L'università libera - n. 2 - febbraio 1925

62 IC'UNIVERSITÀ LIBERA mento e di costituzione: come i mandorli, di cui gli uni danno mandorle dolci e gli altri mandorle amare. Degli uomini, gli uni sono nati per vivere nel timore, che confondono con la legge. Questo timore, a loro non dispiace provarlo e si dilettano 'd'ispirarlo. Considerano decisivo l'argomento dello staffile, e indiscutibile la ragione dello knut. Ma diversamente è per i cuori prodi e per gli spiriti generosi. Altro è l'orizzonte della talpa, altro ·quello dell'allodola. Ognuno giudica secondo la propria norma intima: il giusto secondo la propria equità, il malvagio secondo la propria perversità. E tale -il punto di pa~tenza, tale la filosofia. Coloro che pretendono che la giustizia sia opera del castigo, e che senza coazione non esisterebbe moralità, sottintendono che le sòle persone oneste sono quelle che non hanno rubato, e che i ladri sarebbero briganti, se osassero. E hanno immaginato il peccato. originale, hanno infestato la Natura con una sifilide congenita. Infliggono la responsabilità di questa lebbra al Creatore; che dopo aver modellato l'uomo a sua immagine e somiglianza, si dichiarò sod- · disfatto della propria opera, e vi mise il proprio nome. Ma per gli altri, la Giustizia è ben altro· che la servitù penale. Per coloro che evolvono dall'imperfetto al meglio, e dal meglio all'ottimo, la Giustizia è l'ideale delle speranze, l'ciggettp degli amori. Essi comprendono la Legge come lo sviluppo normale dei . germi e delle facoltà, l'evoluzione cosmica. Non la- distinguono affatto dalla vasta ragione delle cose, dall'augusta necessità ·che, neJle profondità della nostra coscienza, si confonde con la• nostra natura e con la nostra libertà. Sarebbe tempo infine di studiare più da .vicino la morte, chiamata la regina degli spauracchi, la morte di cui gli Stati hanno · fatto l'agente principale della loro giustizia e delle loro istituzioni politiche o sociali, la morte di cui le religioni hanno fatto il loro punto di partenza, il grande oggetto delle loro rivelazioni. « La morte, risponde l'illustre Spinoza, l~ morte non è nulla, perchè la vita è tutto! » Di fronte a tutto il vecchio mondo che ha divinizzato la morte e l'assassinio mediante i carnefici, i conquistatori e le guerre, quanto paradossale o insensata sembra questa affermazione! Tuttavia, man mano che la si esamina, perde della sua stranezza, e quando la si comprende, si ammette che esprime la verità vera, che mai s'intese più forte nè più nobile parola. Tant'è che fu pronunziata da un uomo dai pensieri vasti e profondi. Infatti la morte non è altro che la negazione della vita, il li-

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