Via Consolare - anno I - n. 1 - dicembre 1939

........................ ,- ............ --·-··············· .. ········· ....... _._ .. ~.-- .. - ..................................... 7--· SERIE I • N. l DICEMBREXVIII ABB.POSTALE QUA·DERNI DELGUFDIFORLÌ Fondazione Ruffilli - Forlì

QUADERNI POLITICO - CULTURALI DEL SERIE OICEMBllE XVIII REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE: FORLÌ PALAZZO LITTORIO - TELEFONO 65-67 Paolo Silimbani Ivo Pini Alfredo Oriani Sawmo 1l/011tanari Siro Angeli Siro A n[[eli Benito llu.(.~o/ini I 'ittorìo Boni<:elli Il 11ot 1tllotore Armando Rw·aglioli Cesare Bo/o{!,u,si Bruno Jltasotti B. Af. NeL1io Matteini Luciano Centazzo Walter Dirani Trespoli L'omino dei fuochi Anlimanifcsto Il <'anlo, voct: di lcrra noi,,lra Sulla via coniò1olart· pag. (da ··Fino a Dògali.,) La sna - Dirsi addio (poesie) ., Prinrn,·era a Villa Borght>5t' Diventi ~ognu (a::ione radiofonica) Na1al1~ in Hom<.1gna L·ercsia del pastore Luciano Natura moria .\rnaldo (profilo) Giovanni Pascoli e S. ~lauro Libro. moschetto e \'anga - Humagna d' Eliopia La FinlanJia nei gruppo llcgli stati nordici Battimani Teatro di oggi e di domani Cinema Borghese Spezzati l\lortarettc, Vetrina 6 7 9 " 10 ,, 13 16 ,, 17 ,, 18 ,, 19 20 22 23 24 velina Illustrazioni di Luigi Servolini li fuori Lesto è dedicato a Romagna Montana QUOTA DI ADESIONE ANNUA L. 15 SOSTENITHICE L. 25 O G N N U M E R O È N V E N D Fondazione Ruffilli - Forlì GUF DI F ORLI NUMEllO 1 CONTO COHll. POSTALE N. 8-7260 \ DI BENEMERENZA L. 100 T A A L. 1 , 5 O

REGIETERMEDI CASTROCAR A pochi chilometri da Forlì, nella ridente vallata del Montone che si allarga in mezzo a colline feraci, vigilata dalle Rocche della Romagna guerriera (il rudero ventoso di Sadurano, la fortezza toscana di Terra del Sole, il maschio di Monte Poggiolo ridente, lo sperone di Castrocaro stessa) orge la attraente cittadina che ospita le Terme dal le acque salutari. L'incanto del luogo e l'ospitalità della popolazione fanno del soggiorno una ricercata vacanza. li Duce, accompagnato dal Gestore governativo, Comm. Melli, visita le Terme di Castrocaro La nuova gestione governativa ha consentilo la completa trasform:izione degli impianti, la costruzione di elegantissimi edifici e ritrovi, la sistemazione a parco di una vasta area, allietata anche da fontane marmoree e in cui la _notte suscita magie di luci sapien,i. - La soddisfazione degli ospiti affluenti da ogni parte d'Italia è affidamento certo per il maggiore sviluppo dello Stabilimento e della zona, degna del massimo interesse turistico. Uau ridente panorami<'a delle Terme FondazioneRuffilli- Forlì

CREDITO ROMAGNOLO BANCAREGIONALE Fondata in Bolognanel 1896 ftft O Esercizio SEDE CENTRALE IN ,BOLOGNA CAPITALE}SOCIALE VERSATO E RISERVE L. 29.~96.862,90 COMPIE TUTTE LE OPERAZIONI DI BANCA OPERAZIONI SPE CIA.LI Operazioni di Credito agrario d'esercizio. _ Anticipazioni su cessioni del quin1,odello stipendio. Emisssione di Assegni circolari pagabili a vista e gratuitamente in tutta Italia e garantiti .da deposito cauzionale presso la Banca d'Italia. Locazione di Cassette di Sicurezza in tesoro corazzato présso le filiali di Bologna - Cesena - Faenza - Forlì - Imola - Ravenna. DEPOSITI FIDUCIARI IN CONTANTI al 30 Giugno 1939-XVII - L. 310.5~4.t~S,65 CONSORZIO AGRARIO PROVINCIALE ... FO R LI (ENTE MORALE. • LEGGE 2 FEBBRAIO 1939-XVII N. 159) FILIALI E AGENZIE NJLLE PRINCIPALI CITTÀ DELLA ROMAGNA Vendita di concimi - Anticrittogamici - Macchine agricole e t u tt o q u a n t o- n e e es s i t a a 11' a g r i c o lt u r a Sezione esportazione prodotti Orto-frutticoli ~ld, f',e-t.-tutte k p.OdUe ouo.~ '4J,e, ~ al, 'V~ biu ~ Fondazione Ruffilli - Forlì .,,.,;.

Seri e I DICEMBRE XVIII Numero 1 ANTIMANIFESTO È questo il primo fascicolo di una nuova Serie dei «quaderni» del nostro Guf e, siccome d'ora in avanti la regolarità dell'uscita sarà rispettata, siccome il loro carattere è mutato, da opuscoli monografici a veri e vastissimi panorami della raggera di attività culturali che in un Guf fermentano è a campo d'azione di tutti quei pigmenti coloranti polemici che l'alchimia dei vent'anni rinviene ogni giorno, dovremmo dire : « incipit vita nova » • Ma sareb~e uno sforzo eccessivo per quel pò di spirito classico che dal liceo ci siamo trascinato dietro fino ad oggi. Seguendo poi i precisi canoni dell'ultima letteratura dovremmo annunciarci con un manifesto da affiggere a tutte le più o meno reali cantonate artistiche. Lo sviluppo letterario-filoso.ficod'Italia, da un secolo a questa parte, si dipana fra un manifesto e l'altro, fra una dichiarazione programmatica « in f ormis » e un selvatico o selvaggio assalto alla baionetta di frasi irsute e minacciose. VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì Iniziando con cicli abbastanza lunghi di predominio, giungiamo al dopoguerra in cui l'agone letterario nen è più' tale solo in metafora, ma si è ridotto ad una lotta ai ferri corti fra i partitanti di molte tentendenze e naturalmente di molti manifesti. Oggi, ad ogni tanto, velatamente, qualcuno accenna a riprendere in sordina la vecchia usanza; in massimapossiamo però affermare che detti manifesti sono diventati i comodi formulari tascabili dei gretti classificatori di ogni epoca spirituale, dei becchini di ogni decennio. Noi non presentiamo quindi un manifesto. Ed è troppo dire che lo facciamo per ragioni di principio ; diremo che lo facciamo perchè intendiamo mantenere ,,, il contatto colla realtà e col popolo, sempre; e perchè realtà e popolo nostro vogliamo servire nelle vere esigenze. Non crediamo tuttavia di defraudare chi s'aspetta dal prossimo delle prese di posizione chiare e delle responsabilità decise: ciò che noi presentimo, e che 1

presenteremo, è così intimamente - senza essere tendenzioso - programmatico, che si fa posto da sè fra la caterva delle idee correnti. Non pensiamo neppure di fare un torto eccessivo alla nostra orìginalità e magari alla nostra intelligenza - ne abbiamo in onesto grado (si assicuri lo scettico blu che ci osserva di sottecchi} e se essa potrà manifestarsi in opere egregie, dipenderà soltanto dal restarcinell'animo questa purissima fede di oggi e questo ardentissimo cuore. Camerati, noi non abbiamo un manifesto e neppure sei capolavori composti in età di « fanciulli prodigio » • Diremo semplicemente, con espressioni di trent'anni fa, che « siamo delle speranze » , dei « giovani che si fanno onore » , come più o meno ci hanno tutti palinodiato i giornali provinciali. Sia_ mo quindi, nè più nè meno, come tantissimi altri giovani che questa nostra patria vividissima di energie ha prodotto e produce. Ma _intendiamo di fare sul serio, di lavorar~, di agire colla volontà su quel fondo di doni naturali che ciascuno di noi può possedere. Siamo certi che riusciremo a dare a voi che ci seguirete attentamente - e; magari, insieme a voi se vorrete essere dei collaboratori, come noi ci auguriamo - /,a misura di noi stessi. Non solo di noi stessi, ma speriamo anche del/,a nuova generazione politica ed artistica che intendiamo di interpretare - non in esclusiva, si badi - e condurre alle necessarie chiarificazioni di fronte ai problemi della vita moderna. Parleremo di politica e di arte. Senza vergognarci del connubio, perchè non riusciamo a scoprire quali idiosincrasie esistano fra di esse. Ma - cogli occhi aperti sul!' intero panorama del mondo e cordiali con tutte le oneste sfumature di pensiero - non saremo 2 FondazioneRuffilli- Forlì neppure degli a.ffastellatori insensibili o degli eclettici senza pudore. Ci creeremo un tono nostro. Un poco alla volta. Intanto cominciamo colporre in primo piano tutte le forze provinciali - ed è ovvio il perchè - rappresentandole in questa Romagna, espressivissimafra le regioni d'Italia. Chissà, che così facendo, noi, che senza un manifesto nasciamo, non dobbiamo approdare ad un manifesto. Così, quando dovremo andarcene da questo tavolo, ipedanti avranno la soddisfazione di trovarci colle carte in regola. Via consolare. Perchè ? Siamo cresciuti sulla ansiosa prospettiva di questa lunghissima strada di Emilio, prodigio di uomini in mezzo a una distesa di terra che è capolavoro di Dio. A nord e a sud, nell'adolescenza, questo nastro d'asfalto ci ha trasportato a sognare meravigliosi tesoretti lontani. Quel nome ci parla di marcie e di battaglie e di improvvisati accampamenti e non ci solletica vezzeggiate visioni di corone di lauro o morbose immagini di lontanissime feluche. Per tutto ciò ci siamo scelto questo nome. L'Emilia, la « Via consolare» è dominata, nel giorno, da una Rocca, vigilata, nella notte, da un faro. Quel castello è in pochi anni assurto a simbolo e centro della Romagna nostra battagliera e tutto cuore. Di lassù si scoprono le rotte per ogni navigazione, anche rischiosa ; di lassù da cui lo sguardo è preso talvolta dal balenio dell'Adriatico. Per tutto ciò che questo simbolo ci rappresenta vogliamo lavorare. Attorno a questo simbolo, come sintomatico omaggio, noi chiamiamo oggi tutti i giovani camerati d' 1 talia. Paolo Silimbani VIA CONSOLARE

vo,ce Nell'aperta chiarità lunare della notte d'estate, quando 1UJllacam• pagna il sonno non vuole arrivare chè c'è il conto del raccolto a fermar/,0 per strada e /,O ,tridio dei grilli e le immagini delk bru1UJragazze d,,gli occhi lampeggianti come battagliere vergini antiche, senti alzar,i nella pianura romagnola la " canta ,,. l vecchia come la nostra anima; ogni generazione ha cambiato qualche coJa nella pronuncia, nienu n.el ,ignijicato, tanto che questo qualche volta si perde ,.,,ll'oscurità delk antichissime tradizioni e ti parla solo per una specie di intuito atavico. La "canta,, segue il romagnolo. Lo seguì nelle trincee·; lo segue ora nell'Africa, dove questa no.stra terra esuberante di vita, si rinnova. Mi son trovato talvolta lontano dal mio paese, col cuore un poco stretto come in un pugno : la nostalgia, che ogni romagnolo sente pur senza volerselo confessare, per non sembrare a se stesso un debole. Ma è bastato allora che un coro dei nostri « canterini • mi facesse giungere, attraverso la radio, le sue voci, colla risonanza di melodie tipicamente nostre, perchè la indefinita nostalgia pigliasse forma più definita e tono più sentito. Che cos'è per noi romagnoli, il canto, il nostro canto? t la nostra voce di cui non sappiamo fare un'ostentazione, giacchè troppo la sentiamo gelosamente nostra, tanto è vero che le belle «cante » romagnole si alzano, nel fascio intonato di voci calde e gravi, soltanto nei momenti cui il contadino, l'operaio, il gitante si trova s u L L A Giunsi aJla via Emilia ! V in compagnia con altri suoi conterranei e non deve dare spettacolo di questa abilità canterina. Ho sentito molto spesso .cantare e talvolta ho cantato anch'io in momenti in cui ci si sente più isolati dagli uomini e più a contatto della natura: nelle notti calde d'estate, quando pare che la terra ci aliti il suo effluvio e tutta la natura ci parli colla sua voce grande. il canto allora si leva ed è l'anima del romagnolo che « si mette in libertà», quasi inconsciamente, e si lascia trasportare dall'onda melodica. Altre volte il romagnolo canta anche davanti a, potremo dire, estranei, ossia· a non romagnoli, ma quando è lontano dal suo paese; e allora, unito ai corregionali, lo fa per ricreare, quasi a dispetto di tutto, un poco della sua terra, e la crea col canto e in esso si estrania da luoghi e I A e o H persone, giacchè ha ricostruito « l'aria di casa•. Ed è come quando ci viene recato qualcosa di nostra terra a ricordo di essa, magari la «pie•, la tonda focaccia che gustata fuori del nostro paese ne è per noi simbolo e sapore. Oh, Dio, la pie! Udor da cà..... Quante volte la canta di trincea del nostro Pratella ci ha scossi e ci ha fatto sentire che cosa fosse per noi questo grande amore della ·nostra terra! Amore che si esprime col canto vigoroso e appassionato, e sarà sempre questo, per chi s'allontanerà dalla sua Romagna, la voce del suo paese, « l'odore di casa•, « l'eria 'd Rumagna », il sospiro che più presto lo spingerà sulla strada del ritorno. Ivo Pini s o L A R E Il paesaggio era solenne, l'ora severa. Un tumulto di memorie, di pensieri, di sentimenti mi sopraffece. La ~ia Emilia immensa e vuota mi si allungava davanti: non un rumore passava nella sera, non una forma saliva dai campi. Il cielo plum.beo sembrava aver perduto persino il ricordo degli astri, sulla terra bruna erano cessati tutti i colori ed i moti della vita. Una inerzia crepuscolare copriva la natura arrestandone I' in6nita instancabile varietà ; e la via Emilia aperta per essa, da una storia di quasi tre mila anni, altrettanto nuda e deserta, pareva annunciare che anche la steria era finita. Una stessa sera couchiudeva le date dello spirito e i giorni della materia, le epoche della tçrra e i secoli della civiltà. Per quanto cupa la notte e il sole cocente, il passaggio non si è mai arrestato sulla strad~. I campi a certe ore sono desertj,. u1a la stralla non lo è mai, giacchè i mutamenti più terribili e subitanei della natura vi sono senza efficacia, e ogni tem• porale è sempre sicuro di trovarvi qualche infelice su cui aggra,•nrsi. Gli acquazzoni sono rari, il fiotto umano in~essaute. NulJa può fermarlo .... sulla stessa pietra miliare si sono !-!edule tutte le umane varietà dal mendicante ali' imperatore, e tutti banno consultata In sua cifra interpretandola d' iufiuiti significati. ALFUEDO ORIANI da "Fino a Dògali,. VIA CONSOLARE 3 FondazioneRuffilli- Forlì

LA SERA La sera, se pioveva, le finestre erano schiuse ed io allora fanciullo guardavo oscure strade e interminate oltre verdi persiane. Poi stupiva anche la fiamma nel lambire il ceppo e solo l'acqua lieve che cadeva mi tormentava lacrime sul volto ed un riso sereno. Era poi voce da la carraia aperta come un mare sopra il solco del campo (nubi chiare carezzavano il vento) e la mia vita da la soglia veniva acerba ancora, malanconia sorpresa e muta gioia, io fanciullo e poi uomo. Ed anche allora mia _madre sorrideva. PRIMAVERA Nostra diversa pena Brigitte, recavamo per viali. Discorrevamo amici. Ma tra noi come tra cielo e terra l'orizzonte erano le parole. A , All'improvviso al tuo paese en tornata, sola. Io, per diverso esilio pativo al cuore fitte. Pensavo un'altra. Tu non le somigli, Brigitte. Ci adagiammo nell'erba. Era già folta, 4 FondazioneRuffilli- Forlì ,,..,. DI-RSIADDIO Malinconia raccolta lungo i viali. Che disperde un fanale. Ne la nebbia un autunno di foglie si riposa. Lente parole vanno insieme ai passi, ignote ne l'oscuro, a dirsi addio sòtto un · albero in croce. Cosa sanno l'ombre nascoste e l'edere dei muri che insieme si raccontano la sera ormai taciuta d'un estremo grido? Voci vengono tarde a ritrovarsi nella muta città, poi che rimane un carrettiere stanco e una canzone che gli pende dal labbro. · Solo e mesto, l'animo vi ritrovo, n:ostalgia dei miei perduti giorni e non m'accorgo d'essere un gran fanciullo. VILLA BORGHESE fresca. La primavera ci sorprese come la prima volta. Sotterranea gonfiava le radici, giocava a moscacieca con le cime dei pini. Urgeva negli stridi delle rondini, .fioriva dentro il grido dei bambini. Crescevafili d'erba nel catrame. Nostra diversa pena, Brigitte, stessa fame d'amare, adesso recheremo per viali. VIA CONSOLARE

A Z O N E R A D O F O N C A D SCENA PRIMA Il Littore del teatro per l'anno X V presenta come un omaggio di tutti noi ai nastri lettori questa prima scena del suo lavoro radiofonico 0 Diventi sogna n• Poche espressioni lineari di un linguaggio fanciullesco figurato bastano per innalzarci verso l'alto.... lassù dove 1è il luogo dei Nascituri. Restiamo sospesi e attendiam~ di ascoltare alla Radio la conclusione della commovente vicenda dei bimbi che, in questi giorni, al pensiero del piccolo NaUJ di Betlemme, tanti - può darsi - chiamano sulla Terra, ansiosi di un buon profumo di innocenza. « In cielo. Il luogo dei Nascituri. Si odono vaghi accordi di musiche lon• tanissime. Primo Nascituro Ritorna l'Angelo. Secondo Eccolo. (Si sente come lo stridere di una gran porta sui cardini). Terzo Che dolce odore. Primo È odore di terra. Secondo (Con tristezza). Ha richiuso la porta. Quarto Che cosa c'è di là? Primo Di là c'è il Mondo. Secondo C'è il Tempo. Terzo C'è la Terra. Quarto Che cosa è il Tempo? Primo È..... le ore, il giorno e la notte, le stagioni: primavera, estate, autunno, inverno. Quarto Che bei nomi sono. Terzo Che belle cose devono essere. VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì Secondo_ Adesso tocca a noi. Primo Guarda. L'Angelo non è solo. Quarto Li ha riportati indietro. Terzo Quasi tutti. Secondo Hanno gli occhi chiusi. Terzo L'Angelo è triste. Primo Non li vogliono. Quarto Chi non li vogliono? Primo Gli uomini. (Un silenzio). Terzo E noi, allora ? Secondo Angelo Custode, e noi ? Angelo Custode Meglio restare in cielo. La Terra è cattiva. Secondo Non sarà tutta cattiva. E poi non ci sarà solo la Terra. Terzo Ci sono tante altre stelle. Secondo La Terra non è una stella ? s R O A N G E L Angelo Custode Sì, anche la Terra è una stella. Secondo E allora? Angelo Custode È una stella, ma è cattiva. Secondo Ma è una stella. Dev'essere bello andarci. Terzo Lasciw:i provare. Primo È tanto che aspettiamo. Secondo È così brutto non essere pensato da nessuno. Angelo Custode Dio vi pensa. Secondo Ma Dio è troppo grande. Dio pensa tutti. lo voglio esserepensato da qualcuno che pensi solo a me : padre, madre..... Angelo Custode, lasciaci andare. Angelo Cystode Ve ne pentirete. Secondo Ma sarà bello. Vogliamo provare. Altro Angelo Lasciali andare. Devono provare. Come gli altri. Come tutti. Solo sulla Terra comprenderanno che cosa è il cielo. 5

Angelo Custode Tornerete vecchi, nudi, stanchi. Altro Angelo TorneranM con dei ricordi. Angelo Custode Ma Mn possono andare, se nessuno li desidera. Secondo Non è vero. Più di una volta mi soM sentito chiamare, come in sogM. Primo Anch'io. Terzo Anch'io. .; Quarto Anch'io. Secondo (Con vivacità). Ecco..... anche adesso mi soM sentilo chiamare. (Con ansia) Essere pensati da qualcuno..... Che bello..... Angelo Custode (Indicando i bambini con gli occhi chiusi). Anche quelli lì volevaM. Secondo Li avevano chiamati ? Angelo Custode Li avevaM chiamati. (Pensa). E adesso eccoli lì, con gli occhi chiusi. La Terra è cattiva. Secondo Non può essere. Era una voce così dolce. Angelo Custode Era una donna. Ma gli uomini Mn vi voglioM. Quarto A me è parso di sentirmi chiamare da un pensiero d'uomo. Primo Come era la tua voce? Secondo Era..... bianca. E calda..... Primo Anche la mia. Tanto calda. Terzo Ma come faremo a trovare ognuno la nostra casa? 6 Fondazione Ruffilli - Forlì Secondo Ci guiderà l'Angelo Custode. Angelo Custode lo non posso. Devo andare in giro per la Terra, a riprendere quelli che gli uomini non hanno voluto. Restano fuori delle case, con la testa tra le mani. Non osano tornare. Secondo (Dopo una esitazione). lo riconoscerò la voce. la riconoscerò fra mille. Anche il volto, anche gli occhi_riconoscerò dalla voce. Terzo A,u:h' io. Primo Anch'io. Secondo Andremo insieme. Angelo Custode Dio vi accompagni. (Di nuovo uno stridere di cardini). Siro Angeli NATALEIN ROMAGNA Oggi è Natale. 25 dicembre. Terzo Natale in guerra. La data non mi dice niente ..... Perchè io riprovi un'eco della poesia di questo ritorno, debbo rievocare la mia fanciullezza lontana ..... Il ·Natale di quei tempi è ancora vivo nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che non andavano alla Messa di Natale. Mio padre e qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino lungo la strada che conduceva a San Cassiano erano irrigiditi e inargentati dalla galaverna. Faceva freddo. Le prime Messe erano per le vecchie mattiniere. Quando le vedevamo spuntare al di là della piana, era il nostro turno. Ricordo: io seguivo mia madre. Nella chiesa c'erano tante luci e in mezzo all'altare - in una piccola culla fiorita - il Bambino nato nella notte. Tutto ciò era pittoresco e appagava la mia fantasia ..... A mezzogiorno fumavano sulla tavola i tradizionali e ghiotti cappelletti di Romagna. BENITO MUSSOLINI (da < Il mio diario di guerra•• VIA CONSOLARE

L'ERESIADELPASTORELUCIANO Proprio alla fine della mietitura venne la domenica. Luciano si stupiva ogni volta come le domeniche cadessero a intervalli ctsì uguali, l'una appresso all'altra come i chicchi di un rosario, e senza fare rumore. Luciano era un pastore che si trascinava la sua vita dietro a un gregge di pecore nei grandi pascoli della montagna e nella polvere senza fine delle strade maestre. Aveva un gran ombrellone di cerato verde, a tracolla, scarpe fangose che rassomigliavano a zoccoli di legno, e un vecchio abito di velluto. Poteva avere vent'anni; i suoi capelli erano cespugliosi e rossicci e i suoi occhi così chiari che parevano fatti di niente. Era un essere primitivo. I suoi genitori dovevano essersi dimenticati di lui, perchè, da tanti anni r,he l'avevano dato a garzone presso certi contadini di un podere di mezza montagna, non s'erano più fatti vivi. I contadini, da molto tempo, avevano compreso la gra~de semplicità di Luciano e si erano convinti che egli non avrebbe mai potuto aggiogare un paio di buoi ; e forse era vero. Così, senza fare un gran caso, perchè i contadini son gente che sa capire le cose, l'avevano messo a guardia delle pecore e Luciano, poco a poco, nella solitudine delle pasture, era dolcemente impazzito. Viveva VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì iacco.nto. di 1Jitto.iio. 730.niceUi pressapoco come il suo cane bastardo e solo con lui ormai sapeva parlare. Tornava al podere ogni tanto, nel giro rotondo delle stagioni, a rifornirsi e ogni volta i contadini lo ritrovavano sempre più strano e distaccato da loro e dalle loro cose. Quasi provavano avanti ai suoi occhi sempre più chiari una specie di soggezione segreta, che era fatta di un pò di ti.more e di un pò di rispetto. Essi credevano fermamente che Luciano sapesse parlare alle sue pecore, ai suoi montoni, ai suoi cani ; e forse era vero anche questo; a loro bastava. All'epoca dei grandi lavori stagionali essi lo richiamavano e Luciano era felice perchè allora venivano le domeniche. Nelle pasture Luciano non conosceva i giorni di festa: si regolava col sole e colle stagioni. Solo quand'era al podere egli si ricordava delle domeniche e le aspettava ansioso di giorno in giorno, come uno strano regalo piovuto così, dal cielo. Una strai:ia pausa al suo lavoro, che gli comunicava una specie di felicità misteriosa, e gli recava, da lontananze impossibili, gaiezza e rondini. Questa delle rondini era una cosa assolutamente incomprensibile per i contadini. Luciano andava con loro alla chiesa per la messa e per le rondini; lo diceva: per veder le rondini sciamare impazzite nella piccola piazza. C'erano infiniti voli di rondini intorno al campanile della parrocchia, romanico alla lontana, UJ! pò scrostato che tra mattone ·ci cresceva l'erba; ma così allegro col suo grappolo di campanine stonate che volgevano la gola fresca e canterina alle cime dei cipressi. A Luciano piaceva infinitamente guardare le rondini. Gli sembravano creature trafitte, così con l'ali spalancate in croce, e gli rammentavano Gesù crocefisso. La sua religione era così primitiva che egli non sapeva più; oramai, distaccare le rondini dall'immagine di Cristo sulla croce. E si meravigliava che nella chiesa non ci fossero rondini, almeno dipinte nella piccola cupola rotonda, tra il finto cielo turchino e le stelle di porporina. Quel giorno Luciano andò alla chiesa da solo e così presto, che non c'era nessuno ancora nella piazzetta. C'era soltanto un gran sole squillante nella limpida luce domenicale. E i cipressi spiegavano le loro stupide ombre massicce fino a tagliare il suolo a striscie polverose. Vicino al muro scrostato della canonica Luciano vide una macchia scura. Era un rondinino che doveva essere caduto dai nidi, sotto la grondaia. Luciano lo guardò a lungo, poi guardò in alto, poi' lo guardò 7

ancora. Non sapeva risolversi; forse non comprendeva. Il rondinino tentò di levarsi sulle ali ; poi ricadde. Pareva morto. Luciano si sentì gonfiare l'anima di compassione: si chinò e raccolse l'uccello ferito, piano piano. Gli ripulì le ali, gli distese il capo sulle dita della mano, cercò . di spiarlo tra le palpebre rosate e ormai semichiuse. Il rondinino respirava appena appena ; pareva che dovesse morire da un momento ali' altro. Luciano se lo nascose nelle mani rinchiuse come una coppa e si avviò verso la chiesa. Fece i gradini pianissimo. La porta della chiesa era spalancata e fluiva verso il sole un'oscurità fredda e conventuale che odorava lieve di candele e d'incenso. Saliva dalle siepi la fragranza dei biancospini fioriti. Sulla soglia, Luciano si fermò un rr{omento, fissi gli occhi inespressivi nel buio, senza vedere nulla. Il sacrestano zoppo dalla figura grottesca vedendolo profilato nel quadro dell'uscio, contro la luce esterna, lo guardò un momento irritato. Lo vedeva sempre con sospetto, perchè gli pareva che Luciano avesse nella sua semplicità siivana qualcosa di demoniaco. Il sacrestano diffidava dei semplici, come delle persone troppo oneste. Luciano fece qualche passo incerto. Vedeva ancora male. C'era· ancora qualche candela fumosa, in giro, e qualche lampada dondolante. Nella cappella della Madonna si vedeva un lumino rossic cio e la veste bianca della statua. Luciano vi si diresse attraverso i banchi. Nella chiesa non c'era 8 FondazioneRuffilli- Forlì più nessuno. Egli passò la balaustra di marmo, lo scalino e si fermò davanti all'altare. Lo •· prese, improvviso, uno sgomento oscuro. Si sentiva intimidito, confuso; non si ricordava più cosa dovesse fare. Poi, a un tratto, si ricordò del rondinino; se lo sentiva battere nella mano come una ferita . Allora si rasserenò : aprì le mani unite e levandole un poco in alto, così, come un'offerta, porse alla statua l'uccello ferito. « Signora, disse, vi ho portato Gesù crocefisso ,. . E attese. Vedeva chiaramente, ora, il viso della Madonna, le pieghe e i colori del mantello, le candele spente dell'altare. Senza impazientirsi, dolcemente, disse ancora : « Signora, Vi ho portato Gesù crocefisso » • Cominciò a temere che la Madonna non comprendesse. Vedeva il viso della statua, fatto d'espressione e di colori irreali.· Gli gonfiava nel cuore una specie di disperazione. Cominciava a temere di aver fatto una cosa che non si doveva fare. Poi gli venne in mente che gli occorreva mostrarlo, forse, il rondinino. Egli lo sentiva pulsare nella mano, ma ormai così piano che ebbe una gran paura che gli morisse. Prese il rondinino, gli aprì le ali con una delicatezza e un amore infinito, e lo pose sul lino immacolato dell'altare. Allora in viso alla Madonna si aperse qualcosa. Si disciolsero i colori irreali e le· pupille di cera s'accesero di una dolcezza infinita. La Madonna si curvò presso di lui e gli porse la mano biahca come un mattino. Luciano comprese : raccolse il rondinino cbe respirava sempre più piano e lo mise nella mano offerta della Madonna. Gli discese sull'anima una gran quiete. Si ritrasse lentamente, senza guardare. Poi gli sembrò di vedere il rondinino brillare, e brillava certa• mente, come se fosse stato d'oro, come se fosse stato• una stella. Allora comprese cbe tutto era finito e finito per il bene. Si sentì tranquillo, sereno; nel cuore la sua mansueta dolce serenità. Si rivolse e s'avviò per uscire. La Madonna era nella sua nicchia, nuovamente rigida e rivestita dei suoi irreali colori umani. Ma si vedeva ancora una pie, cola luce, nell'oscurità lontana della cappella, incrinata appena dal lumino di luce rossiccia. C'era qualche vecchia, ora, nella chiesa ; pareva che nessuna si fosse accorta di nulla. Appena fuori, sulla porta della chiesa, la luce accecante del sole lo prese tra gli occhi come una sassata. Cominciava a venire la gente che si meravigliava di vedere il pastore in quel luogo, con la sua consueta strana espressione negli occhi chiari. Ma Luciano non vide ness_uno: neppure le rondini. Il sacrestano suonò la campanina vicino all'altare: cominciò la messa. Ma Luciano non sentiva nulla; non ci pensava nemmeno. Fece i gradini piano piano, dipinta sul viso un'assenza inespressiva. Poi se ne andò per i campi, per i fatti suoi. Vittorio Bonicelli VIA CONSOLARE

NATURA Andavamo a cercare lucertole lungo il muro del cimitero. La via che vi conduceva, esposta a mezzogiorno, era inondata sempre dal sole. li muricciolo era tiepido fino nella notte e i mendicanti vi si accovacciavano a ridosso, sul marciapiede polveroso, a chiedere la carità di un poco di sole per il loro povero corpo. II muro era scrostato, le pietre sconnesse in gran parte, e nidi di lucertole dappertutto. Comparivano le sagittate appuntite testine dagli occhi veloci, tra un mattone e l'altro, così somiglianti ad una foglia d'erba. Poi s' impigrivano al sole e pareva che morissero di piacere alle carezze d'un soffio di tramontana. Allora Luca le prendeva di mira con la fionda e non ne mancava una. Le bestie si ravvoltolavano in un ultimo brivido mortale ; i ventri gonfi e bianchi, squarciati, mettevano fuori visceri e sangue mcolore, un pò torbido. Quello strazio mi metteva nel sangue un ribrezzo che mi tramortiva e mi faceva male. lo, invece, con erbe flessibili facevo dei piccoli cappi, e soffocavo le lucertole quando mettevano fuori la testa dal buco ; e m1 voltavo, per non vederle morire. In primavera andavo sulle colline a fare l'amore. Susanna aveva una camicetta di seta sottile, trapunta di piccoli fiori di lana rossa : dolcissimo il respiro della seta. VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì ············-·-··-··---- MORTA Le colline erano civettose, così vestite della festa. Mi piaceva di vedere, nella sera, sfumarsi il tremulo biancore degli ulivi. La contegnosa, un pò mesta fioritura dei peschi, mi comunicava un turbamento strano. La campagna m'esprimeva a volte tale castità serena, che avevo vergogna di baciare Susanna. Sul tramonto s'andava vicino al macero per ascoltare le rane ; poi cominciavano i grilli, che mi trascinavano via lontano, verso cose e persone e tempi forse perduti. Susanna si lasciava baciare, così tenera, così morbida, che mi gonfiava nel cuore una riconoscenza infinita. Pregai la Madonna, quel giorno, perc.hè mi donasse il tuo amore. Le immagini più belle fiorivano nella mia mente, solo che vi fiorisse la tua immagine. Mi pareva continuamente di sentir battere alla mia gola il mormorio del tuo cuore. Ed ero così triste. Non c'è nulla di più desolato che coricarsi la sera senza avere per l' indomani una qualsiasi, sia pur piccola cosa, di cui sperare. ,,. Ora non ricordo pm tratti del tuo viso, che mi appare q~asi come una luminosa macchia bianca. E mi dispero come se tu fossi morta. Il novellatore 9

A R N La composta sobrietà della vita di Arnaldo Mussolini è stata rispettata dalle multiple manifestazioni di grafomania. Forse anche perchè; in fondo, la sua vita, cosi improntata ai sentimenti che si dicono comuni, cosl chiara nella linearità della corrispondenza dell'uomo ai suoi compiti sempre, ne ha fatto trovare poco interessante la figura ai facitori di vite romanzate. Resta di Lui la marmorea incisione della Sua figura fatta dal grande Fratello in quella « Vita di Arnaldo• che risulta narrazione della vita di tutti e due i Mussolini e documento quindi della singolare aderenza di due anime, di cui una parve il naturale completamento dell'altra, l'aspetto dell'una il corrispondente ad un momento significativo dell'altra. Non intendiamo turbare quest'augusto silenzio simile all'altro austero della reverente convalle su cui domina Paderno, se per la nostra devozione ad Arnaldo in cui - fanciulli, ce lo vedevamo vicino, stuFondazioneRuffilli- Forlì A L D o piti nel nostro mito imparammo a riconoscere un «buono», vogliamo oggi ricostruire qualcosa del suo carattere. Ci pare di avere rinvenuto in poche lettere di Lui che ci sono passate fra mano alcuni lineamenti del suo spirito - e in una forma così limpida, semplice da farci personizzare nel fratello del Duce uno dei tipi più puri della fioritura umana, cioè quello della bontà sommessa, della bontà quotidiana, quella che, dopo morte, non rimane insistente a cercars/ un monumento, da farlo - di per se solo - degno di aprire sulle nostre pagine la serie .delle figure dei grandi romagnoli di ogni tempo. Diciottenne, Arnaldo Mussolini, lasciò nel 1903 la Scuola Agraria di Cesena nella quale, dopo tre anni di corso, aveva ottenuto il diploma di abilitazione al1' esercizio pratico dell'agricoltura. Palazzo Varano però, squallido, coi grandi letti neri VIA CONSOLARE

di ferro verniciato, pieno del cbiaccl:ericcio degli allievi di mamma Rosa, dove era sbocciata la sua prima adolescenza, già affiancata ma non stremata, al passo del maggiore fratello, non doveva riaverselo. Soz:o gli anni dell'emigrante. Benito in !svizzera, manovale e studente alla scuola di Pareto; Arnaldo andrà pure in !svizzera dove sarà manovale e giardiniere. Mentre il primo si addestra a riconoscere gli uomini e ad individuarne le intime varietà, il secondo, curando le piante impara l'arte - che dovrà giovargli - di essere delicato anche in quelle potature e io quei piegamenti che dolcemente ma inflessibilmente bisogna pure operare sugli esseri umani. L'estero che vantava le città della luce, la vita doviziosa, le cattedre famose, doveva apparire come il pellegrinaggio d'obbligo per la gioventù di quei tempi che avesse un certo respiro. E ci pare che Arnaldo dovesse avere nell'intimo questa molla di conoscere, così come si rispecchiava nel volto ampio pacato e intento tutta la forza dello scrutare e il desiderio di toccare con mano, proprio della gente di Romagna che ba, sulla terra, la stessa positura di realismo e di ragionare scoperto e a ragion veduta che è del navigatore. Lo strazio per la perdita della madre doveva dare l'ultimo colpo alla sua vacillante fede nell'oltrefrontiera. Egli sente il bisogno di sostare nella sua terra; la scuola agraria di Cesena lo riaccoglie nell'ottobre del 1905 in qualità ora di prefetto di disciplina e di sottocapo coltivatore. Ventenne appena, tornava nella sua scuola con una responsabilità e con una esperienza di vita che dovevano distaccarlo, più di quanto non lo portasse l'età, dai giovani che gli erano intorno. :f: così che la sua amicizia verso di loro diventa quasi paterna, formatrice può darsi di quello spirito di saggezza sorreggitrice che doveva poi essere caratteristica della sua vita. Appunto a quell'epoca, che per lui rappre~entò una parentesi, una di quelle pause di raccoglimento che, venendo dopo forti esperienze, servono per maturare le impressioni e per dare nuovi orientamenti allo spirito, (quanto può significare anche un piccolo fatto che ci colpisca in quei momenti !) sono tutte rivolte nostalgicamente le poche lettere che abbiamo fra mano e che egli indirizzò da Monza, prima, da San Vito al Tagliamento, poi, ad un giovane amico conosciuto appunto alla Scuola di Cesena. Sono lettere calde, mai banali anche se trattano di cose necessariamente mediocri. In tutte c'è almeno una frase che eleva il tono, una specie di colpo d'ala che innalza, trasportando dal particolare all'universale e dice parole di portata vasta. Noi osiamo vedere in esse la traccia della sua prima maturazione spirituale nel senso della bontà comprensiva. La sua amicizia che queste pagine ingiallite testimoniano è VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì - se l'amicizia tollera gradi di dignità - quella del maggiore verso il minore. Quella di chi cioè - siccome le più belle amicizie sono quelle in cui c'.è come una tacita gerarchia fra un'anima più intenta, forse più meditativa, che sostiene e consiglia e un'altra meno matura o più distratta che si lascia riscuotere - è il primo a farsi avanti tutte le volte che uno screzio turba le relazioni, che un timore, un sospetto fuggevole minacciano la buona armonia. Arnaldo fuga le oscurità delle reciproche incomprensioni, rompe il silenzio pesante con mano leggera, diresti persino con l'apparenza della noncuranza che può talvolta evitare la istintiva reazione di un animo toccato nel suo pudore. Ecco che da S. Vito scrive il 16 Ottobre del 1909; Carissimo S. Tu mi dirai indolente, pigro, dimentico dei miei doveri, ed w in parte ti dò anche ragwne. Ti ho pensato spesso, assai spesso e ciò è attenuante al mio silenzw. Anche tu - parliamoci chiaro - non sei grafomane. Fidanzarti uffteialmente e non avere neanche La delicatezza di farmi partecipe! Credi tu di fare le cose alla chetichella? Oramai, tu che sei sulla via della celebrità, bisogna che ti persuada che ogni tuo atto entra di domini-Opubblico ed a trecento chilometri di distanza anch'io so tutto. Ti dispiace forse? Eppure quando eri gio1Janettoed w un uomo. scialbo ti ho guidato in certi passi difficili (per l'età che avevi) e della guida anche ora penso che non a1Jrai a dolertene, ora, dico e insisto, che sei sulla via della celebrità. Sono certo però che mi scriverai qualcosa, altrimenti metto il broncw. .....Oh, caro S., quando mai potremo ri1Jedercie par• lare, non dico molto, ma mezza gwmata? Quante cose da dirti, quanti progetti, quante idee, quante speranze! Tu che hai passato un pò d'estate a Cesenatico, non potevi forse 1Jenireall' Esposizwne d'arte a Venezia ? i?, aperta ancora a tutto ottobre e la spesa è una miseria. Io sono stato coll'Augusta alla fine del mese di settembre ; è qualcosa di meraviglwso ! E tu che sei un amatore d'arte ti lasci sfuggire le OC· caswni miglwri ! ,,, Quanto desidererei di 1Jedert!i Tu non puoi certo pro1Jareil mw desiderw perchè sei sempre a contatto degli amici della tua gwvinezza, ma io sono tagliato fuori dalla Romagna, in un ambiente dove sono amato e stimato più del necessario, ma appunto per questo non. posso farmi quella cerchia d'amici che sono di grande conforto nella 1Jita. Del resto a S. Vito ci si vive bene..... Piccole cronache di un piccolo mondo! Nella mia. 11

opera attiça e multiforme ho appena tempo di curarmene. Capirai, ho una casa, una famiglia; sia pure composta di due sole persone (io e l'Augusta e -non più) ; è sempre una famiglia ..... Ora che mi rammento ti dirò di un pe'"ttegolezzo · sul quale bramerei una tua smentita. (Accenna a espressioni irriguardose che l'amico insieme a un aJ.tro avrebbe pronunciato nei confronti di parenti dell' Augusta). Ora come ti ho detto, io che conosco bene voi due, sono ben lontano dal pensare cose simili ; ed ogni modo una smentita sarò lieto di riceverlaanche per far tacere e dare una lezione, possibilmente severa, a certe pettegole che certamente hanno riportato cose non dette e non vere. Intanto io ti saluto e ti auguro mille cose affettuose. Ai sg,luti e agli auguri si unisce mia moglie. Un abbraccio dal tuo sempre aff. mo Arnaldo Mussolini Colpisce quel senso di intimità affettuosa che hanno le frasi dedicate a descrivere la propria vita; I' orgoglio di poter dire la mia famiglia, così come. in una lettera success!va dirà con tanta paterna sollecitudine e tenerezza mio figlio, parlando di Sandrino. L'uomo si delinea apertamente da qlleste righe di istintiva sincerità romagnola. Lettere scritte da Monza, nella sua permanenza a quella scuola che aveva preceduto l'andata a S. Vito, ci per111ettonodi riconoscere a fondo l'estrema sensib~ità d'anima di Arnaldo. t una sensibilità per tutto ciò che riguarda il ,proprio intimo, fatta di vera tensione spirituale e non si confonde colle . suscettibilità e le boriuzze. In definitiva egli attinge qui alla . comune vibratilità spirituale e sentimentale deUa sua gente che è tutto cuore anche se- cerca di dissimularlo colla ruvidezza esteriore e con mille rugosità epidermiche, quasi per un naturale apprestamento di difesa. A Monza c'era gente che brigava per rendergli insostenibile la posizione, senza che nessuno osasse prenderlo di fronte. Lo si attacca per i più futili motivi; qualcuno arriva a considerarlo tro.ppo di e lusso• per la sua cultura, e per il suo comportamento, che riconosce la distanza, in quel collegio di contadini ! Monza, 24 dicembre 1907. Carissimo S. Ho ricevuto solo oggi la tua buona lettera.,... Grazie delle buone parole che mi scri~i. Aspettavo con una certa ansietà una tua risposta e non ti nascondo che quando ho veduto che non arrivava, ho provato vivo 12 Fondazione Ruffilli- Forlì dispiacere, dispiacere causato dal pensare che tu mi avessi già mezzo dimenticato, e più di tutto che tu ·avessi classificato il mio eccessivo pessimismo, come ingiusto e imbecille. Tu invece hai compreso la gravità della mia situazione -~ mi hai detto le buone parole che aspettavo. E sono - come ti dissi - le prime parole buone che io sento ,giacchè a tutti ho nascosto la verità del come mi lrOIJaVO. Tu sai come mi trovavo a Cesena ed ora sono giunto a credere che venendo a Monza ho preso una di quelle .testate che mai si dimenticano. Così la mia vita. Il destino con me giuoca in un modo molto bizzarro e non so, non so fin dove si potrà arrivare. Alle volte ho il coraggio di formulare delle speranze per l'avvenire e di dimandarmi se questo bagno nel dolore non era forse necessarioper me e se questo non .sia il preludio triste di una felicità più bella, più sentita, più meritata. Esiste una sorta di affinità fra il suo spmto e il dolore, quella affinità propria delle anime meditative e delle intelligenze chiare che chiedono alle cose il loro significato e, mediar:1:teun'acutezza d'indagine per una superficiale sproporzionata, ottengono di giungere a strane rivelazioni nel ·gorgo del pianto. Quella domanda sul proprio destino è forse un presentimento? t una risposta che la ricerca di se stesso gli ha dato? Certo è che il suo destino in quelle prime dolorose vicissitudini si preparava; in quanto che ad affrontarlo egli stesso si maturava. Infatti, a ripensarlo nella sua straordinaria ascesa, dobbiamo con sincerità dire che egli non si dimostra un fuscello nel soffio del destino, ma del destino stesso è partecipe e collaboratore. Anche se nella grande costruzione dal destino perseguita egli non doveva essere il capomastro, pure risultò pietra non indifferente, ma angolare della coiltruzione tutta. 1n ogni momento noi possiamo constatarlo al suo posto, senza stacchi fra il peso e la capacità di sorreggerlo. t certo una notevole grandezza, questo equilibrio e questa rispondenza al proprio dovere quando il dovere è, di un tratto, così impensato e così vasto. .Ma il discorso condurrebbe lontano. Noi abbiamo oggi voluto soltanto fermare un istante di quegli anni formativi del suo grande cuore. Ci pare che meglio non avremmo potuto ricordare l'anniversario della morte improvvisa che lo accasciò per il troppo battere del suo cuore generoso. .Lo abbiamo fatto rivivere giovane agli occhi dei giovani che salgono oggi reverenti il colle di Paderno. Armando Ravaglioli VIA CONSOLARE T

... o,nfana Mai spartiacque è stato più netto delùnitatore cli genti clella dorsale appenninica tosco-romagnola. Caratteri decisi staccano fra Loro le clue popolazioni che pure hanno frequenti contatti attraverso i valichi montani; cla una parte prevalentemente gli attributi clella grazia; clall' aLtra quelli clella forza. Poichè la Romagna con tutta la sua realistica cleclizione alle socle opere clel lavoro, con una forte propensione verso una scrollatina guerriera che acl ogni tanto rompa i ritmi cletla pace, si è arrampicata intatta .fin quassù, per le valli clel SanDal (iauc·o del Fumaiolo, i u lcrrn di ltomagna, gorgoglia la f)ri ma "enu del fiume ,li Homa. Questa stele fu alzata io segno di orgoglio e di consapevole-Lza dalla nostra gente. Le propaggini 1>ren1>pco• niaichc si mostrano come scarnite ossature di giganti. Su di esse l'ultimo ccntimclro di terriccio è difeso coi denti dal montanaro tenace.

terno e del Montone e del Rabbi e del Bidente e del Savio. La tenacia ti è dato di misurarla nella costanza, da premiarsi, con cui il contadino si coltiva un rachitico grano fino lassù dove il vento è più spietato. Sull'animo del romagnolo, La vicinanza toscana, favorita dalla vivacità innata del sentimento e della fantasia, ha operato un innesto, quello dell'arte e della grazia trionfanti nelle architetture più belle dei centri valligiani. Sono fontane, to'rri, particolari cli La piuzzu di S. Piero io 13agno con la fontana rhrn8cimcntalc incorniciata da costruzioni cu.i il to•;co toscano ba illcgiadrito la scoperta funzionalità~ costruzioni come portali, sagomature di finestre, ornati che raggentiliscono senza Leziosaggini. Pievi e cattedrali, opera cli monaci e di generazioni intere, parlano cli una fede ascetica, ruvida, ma sincera, su questi colli e gi,aghi così vicini · alla Verna e a Camalcloli. Le leggende narrano di prodigi e di eremiti santi. Questa gente prolifica, vfoente su una terra grama, pur nella pompa dell'incorniciatura selvosa, deve molto spesso allontanarsi dal suo paese. Lascia il ciuffo unpennacchiante l'estremo ciglio di un diFondazioneRuffilli- Forlì Cinquecentesco 1>alazzo di S. Piero, dai motivi cuscutiucsi, ,,o~into su tre vastissimi archi di rude solidità montana e ror:naguola.

La mietitura n mille ou;. tri. Il grano è turdivo e la s1·•iga nccosh11t1 alla zolla, ma i ruictitori sono di au• tcntica schiatta roma• guola e il loro cusolurc è ti1>icamcnte nostrano. A cont.a10 col suno cle• mento naturale, vive fc. dcle ulla sua terra, cupar• biamente u,•vinla allu mouta~nu, uua stiq,c di duri lovoratori che, colla completezza tlelle genti s u..p e r_i .o.r...i.,..sà ..pcr.ò produrre fiori di grazia. Boschi fittissiroi iu6ttentesi in vere e 1>ropric foreste come in Campigna, forre pittoresche, stese vellutate d'erhe e di fiori costituiscono tocchi 1•ro• d.igiosi del t>aesuggio accanto a squallide pros1>et• tivo cli rive scoscese. Fondazione Ruffilli

A Sarsina, l'antica terra di Plauto, ricca di memorie cln1• schc, la Cattedrale mouume11• tuie è documento della fede dalle J>rOJJagazioni solenni che anima queste vallate. rupo, La ciurma montanara dei muli e dei mulattieri ciondolanti, le carbonaie che, nella notte, ridono alLe stelle, i greggi rari per le scarse pasture. Va perchè è necessano andare, pronta a nconuncwre una nuova esistenza di laooro con le stesse virtù natioe. Ieri all'estero, oggi a Littoria e nelL'Impero. È.,,~n dono di energie sicure che L'alta Romagna fa all'Italia. Sul "Masso dcll'A1,parizione,,, narrano le tradizioni, nel 1494, la l\1adoooa risanò due pasto• rcllc, l'una cieea e l'altra muta. Là accosto si strinsero le ca1•a11ue dando origine al vilh1g- ~io delle Balze, oggi ridente località di villeggiatura. (Foto E. P. T.)

· r;toua11u11;t f/Ja:icoeltflan.l!/Jtauto O .se con soavi inni. ai .5uoi morti eh'egli anw tanto, il popol $UO mai in un giorno d'amor oon lo riporti ... Nella Cronaca bizantina del Sommaruga, nel numero del primo dicembre 1882, compare una lirica di Giovanni Pascoli : Colascionata prima, che, dedicata a Severino Ferrari, chiamatovi Ridiverde, così comincia: Deh ! Ridiverde, come io lo vorrei quel rebecchino che tu scarabilli e suvvi tesser fila di trochei fila d'argento che squilli e scintilli ..... Certo è difficile riconoscere in questi versi preziosamente, proprio bizantinescamente letterari, l'inizio della nostalgica ode pascoliana Romagna, inizio che, col titolo, appare mutato nell'edizione di Myricae del 1894; Sempre un villaggio, sempre una campagna mi ride al cuore (o piange), Severino: il paese ove, andando, ci accompagna l'azzurra visfon di San Marino. Sempre mi torna al cuore il mio paese Romagna solatìa, dolce paese ..... È una lirica dedicata amorosamente da un romagnolo alla sua terra rigogliosa e ferace ed in particolare dal figlio di San Mauro al suo umile villaggio e vi si delinea già quel sentimento di ritrosia che tratterrà molte volte il poeta dal ritornare alla sua « casa romita » • Ma la causa di questo suo atteggiamento non è - come qualcuno ha cercato di spiegare - una intima dissimilità tra il carattere epico di quella terra che Alfredo Oriani chiama la « Beozia italiana » e lo spirito sereno e pacato del YIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì di (!,er:J.<H,e 13 o.lo.9-n.er:J.i poeta : poichè anche Giovanni Pascoli è un vero romagnolo: ce lo testimoniano abbondantement~ - oltre alla sua tumultuosa giovinezza di rivoluzionar~ - alcune fiere espressioni della sua poesia che gli suggerisce fra l'altro - a titolo d'esempio - la vigorosa ode A Ciapin. Egli ama il suo paese ma vorrebbe dimenticarlo. Bello sarebbe ritornare tra i campi, fra le stoppie, presso gli stagni lustreggianti e con l'amico caro perdersi nel verde, mentre il sole meridiano inonda di afa, di ozio e di pace le aie rustiche « mentre il villano pone dalle spalle - gobbe la ronca e afferra la scodella - e 'l bue rumina ·dalle opache stalle - fa sua labori:osa lupin_ella. - Dai borghi sparsi le campane intanto - si rincorron coi lor gridi argentini, - chiamano al rezzo, alle quiete, al santo - desco fiorito d'Òcchi di bambini». Bello sarebbe ritornare all'ombra della mimosa, del pioppo alto e slanciato e risognare fanciullescamente le avventurose gesta dell'ariostesco Astolfo o giovanilmente meditare sulla gloria e sulla fine di Napoleone, mentre intorno risuona « de' grilli il verso perpetuo ehe trema - e dai fossati viene delle rane - il lungo, interminabile poema » . « Deh ! foss' io teco » esclama all'amico sincero in uno slancio di nostalgico desiderio, ma poi, fra i ricordi lieti del passato, si erge triste la visione della sventura. Non può tornare perchè ha un timore: « ••• eh' io 13

non trovi nella mia verzura - del cuculo ozi"oso i piccolini ..... » • Tornare vorrebbe dire rivedere il suo nido: Ma da quel nido rondini tar.dive tutti, tutti migrammo un giorno nero : io, la mia patria, or è dove si vive: gli altri son poco lungi in cimitero. Non può tornare perchè troppo grave è il ricordo del suo grave dolore : perchè il suo animo di giovane venticinquenn"e non ha ancora raggiynto la serenità dell'uomo maturo : meglio forse esclamare con uno scetticismo che vuol celare un tormento ed un pianto: Io, la mia patria, or è dove si vive. Ma invero neppure nel periodo giovanile, in cui scrive articoli an~rcoidi firmandosi romagnolescamente « Zoca e manèra » - ceppo e mannaia - e in cui inneggia al cuoco Giovanni Passanante quando attenta alla vita di Umberto I..... « col berretto di un cuoco faremo una bandiera ..... » , riesce a dimenticare il suo paese. Chi mi ricorda il mio dolce villaggio ove piansi per più d'un abbandono: ove la luna ha così mesto il raggio e le campane. così mesto il suono ? Tra il verde cupo biancheggiar gli avelli le pietre miliar della mia vita scorgo..... Per questo - per il suo dolore - l'uomo non giunge all'odio, anche se il rancore contro la società, che non ha saputo punire l'assassino ~ Ruggero Pascoli e ha permesso che la famiglia dello sfortunato fattore dei principi Torlonia si trovi nel disagio materiale e morale, lo aveva portato - in certi momenti - a negare le ingenue, cristiane idee di bontà, che la buona mamma gli aveva, più che insegnato, istillato. 14 FondazioneRuffilli- Forlì Ed il giovane si riprende, si nhra m sè stesso, dimentica le lotte del mondo ; tutta l' insofferenza della vita che lo circonda si risolve in un desiderio triste di morte: Vorrei morire, esser morto vorrei ; ma lontano, lontano di qui : nel breve campo ove dormono i miei, ove canta tra i pioppi il luì. Più tardi farà amaramente dire ad Ulisse, l'instancabile vagabondo : Morire ma nella mia terra morire..... Ma l'accasciata soffocata parola della madre : « Zvanì ..... " , che gli sembra di udire nei momenti più difficili della sua vita, lo incita a resistere e più calma e rasserenata diviena la poesia del romagnolo. È il periodo di Myricae. La tragedia della sua famiglia è il tema sempre vivo e dolorante e nello sfondo di essa è San Mauro « o mio nido di lodola tra il grano » perduto e lontano, che sembra, con una virgiliana concezione della natura, vivere il dolore del poeta. Per questi egli lo sogna e lo npensa : Rivedo i luoghi ove un giorno ho pianto, un sorriso mi sembra oggi quel pianto. E quei luoghi son cornice al ricordo dei momenti felici e delle ore amare della fanciullezza : è il Rio Salto che col suo scorrere lo fa sognare, sono i pioppi che, rumorosi del fruscio delle foglie, gli fanno vedere .cavalieri erranti e quando il vento si tace gli amici pioppi brusivano soave tentennando lungo le sponde del mio dolce fiume, è la gran Torre da cui dovettero partire per andare nella « bianca casina - che aveva ai piedi tante verbene - e sui pei muri VIA CONSOLARE r

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