle frasi celebri e vane. Intendiamo di essere messi di fronte alle nostre responsabilità, che ci vengano indicate le nostre manchevolezze (sentiamo di averne, senza false modestie) che ci vengano mostrati i pregi della nostra generazione per coltivarli e svilupparli. Qual'è la nostra posizione e quale il cammino che dobbiamo percorrere nei singoli aspetti della vita e nelle arti, per essere degni della tradizione italica, degni d'essere i portatori della civiltà fascista nel mondo? Vorranno, coloro che sono e che debbono essere i nostri maestri, lasciarci senza risposta? 17

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