UOMO - Anno III - n. 1 - febbraio 1945

60 con le parole di Ivan Karamazov, noi dobbiamo ~ accettare l'universo» non solo malgrado i fatti spaventosi e incomprensibili che vi si svolgono, ma realmente, in una certa misura, a causa di essi. Lo dobbiamo accettare, tra le altre ragioni, perchè è, dal nostro punto di vista umano, interamente e di– vinamente inaccettabile. « Mi vuoi condannare per essere tu giusto?» chiede Dio, e, senza degnarsi spiegare cosa sia la sua giustizia, conclude bril– lantemente il suo straordinario argomento zoolo– gico con Beemot e Leviatan. « L'uno, spiega Dio, muove la coda come un cipresso». In quanto al– l'altro, « chi può aprire le porte delle sue fauci? I suo denti sono terribili tutt'intorno». Beemot e Leviatan sono più convincenti dei più impeccabili sillogismi. Giobbe è sopraffatto, schiacciato; la logica divina procede su piedi d'elefante. « Il merito consiste nell'essere amati, eletti da Dio, predestinati alla salvezza» e « non basta la giustizia>>. Michelet ce l'aveva coi Cristiani per que– ste affermazioni. Ma in fondo, liberate dalle incro– stazioni mitologiche, queste affermazioni sono pur– troppo vere. Il nostro universo è l'universo di Beemot e Leviatan, non di Helvetius e di God– win. La salvezza (per non parlare del successo) in questo mondo di Beemot non è la ricompensa necessaria di quello che considedamo merito; è il frutto di certe innate qualità dello spirito (che possono essere umanamente meritorie - o non ess~rlo); in altre parole sono il risultato di favo– ritismo e di predestinazione. La giustizia non basta; è anche necessaria la fede (nel senso di un che di non-morale ma in qualche modo ac– cetto a Dio) - anzi in certi casi è solo essa suffi– ciente a garantire la salvezza. L'integrità perso– nale, la felicità 1 pers,ino il bene comune possono

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